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Economia

L'inflazione vola, non per colpa della guerra

L'Ista ha certificato una crescita oltre le previsioni del pil ma anche la corsa dei prezzi, più strutturale che legata alla crisi in Ucraina

Nuovo record per l’inflazione che a maggio arriva al 6,9%, un livello che non si registrava da marzo 1986 quando si toccò il 7%. Oggi l’Istat ha infatti certificato un’accelerazione dell’inflazione su base tendenziale dopo un piccolo rallentamento registrato ad aprile. L’aumento è trascinato soprattutto dai beni energetici la cui crescita, in termini di prezzo, è passata dal +39,5% di aprile al +42,2% (sul mondo energia, incidono soprattutto gli energetici non regolamentati che fanno un balzo dal 29,8 al 32,4%, quelli regolamentati risultano invece stabili al 64,3%). E dunque, i beni energetici continuano ad essere il traino dell’inflazione e le loro conseguenze si propagano sempre più anche sugli altri comparti merceologici, i cui accresciuti costi di produzione si riverberano, a loro volta, sul consumatore finale. Si può infatti notare come i prezzi dei beni alimentari siano passati da un +6,1% di aprile ad un +7,1%; (+1,2% sul mese). In questo caso spingono particolarmente gli alimentari lavorati (da +5% a +6,8%), con aumenti generalizzati su tutti i prodotti che compongono questo aggregato.C’è stata inoltre un impennata dei prezzi anche nel comparto degli “altri alimentari”: oli (da +65,3% a +70,2%), pasta secca, pasta fresca, preparati per pasta (da +13,4% a +16,6%) e burro (da +15,6% a +22,6%). Accelerazione anche per i prezzi dei servizi che passano da un +2,1% a un +3,1% e di quelli ricreativi, culturali e per la cura della persona che registrano un + 2%.

Aumenti che dunque hanno effetti negativi sul carrello della spesa. Oltre 11 milioni di individui (26%), pari a oltre un italiano su 4, ha infatti dichiarato che l'aumento dei prezzi ha avuto un impatto molto negativo sul proprio bilancio familiare. Secondo l’ultima ricerca pubblicata da Facile.it, che ha commissionata a mUp research e Norstat, la fotografia che ne viene fuori non è delle migliori. Per far fronte ai rincari gli italiani hanno infatti adottato diverse strategie: il 66% dei rispondenti ha dichiarato di aver ridotto, se non del tutto eliminato, alcune voci di spesa (il 46% i dolci, il 44% gli snack, il 39% gli alcolici, il 43% la carne, il 30% il pesce). I restanti 4,7 milioni di individui che sono stati interpellati hanno invece dichiarato di aver dovuto lasciare indietro alcune spese come, ad esempio, le bollette di luce e gas o le rate del condominio. A livello territoriale, poi, l'aumento dei prezzi sembra aver colpito più duramente i rispondenti residenti nel centro Italia (31%) e chi ha un’ età compresa tra i 25 e i 34 anni e i tra i 45 e i 54 anni (31%). Al netto dei dati ci sono due considerazioni da fare. La prima riguarda le tempistiche. L’inflazione che sta rendendo il costo della vita sempre più cara è iniziato ben prima dello scoppio della guerra. Negli ultimi mesi del 2021 questo indice aveva iniziato a salire in modo costante e robusto. La situazione è però stata sottovalutata da tutte le Banche centrali che a più riprese avevano rassicurato sulla temporaneità dell’inflazione. Si pensava dunque che questa sarebbe tornata ai livelli del 2% senza troppi sforzi e in tempi brevi. Così non è stato. Da ricordare inoltre come lo stesso aumento del comparto energetico è iniziato ben prima dello scoppio della guerra e anche in questo caso i vari governi nazionali hanno sottovalutato il trend. La situazione “inflazione-energia” è poi definitivamente esplosa con lo scoppio della guerra in Ucraina, ma le tensioni e i malumori sul mercato c’erano già prima. Secondo le ultime previsioni della Bce non ci libereremo presto dell’inflazione. Questa è prevista ancora molto elevata nei prossimi mesi, per poi scendere lentamente verso l’obiettivo, risultando pari al 5,1% nel 2022; al 2,1% nel 2023 e all’1,9% nel 2024. Un sospiro di sollievo si potrebbe dunque tirare forse l'anno prossimo. Ma nel mentre molti italiani fanno fatica ad arrivare a fine mese e non sono in vista aumenti di stipendio di nessun genere. L’Italia è infatti uno dei pochi paesi all’interno dell’Ue che non ha messo in campo misure per aumentare lo stipendio dei lavoratori, agendo sugli attuali contratti nazionali collettivi. L’unica strategia su cui l’attuale governo sta puntando sono i bonus a pioggia.

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Giorgia Pacione Di Bello