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(Ansa)
Economia

Tutti gli aumenti degli alimentari tra guerra e speculazione

Olio di girasole, mais e frumento sono ai massimi storici, ma la colpa non è (solo) della guerra

Il peso della guerra sì, ma l’attuale impennata dei prezzi delle materie prime alimentari è conseguenza di una somma più articolata di fattori.

La crisi dell’industria agro-alimentare si sta sviluppando da tempo e paga dazio sia all’aumento dei costi di gas e petrolio, sia alla diminuzione della produzione di derrate alimentari causata dal blocco della pandemia. A questi fattori si uniscono oggi l’ulteriore impennata degli energetici e il blocco delle materie prime di importazione russo ucraina (in primis olio di girasole, mais e farina di grando tenero).

Un insieme di congiunture economico-politico-sociali e – non ultimo – speculative che hanno inceppato l’intera filiare produttiva.

Perchè l’Italia è così vulnerabile

Tensioni che rendono l’Italia particolarmente vulnerabile in ragione dell’alto grado di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti di materie essenziali nelle produzioni industriali nostrane.

Olio di girasole, farina di grano tenero e mais, infatti, sono prodotti – per la stragrande maggioranza - che vengono importati proprio da Russia e Ucraina.

Il prezzo del blocco dell’export russo-ucraino

Il blocco dell’export imposto dai rispettivi governi unito all’impennata dei costi degli energetici dovuti alla dipendenza dalla Russia hanno innescato una reazione a catena sull’intera filiera. La Russia, infatti, produce il 60% dell’olio di girasole mondiale, mentre Coldiretti ricorda che dei 570 milioni di euro spesi dall’Italia lo scorso anno per importare prodotti dall’Ucraina 260 solo serviti per comprare l’olio.

Perché l’olio di girasole è tanto importante

L’olio di girasole, del resto, non serve solo per le fritture industriali o domestiche ma è anche un componente essenziale della produzione di conserve, biscotti, salse, condimenti, sughi per pasta oltre a essere utilizzato come mangime animale. La chiusura dei porti (Odessa e Mariupol in primis) ha determinato il blocco totale dell’export dai paesi in guerra e le scorte – avvertono – finiranno presto, pertanto i prezzi si stanno impennando. A gennaio 2021 un chilo d’olio di girasole costava 1,10 euro, per salire a 1,30 euro. Ora, però, la sua quotazione ha raggiunto i 2,80 - 3 euro al chilo.

Entro massimo un paio di mesi, avverte Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia), le scorte di olio estratto dai semi di girasole potrebbero arrivare a zero a meno che non si trovino nuovi mercati d’import ( o si ritorni al bistrattato olio di palma)

Una dipendenza strutturale dai mercati esteri, quella italiana, che non riguarda solo l’olio.

Il mercato dei cereali

Come sottolinea Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) in un recente rapporto “l’Italia sconta una strutturale dipendenza delle forniture estere di frumento duro, tenero e mais, con un tasso di autoapprovvigionamento rispettivamente pari a circa il 60% per il grano duro, 35% per il tenero e 53% per il mais, che espone particolarmente il nostro Paese alle turbolenze dei mercati internazionali”.

Il blocco dell’export da parte di Kiev e Mosca ha, quindi, forti ricadute sul mercato dei cereali.

Le quotazioni del grano sono impazzite

In una recente analisi proposta da Consorzio Agrari d’Italia si nota come le quotazioni di grano tenero e mais sono cresciute rispettivamente +17% e +23% rispetto alla scorsa settimana e hanno sfondato per la prima volta nella storia in Italia quota 400 euro a tonnellata.

Il grano tenero infatti in una settimana è aumentato di 60 euro a tonnellata piazzandosi tra 402 e 411 euro a tonnellata, con punte di 435 euro per il frumento più proteico. Il mais, invece, ha toccato quota 405 euro a tonnellata con un rialzo di 75 euro rispetto all’ultima quotazione.

