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Economia

Fico, 10 ettari di solitudine

Il parco del cibo aperto fuori Bologna da Oscar Farinetti ha fatto flop ed il declino preoccupa gli azionisti e gli sponsor politici, come Bonaccini

Da paladino di Slow Food a giostraio il passo è breve. Sotto Natale, Oscar Farinetti ha aperto un luna park per tappare la bocca ai molti che giudicano Fico una cattedrale nel deserto di dieci ettari all’estrema periferia di Bologna riempiti non della gente che non c’è, ma di tutto ciò che un supermercato ha senza la spocchia del gastronomicamente corretto. Doveva essere il sancta sanctorum del buono d’Italia e invece è una fotocopia sbiadita e molto commerciale dei cascami di Expo 2015. Così il 7 dicembre Babbo Natale detto Oscar ha inaugurato il Lunafarm.

È la sua giostra. Farinetti è così: abilissimo a raccontare storie e far quattrini da commerciante con i soldi degli altri. Anche a Fico, anche a Bologna dove però quest’avventura rischia di avere pesanti ricadute politiche sulle Regionali dell’Emilia-Romagna e finanziarie sull’universo Coop con la prospettiva niente affatto remota che arrivi un cinese a comprarsi tutto e che la Disneyland del cibo buono, pulito e giusto si trasformi in una gigantesca speculazione immobiliare. Per ora accontentiamoci delle giostrine che il gruppo Zamperla ha vestito con le fattezze di mucche e maiali. Sono le solite tazze rotanti, il jumping, la monorotaia, il «calcinculo», ma con colori e profili differenti. Lunafarm - prezzi modici: 14 euro per un pomeriggio come tutto a Fico dove una piada e una birra le paghi 15 euro e l’Autogrill a confronto sembra un ente benefico - è la fattoria di plastica del contadino Gianni con la maialina Penelope, il gallo Ricky, il toro Valentino e l’ape Martina. Bello? Farinetti pare non capire che questo Lunafarm – vi si accede peraltro da una sala giochi con i videogame abbaglianti, in sintonia con l’ultimo messaggio di Papa Francesco, uno degli idoli di Farinetti, che intima alle famiglie: lasciate perdere il cellulare, mentre mangiate parlate con i figli - è la più clamorosa smentita proprio del progetto Fico, dove l’infotainment doveva essere vedere gli animali, capire come si fanno i prodotti, lasciare ai sensi la guida dell’apprendimento.

La cattedrale del Made in Italy alimentare nel deserto dei suoi dieci ettari (otto coperti) vuoti di gente, che ha drenato decine e decine di milioni di patrimonio pubblico per far apprezzare i nostri prodotti, ha messo su anche il Festival delle lanterne cinesi: 8 euro per vedere i giochi di luce e qualche euro in più comprarsi il gatto di plastica che muove ritmicamente la zampetta. Forse è per compiacere il nuovo socio atteso da Oriente come i magi? Per far quadrare i conti che zoppicano si parla con insistenza di nuovi capitali in arrivo dalla Cina e intanto si sono inventati anche il veglione di Capodanno, democraticamente diviso per fasce di prezzo: da 50 a 100 euro. Sold out hanno detto, ma non si sa poi quanti abbiano prenotato. Così l’idea originaria di Fico crolla: non è più cultura dell’agricoltura. C’è però bisogno di far cassa per evitare di ammettere che questo progetto è un flop. E che l’unico che non ci rimette - almeno così pare - è proprio Farinetti che peraltro lo scorso anno ha archiviato un bilancio di Eataly in perdita (meno 17 milioni) ed è segnalato sempre più nervoso. Tanto che si è buttato in un nuovo progetto: Green Pea, una sorta di superstore della sostenibilità. «Torno al primo amore, l’elettricità» ha annunciato, ricordando che i soldi veri lui li ha fatti con gli elettrodomestici di Unieuro.

