Pnrr, le regole su proroghe e ritardi nell'attuazione dei progetti
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Economia

Pnrr, le regole su proroghe e ritardi nell'attuazione dei progetti

Il piano italiano all'esame di Bruxelles tra difficoltà e polemiche. Ecco come viene giudicato l'avanzamento e la coerenza dei documenti presentati da Roma

Due le certezze: sul Pnrr l’Italia è in ritardo, ma l’Europa ci ha dato altri 30 giorni di tempo per mettere in salvo la tranche da 19 miliardi (terza rata semestrale per gli obiettivi del secondo semestre 2022). Complessivamente gli investimenti previsti dal PNRR e dal Fondo complementare (approvato dal governo italiano) sono 222,1 miliardi di euro tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti ultra agevolati. I fondi del Pnrr (191,5 miliardi di euro) sono ripartiti in sei missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (40,32 miliardi); rivoluzione verde e transizione ecologica (59,47 miliardi); infrastrutture per una mobilità sostenibile (25,40 miliardi); istruzione e ricerca (30,88 miliardi); inclusione e coesione (19,81 miliardi); salute (15,63 miliardi).

La data di scadenza del piano di ripresa (quindi dei circa 200 miliardi di euro) è il 2026. I fondi arrivano e arriveranno in tranche. Ora siamo in attesa della terza rata semestrale da 19 miliardi. La Commissione europea valuta lo stato di avanzamento dei lavori prima di sbloccare i fondi, volta per volta. Ora sono 55 gli obiettivi da esaminare per avere la terza tranche dei fondi. E ci sono perplessità da parte della Commissione Europea. Nei giorni scorsi lo stesso governo italiano ha ammesso i ritardi e iniziato un negoziato con la Commissione, per rimodulare alcuni progetti.

Roma ha chiesto più tempo e sono stati concessi 30 giorni (fine aprile) per l’esame degli obiettivi che portano allo sblocco dei 19 miliardi. Una richiesta non allarmante e non grave secondo il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni: “Decisione analoga è stata presa per altri 7-8 Paesi, non credo che il senso di queste verifiche debba essere troppo esagerato”. Non è un’anomalia la proroga, secondo la Commissione che aggiunge: “non pregiudica in alcun modo l’esito della richiesta italiana. È abbastanza usuale che avvenga”. Pare non si esclude neanche che all’Italia, a fine aprile, possa essere concessa un’ulteriore proroga.

Il governo italiano infatti ha ormai scelto di dire in modo ufficiale (per voce del ministro degli Affari europei Raffaele Fitto), che il 2026 non è un obiettivo temporale realistico: “Se noi oggi capiamo che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa”, ha detto Fitto.

Perché siamo in ritardo? Come è possibile non riuscire a usare i fondi? Il motivo, storico per l’Italia, è che sono gli stessi problemi che i fondi del Pnrr dovrebbe aiutare a risolvere che ostacolano l’attuazione dei lavori e l’uso quindi degli stanziamenti. Cioè: burocrazia, deficit di infrastrutture e mancanza di personale tecnico.

La Corte dei Conti ha spiegato questa settimana che a fine 2022 l’Italia ha speso solo il 6% dei fondi. La Commissione europea ha sollevato obiezioni su tre punti per dare il via libera alla terza tranche: le concessioni portuali, le reti di teleriscaldamento e i Piani urbani integrati (riferimenti agli stadi di Firenze e Venezia). E poi ci sono i 27 obiettivi del primo semestre 2023 che vedono l’Italia in grande ritardo per riforme troppo lente in tema di giustizia e concorrenza.

E da qui la proroga di 30 giorni concessa all’Italia e i segnali di negoziato tra Roma e Bruxelles. Ma quale può essere il prossimo passo per salvaguardare i fondi all’Italia? Il ministro Fitto ha parlato di una “rimodulazione” necessaria di pezzi del Piano. La soluzione che sembra chiedere il governo è “un coordinamento” tra Pnrr e Fondo di Coesione. La strada è di concordare con l’Unione Europea quali siano le opere che non possono essere realizzate nei tempi (2026) e, per non perdere i fondi, trasferirli nel Fondo di Coesione che scade nel 2029. Rimodulare i progetti o ottenere una proroga di uno o due anni (ipotesi non presa in considerazione dall’Ue). Le strade sono queste, al momento.

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Cristina Colli