Raffaella Clementi, 'Lettera a un bambino che è nato'
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Raffaella Clementi, 'Lettera a un bambino che è nato'

Intervista all’autrice di una intensa storia di procreazione medicalmente assistita

"Per circa due anni, giorno dopo giorno, mamma e papà hanno spostato i loro confini un po’ più in là, fino a quando la voglia di te è diventata così grande, ma così grande che i nostri cuori, non potendoti più contenere, si sono messi in viaggio verso te".

Avevamo già letto della pma in occasione dell’uscita del libro di Eleonora Mazzoni , Le difettose.
Oggi se ne parla ancora per un nuovo libro, quello di Raffaella Clementi autrice di Lettera a un bambino che è nato. Storia di una procreazione medicalmente assistita (Imprimatur editore ). La storia dolcissima e tenera del percorso seguito per raggiungere il suo bambino è raccontata in queste pagine. Parole che cullano, incantano e rendono prezioso il volume: una favola raccontata da una mamma al suo piccolo che coinvolge gli aspetti personali ed emotivi.

"La chiamano Pma, procreazione medicalmente assistita.
Io preferisco pensare che tutte le procedure chirurgiche, ormonali, farmacologiche, tutti i metodi impiegati per aiutarci a procreare, siano stati solo le fasi del lungo, difficile, doloroso e fantastico, viaggio verso te".

Il libro.
In un Paese per vecchi spesso le donne si trovano a dover posticipare la decisione di avere un figlio di anno in anno, finché per il loro corpo non è troppo tardi. Ma i casi di infertilità o sterilità sono in aumento nei Paesi occidentali anche tra chi ha l’età migliore per concepire.
Per tutte le coppie che hanno difficoltà a coronare il sogno di diventare genitori la scienza medica può venire in aiuto con le tecniche di procreazione medicalmente assistita, regolate dalla discussa Legge 40 del 2004. È un percorso lungo e senza certezze che mette in gioco il corpo e la mente di chi lo affronta. In questa lettera al suo bambino che grazie alla Pma è nato, l’autrice racconta le varie fasi del percorso che ha portato al suo concepimento: la presa di coscienza iniziale, le speranze, le lunghe attese, le paure di non farcela, il rapporto con il compagno, con i medici, con le amiche. Perché il cammino verso un figlio coinvolge tutti gli aspetti della vita.
Questa è una storia con un lieto fine, una testimonianza sincera su un percorso che molti preferiscono tacere.

Poiché credo che non se ne parli mai abbastanza, mai approfonditamente bene, con tutti gli aspetti emotivi e fisici che ne sono coinvolti, ho voluto sapere da Raffaella qualcosa in più sul suo percorso.

Nel romanzo scrivi: “Occorre aver intrapreso il viaggio verso un figlio per capire che l’infertilità è la malattia del vuoto”. Vergogna e colpevolezza si insidiano nella mente. Cosa ti ha dato la forza di andare avanti?
Sarebbe scontato rispondere che la forza che mi ha spinto ad andare avanti è sempre stata il desiderio di avere mio figlio. Questo desiderio, però, non mi ha reso diversa da tutte le donne che intraprendono questo cammino; semmai, mi rende una di loro. Il desiderio è il motore e ciò che spinge ad andare avanti, a combattere. Certe volte si ha voglia di mollare, si pensa che il figlio che tanto desideriamo non ci voglia come madri, ci si accusa di non essere sufficientemente motivate. Ma quello che tengo a sottolineare è che l’esito di questo percorso non è minimamente legato alla meritocrazia: il risultato positivo non premia chi ci crede di più o chi dimostra di crederci meglio di un’altra. Ogni donna reagisce come può al dolore e alla lotta. C'è chi prende le cose di petto, chi fa giri più lunghi. Ogni coppia sa fin dove può arrivare, quali confini spostare, quanto provare. Questo però non misura l'amore per il figlio che si desidera. Significa solo capire che c'è un punto oltre il quale non bisogna andare e ognuno ha il proprio.