Ma ammetterlo ha pesantissime ricadute politiche. Anche un pezzo della sfida, esiziale per il governo, tra Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni passa da qui. Il presidente della Regione Emilia-Romagna ha profuso quattrini a non finire per sostenere Fico, a cominciare da Ficobus, un flop spaventoso. Erano i mega-autobus che dovevano collegare la fiera delle velleità di Farinetti alla stazione di Bologna, ora finiti in soffitta perché costati 4 milioni di euro pubblici in un anno hanno trasportato in media quattro passeggeri a corsa! Nel flop di Fico è coinvolta anche la più grande cooperativa dell’Emilia-Romagna e il Pd da queste parti trema. Tiziana Primori è l’amministratore delegato di Fico Eataly World nominata da Alleanza 3.0, la megacooperativa dei supermercati Coop che è in brutte acque di bilancio. I quattrini veri - oltre 140 milioni - dentro Fico non ce li ha messi Farinetti, anche se si comporta da padrone, ma il Comune di Bologna che ha concesso l’area dell’ex mercato centrale che vale 55 milioni, la Regione Emilia-Romagna e un pool di investitori, il fondo immobiliare Prelios che gestisce la struttura e soprattutto Alleanza 3.0, la mega cooperativa che è quella che ci mette i soldi anche se Fico si chiama Eataly World con tanto di cartelli sull’autostrada, l’ennesimo favore fatto a Farinetti - lui incassa ogni giorno dagli affitti, dalla gestione dei servizi, dalla vendita dei prodotti, dalla percentuale sui ristoranti - che ha promesso che avrebbero fatto un sacco di soldi.

Tuttavia i conti non tornano. La stessa Primori al secondo anno di gestione di Fico ha dovuto ammettere che le cose potevano andare meglio. Avevano promesso 6 milioni di visitatori all’anno. Le cose sono andate molto diversamente. In due anni i visitatori sono stati solo 5 milioni, dall’estero appena il 20 per cento, i ricavi 90 milioni e il budget è lontanissimo. Primori si scalda a questo fuocherello: «Ci aspettavamo di più in due anni. Ma siamo veramente contenti perché c’è un percorso qualitativo importante». Il percorso qualitativo sarebbero le lanterne cinesi, i videogiochi, le giostre? Dentro Fico per fare numero sono stati inzeppati 130 mila studenti, eventi «spintanei» delle Regioni che pagano o supportano le ditte che espongono, ma il progetto che aveva in mente il professor Andrea Segré - aveva pensato questo posto come il luogo della divulgazione del valore dell’agricoltura, della sostenibilità, della corretta alimentazione - sta finendo in un luna park della salamella.

I conti cominciano a preoccupare soprattutto Adriano Turrini, il megapresidente di Alleanza 3.0. Turrini ha chiuso il suo bilancio 2018 con un buco di 238 milioni, pare che il 2019 sarà archiviato ancora con una perdita consistente, ed è alle prese con gli ipermercati che non funzionano più e col prestito da soci che pesa per 3,12 miliardi e non è più così convinto di allevarsi in seno un concorrente fortissimo e furbissimo: Eataly di Farinetti. Potrebbe anche staccare la spina a Fico. Alleanza 3.0 è il socio di maggioranza relativa di Unipol e Turrini non può permettersi di perdere altri quattrini a Fico e di essere messo in discussione.

E anche Stefano Bonaccini in campagna elettorale preferisce non parlare di Fico. Dunque c’è crisi di consenso oltreché di pubblico. Per verificarlo abbiamo fatto un giro a Fico il 30 dicembre, all’ora di pranzo. Scuole chiuse, attesa per il cenone, il massimo del buono da comprare, ci aspettavamo il boom. Invece: le fabbriche di panettone, birra, formaggio, pasta chiuse, pochissima gente ai ristoranti, rari i bimbi e giostre sprangate fin dopo le due. L’offerta, al netto dei lustrini e cotillons, non è diversa da quella della Coop di Borgo Panigale dove c’è più gente e si spende molto meno. Qui per occupare spazio c’è un mega ufficio postale - soldi pubblici - deserto, ci sono gli stand di pentole, di elettrodomestici, di abbigliamento e degli sponsor. Con buona pace di Segré di agricolo c’è davvero poco: qualche aiuola, un po’ di animali costretti in spazi che in altre circostanze farebbero gridare allo scandalo. Forse Fico non è più così fico. O non lo è mai stato.

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Carlo Cambi