"Neruda fu ucciso dai sicari di Pinochet"
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"Neruda fu ucciso dai sicari di Pinochet"

L'ex bodyguard dello scrittore cileno racconta le misteriose circostanze che portarono alla sua morte mentre era ricoverato dopo il golpe del '73 in una clinica di Santiago: "A ucciderlo fu un'iniziezione letale"

Potrebbe intitolarsi “la clinica degli orrori”. Medici killer, iniezioni letali, uomini vestiti di nero che si aggirano per corridoi asettici, a caccia della vittima. È il thriller che da 40 anni scorre nella testa di Manuel Araya: l'ex garzone stile il Postino che indaga sull'omicidio del poeta-idolo. Il bodyguard che ha fatto riesumare il corpo di Pablo Neruda, l'8 aprile scorso, a 40 anni dalla morte. “È passato tanto tempo ma ricordo tutto perfettamente”. La voce è tranquilla, lo sguardo inquieto, guizzante. “Altro che cancro alla prostata: Neruda fu avvelenato, e lo dimostreremo”.

A guardarlo ora, via webcam e a 12mila km di distanza, l'ex uomo-scorta è la fotocopia di Neruda nelle sue ultime apparizioni pubbliche.Stessa aria posata, stesso gillet, persino la calvizie e l'età (66 anni) coincidono. Non ha più niente del giovane Troisi cileno che, nel '73, fu assunto come guardia del corpo “dal più grande intellettuale che l'America Latina abbia mai avuto”. Perché il suo ex-protetto è questo, per lui:“Non solo un grande poeta: Neruda è stato un martire della libertà del Cile e del mondo intero” dice. E si passa un dito tra il colletto bianco e le rughe della pelle abbronzata.

“Lo conoscevo da quando ero ragazzo, abitavo vicino a casa sua a Isla Negra” racconta.“Era stato per me come uno zio, anzi un padre: avrei dato la vita per lui”. E poco ci mancò.“Ero stato assunto da circa un anno quando successe il fatto. Prima Neruda non aveva mai avuto bisogno di assumere guardie del corpo. Già questa è una circostanza che dovrebbe far riflettere.

Prima l'euforia per la vittoria elettorale di Salvador Allende. Poi il golpe di Augusto Pinochet. Il terrore, la rabbia.“Neruda era sconvolto, non faceva che ripetere che voleva reagire, fare qualcosa” racconta Araya. “Era il poeta-simbolo della sinistra cilena e sudamericana: voleva espatriare per organizzare l'opposizione all'estero”. Tutto è pronto: Araya e la moglie del poeta, Matilde Urrutia, si mettono in contatto con l'ambasciatore messicano a Santiago, Gonzalo Martinez Corbalà. La fuga è fissata per il 24 settembre, a due settimane dal golpe di Pinochet.

Ma qualcosa va storto. Ore 22.30 del 23 settembre: Neruda muore, alla clinica Santa Maria di Santiago, il giorno prima della partenza. Ufficialmente per un cancro alla prostata. Secondo Arraya però “Neruda era in ottima salute in quel periodo, lo dicevano i medici che lo avevano operato a Parigi (effettivamente, per un cancro alla prostata, ndr.) e si vedeva dalle lunghe passeggiate che faceva attorno a casa sua, a Isla Negra. Aveva un gonfiore alla gamba, dovuto appunto al molto camminare, nient'altro. Per il resto era una persona anziana, ma senza acciacchi particolari: pesava 123 chili, mentre i giornali riportarono 40!”.

Perché, allora, il ricovero in clinica? “Non fu un ricovero, ma un nascondiglio. Prendemmo la decisione subito dopo il golpe, ce lo portai io di persona, di nascosto, la sera del 19 settembre, in quella clinica lavorava il medico di fiducia di Neruda, il dr. Vargas Salazar, che accettò di ospitarlo in una stanza a cui lui solo aveva accesso”. Intanto, Arraya e Matilda finiscono i preparativi per la partenza. L'aereo li aspetta. “Avevamo già fatto le valigie, con quello che eravamo riusciti a portar via da Isla Negra prima che fosse perquisita e sequestrata dalle milizie del regime, il 14 settembre”.  

Poi il 23, ore 17, Araya riceve una telefonata: è Neruda, dalla clinica. “Mi disse che stava molto male, fui sorpreso: non aveva avuto alcun sentore di malessere fino ad allora”. Il bodyguard si fionda alla clinica. “Lo trovai rossissimo e gonfio in viso, non riusciva a respirare, aveva la tachicardia. Presi un panno bagnato e glielo passai sulla fronte. Me lo ricordo come fosse ora”.

Neruda si calma. Racconta di avere ricevuto un'iniezione contro la propria volontà, appena un'ora prima. “Non mi disse chi gliela aveva fatta, ma era molto preoccupato. Mi indicò il punto dell'iniezione, sul petto: era a quattro dita dal cuore. Se si trattò di un'iniezione calmante, come scrissero i giornali di regime, perché fu fatta così vicino al cuore?”.

E i sospetti non si fermano qui. Nell'inchiesta aperta in seguito alla denuncia del bodyguard dal giudice cileno Mario Carroza, alcune ex-infermiere della clinica hanno testimoniato che un'ora prima dell'iniezione, alle 15, “tre persone vestite di nero, sicuramente uomini del regime, entrarono nella clinica per parlare con i dirigenti”  racconta Araya. La stessa clinica in cui, anni dopo, fu ricoverato e avvelenato con un'iniezione un altro oppositore del regime, l'ex presidente della Repubblica, il democristiano Eduardo Frei Montalva. “Allora io non sospettavo di nulla – racconta l'ex bodyguard - Mi chiesero di uscire a prendere delle medicine per Neruda, lasciai la clinica e fu l'ultima volta che lo vidi”.

E qui successe la cosa più strana. Perché Araya non tornò indietro? “Stavo andando a prendere le medicine, in una farmacia non lontano dalla clinica. Fui fermato da degli poliziotti in borghese, che mi portarono quel pomeriggio stesso allo Stadio Nazionale (usato in quei giorni dal regime come luogo di prigionia e tortura, ndr.).Venni a sapere della morte di Neruda solo quando fui rilasciato, giorni dopo, per intervento di un cardinale amico del poeta. È un miracolo che sia qui a raccontarlo. Sono stato picchiato, torturato con la corrente elettrica, e ho subito minacce anche in seguito. Telefonate minatorie e un'incursione notturna in casa mia, in cui mi sono stati rubati dei fogli appartenenti a Neruda”.

Il vecchio bodyguard è stanco. I ricordi pesano. “Spero solo che questa storia finisca presto: la verità deve venire a galla”. Per la soluzione del giallo, però, dovrà aspettare ancora fino a luglio: quando arriveranno i risultati delle analisi di laboratorio condotte sui resti riesumati di Neruda.

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Davide Iliarietti