È stata più la paura di perderti che la gioia di averti”. La difficoltà maggiore incontrata sul tuo cammino?
L’incertezza. È un cammino difficile che mette in discussione la quotidianità e la proiezione di se stessi nel domani. È faticoso in termini psicologici, economici e umani. Noi donne siamo molto brave a farci più male del necessario, tanto da pensare che l’autolesionismo a volte abbia un volto femminile. Così, l’incertezza del percorso di cui parlo potrebbe tranquillamente portare alla paralisi delle nostre vite, indipendentemente dal loro scorrimento. Immerse nel cammino, perdiamo il punto di vista del nostro compagno, gli avvenimenti che si svolgono intorno perdono di interesse e l’indeterminatezza mina la nostra capacità di decidere, di scegliere, di riprendere in mano la nostra progettualità al di là del sogno di avere un figlio. Io chiamo la pma il salto nel buio, il salto senza reti protettive o anche la folle giostra. Ci monti su, ma non sai quali, quanti e che tipo di giri farai, prima di scendere stordita dalla velocità e al tempo stesso dalla lentezza con cui si susseguono le tappe.

Qual è stata la gioia più grande?
Scostare la copertina verde che avvolgeva mio figlio il giorno in cui è nato e vedere lo sguardo più profondo che avessi mai visto. Uno sguardo che sa, che conosce tutta la distanza che un amore infinito può percorrere.

Il tempo è inesorabile, spietato, crudele, nonostante lo specchio rimandi l’immagine di donne ancora giovani e belle?”.  Il periodo più fertile di una donna corrisponde al momento in cui stiamo ancora capendo cosa vogliamo fare da grandi. Nonostante questo l’età in cui avere un bambino non sembra preoccupare alcune donne: cosa ne pensi di chi decide di avere un figlioin là" con l’età, le cosiddette “mamme-nonne”?
Il nostro è l’unico paese al mondo in cui si assegna l’appellativo di giovane ad una persona di 50 anni; penso che ci troviamo a vivere in un paese mentalmente vecchio, di e per vecchi, dove le donne spesso si trovano a dover posticipare la scelta di avere un figlio, di anno in anno, fino a quando raggiungono il momento giusto per posizione, status e professione, ma sbagliato per il corpo perché ormai è tardi. Perché prima di avere un figlio si deve pensare a come mantenerlo, si deve cercare di ottenere un lavoro dignitoso, una casa dove farlo vivere, abbandonare la precarietà di molti aspetti della vita in cambio di una stabilità che è condizione necessaria al futuro di un figlio. E se l’età biologica non coincide più con quella sociale questo non può essere affrontato come un problema dell’individuo perché il problema è sociale e richiede interventi in materia di politiche per i giovani, la famiglia, il lavoro. Quello delle mamme-nonne, poi, benché io non voglia negare la problematicità della situazione, viene troppo spesso utilizzato come uno specchietto per allodole, come un modo per non dover affrontare i reali problemi di chi si trova, suo malgrado, a doversi confrontare con un percorso di procreazione assistita e, per questo, andrebbe sostenuto piuttosto che ostacolato. Perché se è vero che la fecondazione eterologa può venir utilizzata per procreare anche in tarda età, è altrettanto e ancor più vero che la maggior parte delle coppie che vi ricorre, ovviamente all’estero ed a proprie spese, lo fa perché ha problemi seri di infertilità o sterilità legati spesso a patologie o a trattamenti fatti per curare gravi malattie.

Il passo conseguente all’insuccesso della pma è l’adozione?
Non sempre e non necessariamente anche se accade in molti casi. Io dico che l’adozione e la pma sono due modalità diverse di viaggio verso il proprio figlio. Entrambi i percorsi sono dolorosi, incerti ed estenuanti, forse uno fisicamente più invasivo dell’altro, ma tutti e due psicologicamente destabilizzanti. Purtroppo si deve scegliere l’uno o l’altro perché sembra che sceglierli entrambi possa inficiare l’amore verso il figlio di “cuore” rispetto quello di “pancia”. L’adozione in Italia sconta lungaggini burocratiche infinite e meccanismi istituzionali schizofrenici a dispetto dell’alto numero di bambini adottabili e di quello ancora più alto di coppie che vorrebbero adottare, a cui viene spesso negata l’idoneità genitoriale in nome di scriteriati parametri.
Il passo successivo al fallimento di una pma può essere, però, anche l’accettazione della condizione di vivere senza figli, di riprogettarsi come coppia oltre il progetto figlio e di reinventarsi.

Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. Mi si è fermato il cuore”. Doloroso il libro della Fallaci?
Quel libro è un capolavoro della letteratura mondiale, una riflessione sulla vita e sulla maternità affrontate con una visione poetica unica e irripetibile. Nello scrivere il mio libro, l’ambizione non poteva essere quella di arrivare a livelli nemmeno paragonabili a quelli della Fallaci. Perciò il titolo vuole essere da un lato un omaggio, ma, dall’altro, allude all’intenzione di affrontare un problema diverso ma collegato a quello del libro della Fallaci: lì la maternità come scelta consapevole, qui la storia di chi una scelta non l’ha avuta.
La questione non è più far nascere o non far nascere, quanto volerlo fare e non poterlo fare. La maternità è un previlegio e una scelta e il non avere scelta è una forma di violenza a priori.
Si, quel libro è doloroso, lucido e profondo. Un libro complesso che tocca molte questioni e che a distanza di trenta anni rimane attuale come il giorno in cui è stato pubblicato perché non possono essere che eterni ed attuali i temi della vita e della morte.

Ora sei mamma del tuo “bambino prezioso”. Cosa gli racconterai quando sarà più grande della vostra avventura?
Gli racconterò proprio Lettera a un bambino che è nato, perché il libro è stato scritto per lui e solo in un secondo momento ho deciso di renderlo pubblico. All’inizio il libro doveva essere un diario da regalare a mio figlio per il suo primo compleanno. Volevo che raccontasse i confini di un amore in espansione, i dettagli della ricerca e la difficoltà del concepimento. Le briciole di vita del suo primo anno, ma anche le peripezie dei due anni che precedono la sua nascita, il prima ed il dopo lui, il non essere madre e l’esserlo diventata grazie ad una pma, l’essere sua madre, per sempre. Poi il libro è diventato altro.
Mio figlio è nato ad aprile e a maggio di quest’anno ho aperto un blog per condividere con altre la mia esperienza. È lì che mi sono resa conto di quante donne vivono la condizione di infertilità con grande dolore.
Io sono una di quelle che ce l’ha fatta, una cui la sorte ha sorriso. È stato allora che ho deciso di vincere la discrezione e la riservatezza per parlare di un argomento che è ancora ritenuto un tabù, è ancora considerato un segreto. E il non parlarne, o il parlarne male, ne alimenta l’ombra. Spetta a chi ce l’ha fatta  raccontare cercando di cambiare la mentalità ed il giudizio.
Questo racconterò al mio prezioso figlio, il coraggio di lottare per quello in cui si crede, perché ha valore il desiderio indipendentemente dalla sua realizzazione.

Lettera a un bambino che è nato. Storia di una procreazione medicalmente assistita
di Raffaella Clementi
Imprimatur editore, 2013
144 pagg., 13 euro

@violablanca

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Valeria Merlini

Nasco ariete, cresco caparbia maturo risorgendo. “Ho capito che sei una fenice, rinata dalle tue stesse ceneri e per far questo ci vuole una grande forza d'animo, chapeau Vale”. Un’insospettabile (donna) mi ha scritto queste parole. E allora ho capito, una volta di più, che si può mollare tutto e ricominciare. Inizio allora a leggere. Poi a scrivere. Poi ancora a leggere e a scrivere. Via così. Mai fermarsi. Mai accontentarsi. Lamentarsi sempre. Una lettera mirata ha fatto sì che finissi nel posto giusto. Panorama.it. Questo. Una sfumatura (anzi tre, quelle del grigio, del nero e del rosso per la precisione) mi hanno relegata nel mondo del Sexy&Co., fatto di pizzi e mascherine, di frustini e di latex, di sex toys e sexy boys. Libri erotici? Il mio pane (e ho detto pane!) quotidiano.

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