"Sul crinale", la poesia di Flaminia Colella
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"Sul crinale", la poesia di Flaminia Colella

Una cena tra artisti porta alla scoperta di qualcosa di sorprendente, ben oltre una semplice raccolta di poesie

Un mese fa ero con Davide Rondoni a Jesi per un récital al Festival Pergolesi. A cena, con noi e altri, c’era una ragazza che parlava poco; ed era questo a farla bella più di quanto la bellezza sua potesse. Così ho preso, incuriosito, il suo piccolo volume di poesie. Un libro sorgivo e molto grezzo, lo definisce lei. E sarà vero. Sarà modestia. O sarà l’anno che è passato da che lo pubblicò, e che per una ventiduenne è un eone fa. Però se le parole hanno una musica, allora “Sul crinale” di Flaminia Colella (Aletti Editore, 2018, pagg. 62) è una serie d’armonie che a me pare non abbiano bisogno d’altro che di sé. Perché “amo questa carta, / il senso stesso di incertezza, / il cogliere nel vuoto / una parvenza di risposta”, come canta lei di “Straordinaria incertezza”. E poi “Bruciano”, che scintilla come il fuoco di Scriabin: “Bruciano / i campi di grano / in estate / e la tua mano / e ciò che tocca. / Bruciano / i deserti / nelle attese. / […] / Bruciano / le ore / nel silenzio. / Bruciano / e già so / che mi dimentichi. / Io piango”. E poi ancora “C’eri tu e non ti vedevo”, a nota monotòna e ossessionata dentro una melodia a carezza - “C’eri […] / C’erano […] / C’era […]” - come fosse il La bemolle della “Goccia d’acqua” di Chopin: monotòno e ossessionato fin che “resta / la speranza / di ritrovarti ancora, / intatta”. In ultimo, la falcata alla luce bianca della fine. “Voglio dirti una parola che ti infiammi” suona, letteralmente, come Schumann. Visionaria, feroce, potente, dolcissima. Ciò che per Furtwängler faceva che “nella grande opera d’arte e nel grande artista non esistono né possono esistere separazioni fra la sensualità e lo spirito”. Ecco. E tanto basta.


Voglio dirti
una parola
che ti infiammi.
Non una qualsiasi,
ma la sola
che ti strappi
alle tue mutrie
incallite,
ti costringa
a dimenticare
i drammi.
Voglio dirti
una parola che
ti inganni
sul tuo involucro
malato,
che rigeneri
dal fondo
tutto lo spirito
muffito.
Voglio dirti
una parola
che ti squassi,
che ti spacchi
il cuore
in due,
perché infine
ci sia luce
e ti raggiunga
lo stupore.

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Nazzareno Carusi