Ventotto grandi dell'arte e le loro opere di vetro Fragile
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Ventotto grandi dell'arte e le loro opere di vetro Fragile

Duchamp ma anche Weiwei, Hirst e Penone: a Venezia apre una mostra spiazzante, intorno al materiale trasparente

La fragilità, il dubbio: parla per metafora ma ha un titolo che racchiude in una parola tutto il suo messaggio la mostra Fragile?, che apre l’8 aprile (per Fondazione Cini e Fondazione Pentagram) all’Isola di San Giorgio Maggiore di Venezia ed espone le opere in vetro di 28 fuoriclasse dell’arte moderna e contemporanea (chiuderà il 28 luglio).

Curata da Mario Codognato, Fragile? non insegue l’estetica della perfezione, piuttosto le mille possibilità di un materiale, e lo propone col passo della storia. Da Ai Weiwei a Marcel Duchamp, da Jannis Kounellis a Damien Hirst, gli artisti danno vita a un’esposizione spiazzante per il suo procedere contrario alle aspettative, ma proprio per questo nuova, fresca, diversa.

"Tutti gli artisti presenti nella mostra" spiega Codognato, quarantottenne veneziano per sette anni curatore del museo Madre di Napoli e ora emigrato a Londra per dirigere la galleria Blain/Southern, "hanno utilizzato il vetro come un oggetto trovato o come un ready made. Hanno cioè utilizzato oggetti di produzione industriale, oppure sfruttato la potenzialità metaforica e la trasparenza di questo materiale. Il fatto che la mostra sia a Venezia è in questo senso fondamentale".

Anche perché l’esposizione è strutturata come un processo osmotico, quasi un "site specific" riadattato, dove la città si fa protagonista. E questo simbolismo è perfettamente rappresentato dalla potente installazione Barra d’aria (1969) di Giuseppe Penone, dove gli scontri e i rumori della vita metropolitana sono amplificati all’interno dell’esposizione da una trave in vetro di 2 metri che sfonda una finestra e si fa tramite fra le due vite.

È arte che parla tutte le lingue del mondo quella di Fragile?: proprio per l’esasperato anelito di universalità e di molteplicità di linguaggi Codognato ha scelto come titolo un termine comune a molte lingue europee e non si è limitato a selezionare opere statiche, ma ha inserito anche installazioni video, come Ever is over all (1997) della svizzera Pipilotti Rist, o tutte da leggere, come Ever widening circles of shattered glass del newyorkese Lawrence Weiner.

Anche nella scelta di esporre l’una accanto all’altra due opere importanti come Air de Paris (1919) di Marcel Duchamp e Dust to dust (2009) di Ai Weiwei si legge un desiderio d’interpretare storia e negazione: a quasi un secolo di distanza, le due opere sono entrambe semplici contenitori di vetro che racchiudono l’uno aria e l’altro "terra del Neolitico". La polvere che sta alla fine di tutto e il soffio vitale all’origine del mondo.

E ancora troviamo in mostra duplicità d’immagine e contrasto fra buio e luce; fra vita, luminosa striscia di neon che il video artist statunitense Keith Sonnier fa scorrere su una parete di vetro in Lit square (1968), e morte, spaventosa come il teschio che il geniale inglese Damien Hirst incastona tra le quattro enormi lastre di Death or glory del 2001. Metafore dell’inquietudine. Non rassicura, la mostra Fragile?, non compiace, ma disturba e fa vacillare. E non è questo, forse, il dovere dell’arte?

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Maddalena Bonaccorso