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Economia

Pir, chi offre sul mercato i nuovi piani di risparmio

Anima, Arca, Pioneer o Zenit. Diverse società propongono i prodotti d'investimento nati per sostenere le piccole imprese. In arrivo altre offerte

 Alcune li hanno già lanciati, altre li stanno preparando. Tra le società di gestione italiane, è iniziata una corsa a proporre i pir (piani individuali di risparmio), una nuova categoria prodotti d'investimento nati con lo scopo di sostenere le piccole e medie imprese che sono l'ossatura dell'economia nazionale ma troppo spesso hanno difficoltà ad accedere al mercato dei capitali.

Anima, Arca, Pioneer, Fia Asset Management e Zenit. Ecco il quintetto di case di gestione del risparmio che già oggi offrono ai loro clienti un proprio pir. Altre società come Mediolanum, Azimut, Banca Generali, Eurizon Capital (Intesa Sanpaolo) o il gruppo Bnp Paribas hanno invece dichiarato l'intenzione di entrare presto in partita, lanciando un piano individuale di risparmio entro la primavera o al massimo entro l'estate.


Graziati dal fisco

Ma perché c'è tanto interesse verso i pir? Una delle ragioni è che si tratta di prodotti d'investimento che godono di una notevole agevolazione fiscale e che si ispirano ad analoghi strumenti esistenti da molti anni in Francia e in Gran Bretagna, dove hanno raccolto già diverse centinaia di miliardi di euro o di sterline.

Leggi qui: ecco come funzionano i pir

In pratica, un pir è una sorta di salvadanaio, un contenitore in cui un risparmiatore privato può inserire in un'ampia gamma di strumenti finanziari: azioni, obbligazioni (o bond), polizze assicurative oppure fondi comuni di investimento, per cifre che non possono superare i 30mila euro annui e i 150mila euro complessivi. Se il titolare del pir tiene fermo il capitale per più un quinquennio non paga imposte sui rendimenti ottenuti. Altrimenti, nel caso in cui voglia riscuotere le somme prima di 5 anni, deve versare la normale tassazione del 26% su quanto ha guadagnato.


Vincoli di portafoglio


In cambio di questa agevolazione, però, il portafoglio investito in un pir deve essere composto per il 70% da azioni oppure da obbligazioni emesse da società con una stabile organizzazione in Italia. Inoltre, come secondo requisito, una quota del 21% del portafoglio del pir (cioè il 30% di quel 70% sopra menzionato) deve servire per acquistare strumenti finanziari di imprese non presenti nell’indice Ftse Mib della Borsa di Milano o in indici equivalenti di altre piazze finanziarie. Questo vincolo è studiato apposta per spingere gli investimenti dei pir nelle piccole e medie aziende, per esempio in quelle quotate sul mercato alternativo Aim, dedicato interamente alle microimprese.

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Fondi comuni in pole position
Tutti i piani individuali di risparmio che hanno fatto capolino sul mercato fino ad ora sono rappresentati da fondi comuni di investimento, cioè da prodotti del risparmio gestito con un portafoglio composto da decine e decide di titoli diversi (e che ovviamente rispettano il requisito di avere una quota del 21% destinata alle azioni o ai bond delle piccole imprese). La società di gestione Anima propone per esempio sotto forma di pir il fondo Crescita Italia che ha un patrimonio composto da un mix di azioni (fino al 40%) e obbligazioni. Un fondo simile (Economia Reale Bilanciato Italia) viene proposto da un'altra casa di gestione, Arca. Un prodotto bilanciato che rispetta i parametri dei pir rientra pure nell'offerta di Pioneer e si chiama Risparmio Italia.Zenit ha invece sia un fondo azionario (Pianeta Italia), sia uno bilanciato (Zenit Obbligazionario) mentre Fia Asset Management (Gruppo Farad) propone una gestione patrimoniale.


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Per chi fosse interessato a questi prodotti, un'avvertenza è d'obbligo: occorre pesare bene sul piatto della bilancia le loro voci di costo perché sono tutt'altro che risicate. Il capitale investito nei pir, infatti è soggetto spesso a balzelli non da poco, visto che le società di gestione trattengono per sé una bella quota del capitale investito, tra commissioni di ingresso e di gestione.


Balzelli in entrata

Il prodotto di Anima, per esempio, ha una commissione d'ingresso che può arrivare fino al 4% e una commissione di gestione dell'1,46% annuo. Zenit chiede un balzello sino al 3-4% del capitale rimborsato al termine dell'investimento mentre le commissioni di gestione variano, a seconda del prodotto scelto, tra l'1,3 e l'1,8%. Il fondo di Pioneer, invece, ha una commissione di gestione dell'1,2% e una commissione di sottoscrizione fino al 2% (che varia però in base alle politiche di chi distribuisce il prodotto, il quale viene venduto anche dalle reti di consulenti finanziari). E' vero dunque che i pir sono agevolati fiscalmente ma non si può certo dire che siano dei prodotti low cost.





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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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