Riccardo Falcinelli, Critica portatile al visual-design
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Riccardo Falcinelli, Critica portatile al visual-design

Come informano, narrano e seducono i linguaggi che ci circondano

A meno che non viviate da soli sulla cima di una montagna, senza pubblicità nella posta, televisione, cellulare e internet, anche voi fate parte della società dell’immagine. E lo so per certo, dal momento che state leggendo questo articolo. In Critica portatile al visual-design , di Riccardo Falcinelli (Einaudi), troverete tutto quello che c’è da sapere sui linguaggi visivi che ci circondano.

Ma cosa è “visual-design”? Dalla vostra carta d’identità al calendario appeso in cucina, dalla pubblicità alla moda, dal logo di una compagnia di fast-food alla confezione di una lattina di fagioli. Ogni cosa che sia stata progettata per rappresentare, mostrare (o nascondere), informare, raccontare e sedurre gruppi di persone all’interno della società di massa è visual design. E l’accento andrebbe posto soprattutto sulla parola “sedurre”. Dice giustamente Falcinelli: “al contrario del design in cui la forma segue la funzione, nel visual-design la forma segue l’intenzione”.

Per restare nel campo della seduzione, non si tratta solo del vestito di Valentino, per capirci, ma anche delle mutande: come tutti sappiamo, una mutanda veramente buona deve avere un buon elastico oltre a essere sexy, e questo il designer lo sa. E poi diversamente dal vestito di Valentino le mutande si indossano tutti i giorni. C’è più design nelle comuni mutande che in un vestito di alta moda.

L’equivoco più comune è considerare gli aspetti creativi del design (e soprattutto del visual-design) come propri dell’arte, mentre il design ha sì degli aspetti artistici, ma questi non costituiscono affatto la sua parte principale. La creatività, intesa come capacità di avere idee nuove per risolvere problemi, è propria dell’arte quanto della scienza e dell’industria e il fatto che di mezzo ci siano dei bei colori o delle forme armoniose non cambia la sostanza.

Solo quando creatività e ispirazione vengono incanalate nella progettazione di qualcosa che verrà prodotto in serie, confrontandosi con questioni pratiche come i materiali a disposizione, la sostenibilità economica, il contesto culturale, gli spazi e le condizioni di fruizione, possiamo parlare di design. Se avete ancora qualche dubbio c’è un modo molto semplice per distinguere un oggetto di design da un manufatto artistico: il primo è finito quando la procedura standard per produrlo viene portata a termine, il secondo quando lo decide l’artista.   

Ma l’arte e il visual-design hanno almeno una cosa in comune: non parlano mai a tutti nello stesso modo. Comunicare non è sparare a un bersaglio ma impollinare: nessuno di noi è attento a tutto in ogni momento, viviamo stati d’animo diversi, abbiamo ricordi ed esperienze che ci distinguono, una cultura, bisogni, desideri, proiezioni del tutto personali. Tutte dimensioni che sono sempre in gioco nella ricezione di un messaggio.

Dimenticarci di questa nostra irriducibile individualità ci può portare a uno degli errori più comuni: credere che i messaggi che ci vengono inviati siano in qualche modo “naturali”. Ma non è così perché ogni comunicazione è portatrice di una visione del mondo desiderabile solo per il destinatario prescelto, ma che tuttavia è necessario presentare come l’unica desiderabile. Per non dire l’unica possibile. Prenderne coscienza è fondamentale per confrontarsi con la società dell’immagine in cui viviamo in piena consapevolezza.

E qui entra in gioco la scuola che, oltre a consegnare le competenze per individuare le caratteristiche formali di un manufatto artistico, dovrebbe procurare ai ragazzi gli strumenti critici per rispondere alla domanda: “perché questa immagine, come si colloca nel suo tempo?”. Un quesito importante oggi più che mai, come spiega a un certo punto Falcinelli in un passaggio breve ma a dir poco rivelatore. In un’epoca in cui chiunque dotato di un pc e di una connessione a internet è in grado di creare e diffondere ogni tipo di immagine, lo stesso concetto di “produzione” andrebbe adeguato di conseguenza: oggi “fare” è alla portata di tutti, ma comunicare efficacemente quello che si è fatto e catalizzare l’attenzione è solo peri pochi.

Come ci dimostra un social network come Flickr , ora più che mai produrre è fruire. La stragrande maggioranza degli utenti del sito non sono infatti fotografi professionisti che ricavano il proprio sostentamento dalla loro produzione, ma amatori che spendono tempo e risorse in corsi di fotografia, riviste e apparecchi all’avanguardia. È vero, producono anche molte immagini, spesso di buona qualità, ma è innegabile che per la maggior parte di loro il bilancio consumo-produzione sia in passivo. Dice giustamente Falcinelli: “produrreeconsumaresono oggi gli aspetti cruciali della comunicazione visiva, ancor prima del talento”. L’accento, insomma, più che sul “fare” andrebbe posto sul “veicolare” adeguatamente ciò che si è fatto.

Falcinelli ha scritto un portolano del visual-design, un libro che in teoria avrebbe dovuto pubblicare prima della sua opera precedente -ben più specifica- dedicata ai rapporti tra neuroscienze e design. Ma, pensandoci bene, l’ordine è quello più giusto. Guardare, pensare, progettare. Neuroscienze per il design era l’esame di anatomia, lo studio del funzionamento dello sguardo. Critica portatile del visual-design è invece quello di fisiologia, ovvero lo studio di quello che succede mentre guardiamo. Ciò che nel primo era dato scientifico, nel secondo diventa posizione morale e politica. Falcinelli ha scritto un libro bellissimo e godibilissimo, indispensabile per chiunque decida di vivere nel nostro tempo.

@giuliopasserini

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Giulio Passerini