Questa letteratura è tutta roba da portinai
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Questa letteratura è tutta roba da portinai

Da Marco Missiroli passando per L’eleganza del riccio e Maigret, nei best-seller trionfano guardiani e guardoni

Ricordate il paradigma della portinaia nell’Eleganza del riccio? «Sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi… Siccome, pur essendo sempre educata, raramente sono gentile, non mi amano». Ebbene, la titolare della portineria del numero 7 di rue de Grenelle, la scorbutica ma letteratissima protagonista del fortunato romanzo di Muriel Barbery, rivelatosi un autentico caso letterario, sembra avere fatto scuola anche nella nostra narrativa. Non sarà un caso, infatti, che al mestiere apparentemente anonimo del portinaio siano ispirati due romanzi di recente pubblicazione
come ll senso dell’elefante di Marco Missiroli (Guanda), e Le parole perdute di Amelia Lynd che Nicola Gardini ha pubblicato per la Feltrinelli.

Il romanzo di Missiroli ha per protagonista un ex sacerdote riminese, trasferitosi a Milano e diventato portinaio di un condominio, dove apparentemente svolge il suo mestiere con inappuntabile discrezione. Eppure, ogni giorno, s’introduce nell’abitazione di una famiglia d’inquilini, i Martini, e si mette a frugare nell’intimità altrui. Di qui prende le mosse una storia che scava in un complicato intreccio di rapporti affettivi e segreti custoditi nel passato.

Portinaia, o custode (come preferisce definirsi), è anche l’Elvira del romanzo condominiale scritto da Gardini e ambientato nello stabile d’una fantomatica via Icaro dove l’arrivo dell’anziana ed enigmatica Amelia Lynd, ostracizzata dagli altri inquilini, fa lievitare reazioni imprevedibili. Sarebbe facile, ma ingiusto, liquidare questa singolare concomitanza narrativa con un semplice effetto riccio, un modo per sfruttare la scia d’un titolo di successo. A ben guardare, infatti, la presenza del portinaio, questo guardiano della soglia, umile erede di Cerbero e dell’arcangelo Gabriele, è da sempre tutt’altro che irrilevante nel mondo del romanzo.

Tanto da potere configurare un «paradigma portinariale» della letteratura occidentale che si declina in molti modi diversi: dal cosmo condominiale esplorato da Georges Perec in La vita: istruzioni per l’uso alle portinaie della serie simenoniana con il commissario Maigret, come la memorabile Madame Blanc in L’amico d’infanzia di Maigret, alla sora Emanuela del Pasticciaccio gaddiano. La scrittrice Amélie Nothombe rivendica addirittura il senso di appartenenza a una portinarietà categoriale: «Apro, accolgo, chiudo, riparo fughe d’acqua, segnalo problemi elettrici... Davvero: sono una portinaia. E di grande qualità». Perfino Cesare Battisti, ex terrorista e romanziere di noir, fu portinaio a Parigi. Tanto che, durante il periodo di detenzione francese, gli inquilini del suo stabile firmarono assieme a scrittori della gauche parigina un volantino intitolato «Ridateci il nostro portinaio».

Arcaico custode di un’intimità minacciata nell’era di Facebook e di Twitter, ma allo stesso tempo sguardo esterno che s’insinua nelle vite altrui: forse il portinaio è oggi la metafora più rappresentativa dello scrittore che, suo fratello e suo simile, volentieri si rispecchia in lui. Per la gioia di noi «ipocriti lettori».  

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Silvia Tomasi