«Tutto è illusione ma certe illusioni funzionano e certe no»: il pasto è nudo
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«Tutto è illusione ma certe illusioni funzionano e certe no»: il pasto è nudo

Da una piccola stanza di una pensione al numero 9 di Rue Git-Le-Coeur, poi nota col nome marketizzato di Beat Hotel, William Burroughs scrive e invia, dalla fine del ’59 alla metà degli anni ’70, circa trecento lettere. …Leggi tutto

Da una piccola stanza di una pensione al numero 9 di Rue Git-Le-Coeur, poi nota col nome marketizzato di Beat Hotel, William Burroughs scrive e invia, dalla fine del ’59 alla metà degli anni ’70, circa trecento lettere. Nella prima metà del ’59 ha pubblicato il suo secondo libro, dal cremoso titoloIl pasto nudo, «un attimo congelato, quando ognuno vede cosa realmente c’è sulla punta della forchetta».

Al figlio Bill, che vive coi nonni in Florida da quando è rimasto orfano di madre, accidentalmente uccisa da William in un gioco con la pistola à la Guglielmo Tell esattamente come avviene nel romanzo, è piaciuto molto. Il padre ha provato a leggerlo, ma ha dovuto smettere, «disgustato». La madre gli scrive allarmata che un articolo di LIFE lo raffigura come un maledetto, il che vuol dire che ai suoi occhi si è trasformato da laureato ad Harvard a uomo perverso e forse anche malvagio, e perciò lo prega di non mettere più piede a casa (a tal fine assicura di non mandargli più un dollaro).

Lui le scrive:

A LAURA LEE BURROUGHS [Palm Beach, Florida]
circa dicembre 1959

Cara madre,
h
o contato fino a dieci prima di rispondere alla tua lettera e spero tu abbia fatto lo stesso perché nulla potrebbe essere meno utile di una diatriba fra noi a questo punto. Sì, ho letto l’articolo di Life e dopo tutto… un po’ sciocco forse… ma è un mass medium… e devono enfatizzare gli aspetti sensazionalistici spesso a discapito dei fatti. E ricordati degli altri che hanno detenuto questo titolo in passato… Byron, Baudelaire, Poe: la gente ora sarebbe molto felice di poter vantare vincoli di parentela con loro. Ma la verità è che chiunque sia sotto gli occhi del pubblico e goda di un successo più o meno grande nel suo campo è a rischio di ritratti sensazionalistici.

(…). Personalmente preferirei evitare la luce della ribalta ma è il solo modo per vendere libri. Uno scrittore che si tiene lontano dai giornali non pubblica e, se riesce a pubblicare, non fa soldi. Quanto al mio ritorno nel focolare domestico, forse è meglio che tutti e due accantoniamo ogni decisione per il momento.

In ottobre, in effetti, due reporter di LIFE erano andati da lui a intervistarlo. Per ingannare l’attesa, il suo compagno e convivente Brion Gysin si era avvicinato alla scrivania di William e aveva cominciato a ritagliare pezzi di giornale. Burroughs diede un’occhiata al tavolo, e intuì che in quei ritagli affiancati in modo random si celava un metodo che poteva fare proprio: quello del cut-up. Ne parla la prima volta a Allen Ginsberg, a cui solitamente scrive lettere che di solito iniziano con la frase “Thanks a million for the mescaline» o finiscono con «Please send mescaline if possibile». Anzi, si rende conto che Il pasto nudo, scritto a Tangeri nel delirio semicosciente, «è tutto cut up», montato, ma «io non lo avevo capito». Ginsberg stesso, aiutandolo insieme a Kerouac a riorganizzare i fogli, se ne disse sconvolto. «Non riesco a capire cosa ti abbia disturbato», gli scrive, «io sono impressionato dalla mia ragionevolezza».

In giornate squallide e coatte (droga, sonno, sveglia, creazione, lisergia), il perfezionamento di questo metodo diventa un’ossessione a cui dedica la maggior parte delle sue migliori energie da sobrio. Comprende che può non solo assemblare parole diverse di uno stesso linguaggio, ma anche linguaggi diversi tra loro, a creare sequenze significanti: filmati, fotografia e scrittura, in una foga di suture combacianti, di accumulazioni progressive di materiali. La sua insofferenza per la scrittura tradizionale, quella degli amici di Palm Beach, degli scrittori autorizzati da LIFE di cui va pazza sua madre, cresce a dismisura. Sotto la pressione di una vertigine lisergico-stilistica, legge A sangue freddo di Capote. Decide di scrivergli.

 

A TRUMAN CAPOTE [New York?]
23 luglio 1970

Mio caro signor Truman Capote, questa non è la classica lettera di un fan.