L’orzo registra +25% toccando 384 euro a tonnellata di quotazione, mentre il sorgo (+23%) passa da 308 a 378 euro a tonnellata. Leggero rialzo per la soia (+4,5%) a quota 688 euro a tonnellata

Il grano duro invece , prosegue l’analisi di CAI, resta fermo tra 510 e 515 euro a tonnellata, stabile ormai da qualche settimana, proprio perché l’elemento principe della pasta italiana viene per lo più prodotto in Italia o è di importazione da zone non toccate dalla guerra cioè Canada Usa Turchia e Algeria.

Perché sono aumentati i prezzi dei prodotti finiti?

Il fatto, però, che sugli scaffali dei sumercati siano aumentati i prezzi di pane, pasta, sughi e biscotti non dipende solo dall’aumento delle quotazioni degli alimentari.

Ancora CAI sottolinea che “il costo dei prodotti agricoli incide sul 10% del prezzo del prodotto finale al consumatore, eventuali aumenti nel breve periodo di prodotti derivanti dal grano tenero, quali pane, farine e biscotti, sono dovuti principalmente al caro energia e ai rincari di trasporti, imballaggi, carburante”.

Basti pensare che, dall’inzio della crisi, il prezzo del pane è aumentato di 13 volte, a fronte del fatto che il costo del grano tenero è cresciuto “solo” del 17%. Per intenderci: per giustificare un aumento del 3% del pane il frumento dovrebbe crescere dovrebbe costare il 30% in più. Qui, si sta parlando, invece, di un’ampennata del 13% per la pagnotta dal fornaio.

Il rischio speculazione che preoccupa l’Antitrust

La tesi è che i prezzi tanto elevati dei prodotti finiti siano giustificati all’impennata degli energetici, ma l’Antitrust ha già avviato un’indagine per verificare che non avvengano speculazioni in un momento già difficile

La pasta, ad esempio, è più cara del 12,5% rispetto a un anno fa. E il grano duro – con cui viene prodotta – non proviene né da Ucraina né da Russia. I produttori si giustificano con la carestia dello scorso anno che ha fatto crollare del 60% il raccolto del grano canadese (dal Canada l’Italia importa la maggior parte del grano duro che non riesce a proddurre per soddisfare il bisogno nazionale), ma i conti rischiano di essere troppo salati rispetto alla gravità della situazione.

Secondo l’Unione Nazionale Consumatori “La guerra, non deve diventare una scusa per svuotare ulteriormente le tasche degli italiani, che non possono svenarsi per acquistare un prodotto base della nostra alimentazione quotidiana”.

Perché è aumentato anche il prezzo della carne

Frumento, mais e farine da una parte, carne dall’altra. Anche i prodotti di origine animale stanno subendo una forte impennata conseguente alla crescita dei prezzi degli alimenti per il bestiame determinata dalla catena causa-effetto che si ricollega alla crisi russa.

Dalla Toscana arriva l’allarme di Coldiretti, che avverte: “L'esplosione dei costi e la crisi delle forniture di mangimi dall'estero sta costringendo gli allevatori toscani ad iniziare a razionare l'alimentazione. Negli allevamenti bovini, per esempio, si sostituirà la farina con il fieno perché il mais inizia a scarseggiare e ha toccato prezzi folli. Siamo di fronte al rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame"

I rischi, fa notare inoltre Alleanza Coop, si potrebbero ripercuotere anche su altri prodotti. “Siamo nelle settimane cruciali per la programmazione della coltura del pomodoro da industria e il rischio è che molti produttori possano scegliere di puntare su altri prodotti come mais, sorgo, girasole e soia, che andranno seminati a breve e che erano, fino a oggi, oggetto di importanti flussi in ingresso da Russia, Ucraina e Ungheria”.

L’impennata dei carburanti mette a rischio i pescherecci

Anche gli approvigionamenti di pesce fresco sono a forte rischio. I pescherecci, infatti, stanno subendo l’impennata dei prezzi del gasolio e sono in seria difficoltà nel trasporto merci. Presto, quindi, anche il pesce fresco potrebbe scarseggiare per non parlare degli approviggionamenti che giungono via terra. Calcolando che l’85% delle merci viaggia via terra e che, al pari dei pescherecci, anche i camion sono in crisi per l’aumento dei carburanti le prossime settimane l’intera filiera agroalimentare sarà messa a dura prova se il conflitto dovesse perdurare.

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Barbara Massaro