Pier Paolo Pasolini e la decrescita
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Pier Paolo Pasolini e la decrescita

In un saggio di Piero Bevilacqua, il pensiero pasoliniano sulla modernità

Sono operazioni difficili quelle che vanno a ritroso, a caccia di precursori di teorie che si sono definite e precisate soltanto in epoche successive. Come quelle raccolte dalla nuova collana edita da Jaca Books e diretta da Serge Latouche sulla decrescita. Un concetto relativamente nuovo e spiegato in maniera quanto mai efficace proprio da Latouche, che lo ha riattualizzato nel 2001 in chiave spesso provocatoria, con l'obiettivo di denunciare l'insosetenibilità di una crescita infinita della produzione e del consumo di oggetti in un mondo finito. E che, in questa collana editoriale, vuole mantenere viva una corrente di pensiero evitandone la rappresentazione caricaturale: non si tratta di una raccolta di pensieri di qualche nostalgico passatista, oppositore dello sviluppo tecnologico.

Così Piero Bevilacqua, docente a La Sapienza di Roma, ha curtato il volume Pasolini. L'insensata modernità, una raccolta di saggi brevi che ripercorrono il pensiero critico dello scrittore e cineasta e la sua lettura visionaria e lucida dei tempi a lui contemporanei. Il risultato è interessante. Nelle parole dell'autore, "è una sorgente di creatività per chi voglia sfuggire al fiancheggiamento subalterno del pensiero unico". Ecco come.

Poesia, l'arma indispensabile. "Quando si perde l'abitudine di giudicarsi, va creato artificialmemnte lo stato di emergenza: a crearlo ci pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia intellettuale, della furia filosofica", scriveva Pasolini in un articolo del 1962. Più di dieci anni dopo, nel 1975, in un'intervista a Furio Colombo, prenderà una posizione netta, irrevocabile: "Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no".

Consumo, il nuovo dittatore. "L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un ordine mai pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza", scriveva Pasolini in Scritti Corsari. A questa visione veniva contrapposta un'epoca, sicuramente difficile, ma antecedente alla sovraproduzione in cui avrebbe dominato l'interiorità, a scapito dello shopping.

Realtà glitterata. A cercare le ragioni di un decadimento sociale e politico, si arriva a un passaggio fondamentale, quello dal contenuto alla forma. Cioè alla presenza della sola forma: "La metamorfosi profonda che il capitale ha subito", scirve Bevilacqua a commento di un passo pasoliniano, "con la sua capacità produttiva di beni senza precedenti, la sua diffusione a scala mondiale e la sua capacità di assoggettamento delle moltitudini, lo ha reso un potere nuovo, diretto, popolare. Il Palazzo (...) ha il volto luccicante delle merci che invadono gli spazi della vita, l'allure delle cose obsolescenti che seducono e comandono la totalità dei cittadini-consumatori".

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Piero Bevilacqua, "Pasolini. L'insensata modernità", Jaka Books, 9 euro.



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Micol De Pas