Voli caro biglietti vacanze italiani
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Economia

Contro il caro prezzi si dovrebbe trasformare in low cost le compagnie di bandiera. Ma non si può fare

Emirati arabi, Stati Uniti e capitali europee sono state tra le mete più gettonate dai viaggiatori durante il ponte di Sant’Ambrogio. Il tutto, nonostante l’aumento dei prezzi dei voli che sono una cosa strutturale

Milioni di persone sotto la soglia di povertà, costi dei biglietti aerei con aumenti oltre il mille per cento, ma poi durante il ponte di Sant’Ambrogio si sono mossi cinque milioni e mezzo di italiani, lasciando città come Milano all’invasione – sia chiaro, più che gradita – dei turisti. E quei cinque milioni non sono partiti per andare dietro l’angolo: Emirati arabi, capitali europee, Stati Uniti sono state le mete più gettonate. Ovvero piangiamo miseria ma non rinunciamo alle vacanze. Due i casi: o chi calcola le statistiche sbaglia il campione da intervistare, oppure le cose stanno diversamente. O, ancora, più probabilmente, il Paese è davvero spaccato in due, non soltanto tra nord e sud, quanto tra chi ha ancora una capacità di spesa e chi no. A cominciare dai soldi necessari per acquistare i biglietti aerei. Vero è, e la stampa l’ha più volte segnalato, che considerando il costo di un biglietto tra la Lombardia e la Sicilia di metà gennaio 2023, sotto le feste natalizie si spende enormemente di più, ma se si considera che il costo del biglietto campione era meno di 35 euro, è evidente che non si trattava di una tariffa “normale”, bensì di una promozione che copriva a malapena i costi dell’assicurazione obbligatoria e delle tasse d’atterraggio. Poniamoci quindi una domanda: se accettiamo senza batter ciglio che i 630 km della tratta Milano-Roma in treno veloce costino circa cento euro, come possiamo pretendere che mille chilometri in aeroplano costino uguale o anche un terzo di quella cifra?

L’aeroporto è uno spazio che vende tempo, si diceva tempo fa in ambiente aeronautico, dunque, per calcolare un aumento statistico non ha alcun senso riferirsi al costo minimo (e speciale) applicato in un momento in cui la domanda di quel collegamento è minima.Perché è ovvio che nessuna compagnia aerea, specialmente se effettua collegamenti di linea, vuole viaggiare in perdita. Non se lo possono permettere più neppure le “compagnie di bandiera” i cui conti sono favoriti da governi, come avviene (sempre meno)anche negli Emirati arabi, figuriamoci in Europa. Ma ipocrisia e sensazionalismo mediatico portano spesso a dimenticare che il modello low-cost che abbiamo conosciuto dalla fine degli anni Novanta a prima del Covid non esiste più, che i finanziamenti pubblici (di regioni, provincie e comuni), elargiti ai vettori si sono ridotti di molto, e, altra ipocrisia, erano e in parte ancora sono,costi che poi ricadono sulla collettività in varia forma. Dunque, o accettiamo a prescindere che un determinato volo possa essere cancellato perché troppo vuoto, oppure è evidente che dovremo affrontare un costo che permetta al vettore di viaggiare in attivo anche se a bordo il numero dei passeggeri è inferiore a quello dei posti disponibili, che poi tecnicamente si chiama “fattore di riempimento”. Ricordando che la normativa europea (CE261/2004), pienamente recepita in Italia, prevede i criteri di compensazione per i passeggeri che si vedono cancellato il voloanche quando la compagnia non è tenuta a dare spiegazioni in merito, bensì a risarcire il passeggero mediante il cambio del volo o la restituzione del denaro.

Perché alla fine noi italiani, soprattutto le generazioni cresciute con il boom delle low-cost, dell’Erasmus e della fuga dei cervelli, ci siamo abituati troppo bene, a poter usare l’aeroplano come l’autobus, a “tornare a casa” appena possibile pagando un prezzo comunque contenuto da qualunque città europea. Ed era un sistema, quello iniziale delle low-cost, che sapevamo non avrebbe potuto durare all’infinito. E ora tra crescita della domanda, necessità di ridurre le emissioni – che significa cambiare aeroplani con altri più moderni ma anche più costosi – e necessità di viaggiare, il mercato si comporta di conseguenza adattando domanda e offerta. Così non stupisce che un vettore come Ryanair l’estate scorsa abbia sfiorato i 19 milioni di passeggeri e che abbia confermato ordini a Boeing per nuovi aeroplani. Infine, c’è l’ecologia, con un prezzo che non tutti possono pagare: in Francia due anni fa si è parlato di abolizione dei voli sotto le due ore laddove esiste un collegamento ferroviario veloce (norma che alla fine ha comportato l’eliminazione di ben pochi collegamenti), ma si tratta di una regola non sempre applicabile a causa dell’orografia e delle caratteristiche geologiche del territorio, e in questo l’Italia, lo sappiamo, è tanto bella quanto penalizzata. Senza aeroporti regionali come Perugia, L’Aquila, Pescara, Cuneo, Bolzano, oppure insulari come Pantelleria, Lampedusa ed Elba, sarebbe sufficiente un dissesto stradale per isolare intere province, e la pista di decollo diventa la strada più importante.Eppure, nonostante sia necessario mantenere attivi questi scali, spesso li lasciamo senza sviluppo e senza risorse.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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