Ecco come Tesla vuole rivoluzionare il mondo delle auto
Non solo brevetti open source: così Elon Musk sta riscrivendo le regole della mobilità su ruote
Ci fu un momento in cui Nikola Tesla, il geniale inventore che spianò la strada all’elettricità e accese i motori della seconda rivoluzione industriale, smise di registrare le sue invenzioni perché stanco, anzi esasperato dall’ampolloso e criptico sistema legale che regolava i brevetti. È in omaggio a questo controverso personaggio vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento che Elon Musk, l’altrettanto estroso imprenditore american-sudafricano già cofondatore di Paypal, ha battezzato la sua ambiziosa azienda di automobili elettriche.
Di più: quasi a essere fedele fino in fondo al suo ispiratore, Musk ha da poco annunciato che i brevetti sviluppati dai suoi ingegneri saranno open source. A disposizione di tutti. Non citerà in giudizio chiunque li userà in buona fede. Concetto abbastanza vago e aleatorio, è innegabile, comunque dalla portata significativa. Dalla carica forte, lo spirito anticonvenzionale: mentre ovunque la regola è proteggersi dagli assalti, dai tentativi d’imitazione della concorrenza, Tesla spalanca le porte ai suoi avversari. Propiziando persino incontri per stringere alleanze e tentare di mettere insieme le forze, come avvenuto da poco in un meeting ufficiale ma dai contenuti segreti con Bmw.
Musk ha fatto benissimo i suoi calcoli, la sua scelta è figlia di una strategia ben precisa: accelerare lo sviluppo della mobilità elettrica su quattro ruote che, come lui stesso rileva, al momento pesa in media l’1 per cento delle vendite di veicoli. Un’inezia, tant’è che molte case non hanno in catalogo nemmeno un prodotto di questa categoria. Una brutta notizia per l’ambiente e, in parallelo, per le tasche dell’imprenditore, costretto a fabbricare tutto da solo, soprattutto le costose batterie per alimentare le sue lussuose e performanti auto in grado di raggiungere un’autonomia dichiarata di 265 miglia (ben 425 chilometri) contro i 135 chilometri di altri competitor.
Già, il nodo cruciale è che nel recinto della mobilità elettrica il concetto dell’economia di scala non esiste. McDonald’s può vendere le sue patatine a prezzi stracciati perché le paga pochissimo, vista la richiesta enorme, non solo nei suoi fast food. Tesla, per tagliare i costi del 30 per cento, deve puntare sull’autarchia e su un investimento iniziale gigantesco per costruire una «gigafactory», una fabbrica in grado di sfornare batterie per 500 mila veicoli, raddoppiando, lo scrive The Economist, la disponibilità complessiva mondiale di questo carburante pulito. Il 30 per cento non è poco, ma si può fare molto di più, ecco perché Musk spera di tirare dentro più partner possibili per trasformarli in potenziali clienti dei suoi componenti.
Oppure per riuscire a dividere i costi delle infrastrutture. Altro punto fondamentale. Installare in casa una stazione per la ricarica non è alla portata di tutti. E il principale ostacolo alla diffusione dell’auto elettrica è l’inadeguata quantità di colonnine presenti su strade e autostrade. A oggi, stando alle informazioni ufficiali, Tesla ne ha attive 120, di cui 20 in Europa, dove riempire metà serbatoio di corrente in appena 20 minuti. Il loro numero è destinato a salire di parecchio tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, ma sarà ancora troppo poco per sedare quell’ansia di rimanere a secco che assale qualsiasi possessore di vetture di questa categoria. L’obiettivo ideale, per il momento utopico, è una colonnina in ogni stazione di servizio. Se nell’arena ci sono più produttori, oltre a essere interessati a sfruttare le sorgenti già esistenti per i loro veicoli, è verosimile che saranno incentivati a costruirne di altre.
Negli Stati Uniti li chiamano i «network effects»: sono le esternalità positive, i benefici delle alleanze, del fare rete per perseguire lo stesso obiettivo. Rimane vero che le regole del mercato sono ferree, che la vittoria di uno coincide con la sconfitta di un altro, che un’auto venduta in più da un produttore significa una in meno che esce dal concessionario di un suo avversario. Qui, proprio qui, si inserisce la superiorità, da Musk data per scontata e in parte vera, di Tesla. Che ha una line-up di prodotti già chiara in testa e che fa leva sul fatto di essersi mossa con buon anticipo rispetto ad altre case pur blasonate. Che, in attesa dell’arrivo delle nuove vetture con prezzi di listino più contenuti, continua a potenziare quella già presente negli showroom per renderla appetibile per i potenziali clienti.
E per i possessori, poiché alcune migliorie saranno distribuite a tutti, con un aggiornamento software identico a quello che siamo abituati a vedere su telefonini e computer. Solo che anziché cambiare qualche icona, l’auto Model S versione 2.0 saprà imparare dallo stile di guida del conducente per proporgli personalizzazioni e settaggi in linea con i suoi gusti e avrà un sistema di navigazione più evoluto, in grado di evitare il traffico. Le vetture in vendita in questo momento montano inoltre un nuovo scudo rinforzato nella parte inferiore che serve a proteggere le batterie dagli urti e da altri oggetti che potrebbero danneggiare la batteria.
Insomma, Musk ragiona da leader nel settore e non pensa che mettere a disposizione i suoi brevetti possa danneggiarlo. Anzi, è convinto del contrario, che sarà il primo a trarne generosi benefici. E se, come pare, questa operazione dovesse coincidere con una crescita complessiva della mobilità sostenibile, ben venga. Sarà uno dei rari casi in cui l’altruismo di qualcuno, seppure calcolato a tavolino, tornerà a vantaggio di tutti.
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