(…). Nell’ambito della mia missione ho letto tutte le sue pubblicazioni. I primi lavori per certi aspetti erano promettenti, mi riferisco in particolare ai racconti. Le era stata assegnata un’area per lo sviluppo psichico. Per un po’ sembrava che avrebbe fatto buon uso di questa assegnazione. Invece ha scelto di svendere un talento che non è in suo potere vendere. Ha scritto un libro noioso illeggibile che avrebbe potuto scrivere qualsiasi redattore del New Yorker (un periodico reazionario sotto copertura consacrato agli interessi del grande capitale americano). Ha messo i suoi servizi a disposizione di interessi che stanno trasformando l’America in uno Stato di polizia usando il semplice mezzo di favorire quelle condizioni che consentono alla criminalità di prosperare e poi chiedendo maggiori poteri per la polizia e il mantenimento della pena di morte per affrontare la situazione che hanno creato. Lei ha tradito e svenduto il talento che le è stato assegnato da questo dipartimento. Questo talento ora viene ufficialmente revocato. Si goda il suo denaro sporco. Non avrà più nient’altro. Non scriverà più nessuna frase al di sopra del livello di A sangue freddo. Come scrittore lei è finito. Finito per sempre. Mi sta pedinando? Sa chi sono? Lei mi conosce, Truman. Mi conosce da tanto tempo. Questa è la mia ultima visita.

Nel 1973 riceve diverse proposte di matrimonio da una donna di Londra che non ha mai incontrato. A lei scrive la lettera più bella e lucida di questa raccolta, quasi l’espressione piena di ragionevolezza di quell’attimo congelato in cui si vede precisamente cosa c’è sulla punta della forchetta, cioè la «carne nera», il buco totale dell’illusione:

A LIZ STRICKLAND[Parigi]
8 giugno 1973 8 Duke Street, St James, Flat 18, London SW1

Cara Liz Strickland,
le ho scritto una lettera circa una settimana fa che ormai dovrebbe aver ricevuto se non è andata persa. In quella lettera sottolineavo che ciò che lei ama è un’immagine illusoria di William Burroughs che non esiste e non è mai esistita. Non sono circondato da parassiti e non sono bisognoso di protezione. Sono praticamente un recluso e vedo pochissime persone. Non voglio pubblicità. Non ho quasi più soldi. I miei libri non vendono. Non sto cercando l’amore di nessuno, maschio o femmina. L’amore richiede una capacità di autoilludersi che ho perduto. L’amore è un’illusione come tutto quello che vediamo o percepiamo o pensiamo di vedere e percepire. Ovviamente ci sono livelli di illusione. Per esempio, per molti anni i fisici hanno creduto in un’illusione nota come fisica newtoniana. Poi è arrivato lo zio Albert con una nuova illusione chiamata Relatività e un’illusione potentissima nota come ME… (Materia per Energia) che ha dato un’impressionante dimostrazione di sé a Hiroshima. La gente ci ha creduto molto a lungo. Quando i newtoniani non sono riusciti a smontare la Relatività, alcuni di loro si sono suicidati. Lo sapeva? Dovrebbe smetterla di pensare al suicidio e andare avanti con la sua vita e dimenticare un’illusione impraticabile.

Insomma immagini che io quando ero un giovane scrittore mi fossi innamorato di Djuna Barnes, la grande romanziera lesbica… Ha letto La foresta della notte?… innamorato a scatola chiusa e sapendo poco dei suoi gusti, abitudini, circostanze passate e presenti come lei sa poco dei miei. Avrebbe potuto funzionare? Ovviamente no. L’omosessualità è un’illusione e anche l’eterosessualità. Potrei innamorarmi di Papa Hemingway. Scrittore supermaschio diventa gay a 60 anni? Ne avrebbe avuto bisogno come un buco in testa grande abbastanza da metterci il pugno dentro se non voleva metterlo lì.

Tutto è illusione ma certe illusioni funzionano e certe no. Non ho ricevuto nessun’altra proposta di matrimonio e nessuna donna o uomo si è mai suicidato per me. Perché diamine dovrebbero? Non ho detto a nessuno di aspettare.

Sto dicendo no alla sua proposta di matrimonio, come direi no a qualunque proposta di matrimonio. Non sto respingendo lei. I nostri sistemi di illusione semplicemente non coincidono. Perciò le chiedo per cortesia di smetterla di pensare al suicidio. E di cominciare a pensare a una vita realizzabile per sé stessa.

 Love and Power
William Burroughs

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Foto in apertura: Joachim Koester, Burroughs’ Bed, 1999

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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