Le passioni imprigionate nel sasso: il freddo Rilke e il crudele Rodin
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Le passioni imprigionate nel sasso: il freddo Rilke e il crudele Rodin

Mentre noi eravamo ancora indecisi se nascere o no nel secolo che si stava spalancando, c’era un poeta afflitto, come devono essere i poeti, da quotidiane angosce, sempre sul bilico della malattia fisica e nervosa che ancora non si …Leggi tutto

Abduct, Amie Dicke 2008

Mentre noi eravamo ancora indecisi se nascere o no nel secolo che si stava spalancando, c’era un poeta afflitto, come devono essere i poeti, da quotidiane angosce, sempre sul bilico della malattia fisica e nervosa che ancora non si sapeva come chiamare, e che nelle relazioni importanti della sua vita sentiva una strettezza e una freddezza simile a quella che si avvertirebbe mettendo delle «gocce di limone nel sangue».

Come i migliori, si scalda al cospetto delle forme fredde, si perde dietro piccolezze che hanno la volgare loquacità del quotidiano, preferisce il secondario attorno a cui non può formarsi nessun nucleo, sente di avere costantemente un «debito di sonno col mondo», si sente «sperso come un morto in una vecchia tomba».

Sì, un po’ come noi il lunedì mattina.

Rappresenta un uomo in ginocchio che, con il contatto della fronte, risveglia nella pietra davanti a sé le forme lievi di una donna, ancora imprigionata nel sasso. 

È Rilke, nel 1902. Sta parlando di una scultura di Rodin. Ha rotto da poco con Lou Salomé, che gli ha scritto una lettera durissima dall’oggetto «Ultimo appello» in cui gli rimprovera la sua mancanza di autonomia e gli parla «come una madre».


Rilke, che sente «grave la vita», è allo scultore Rodin che si rivolge allora, in cerca di un nuovo e stavolta davvero grande modello a cui ispirarsi.

Gli scrive, prima di raggiungerlo a Parigi:

«Onorato maestro, l’occasione di scrivere sulla vostra opera rappresenta per me una vocazione interiore, una festa, una gioia, un grande e nobile compito a cui sono tesi tutto il mio zelo e tutto il mio amore».

Vuole scrivere una monografia, proponendosi, come il Malte del suo romanzo, un «apprendistato dello sguardo». Dell’opera di Rodin gli interessa il momento in cui il dato emotivo, transitorio, si trasforma nel gesto artistico e diventa universale. E comincia a scrivere un trattatello che è un denso e vibrante poema d’amore per Rodin, in cui non parla solo delle sue opere, ma entra per così dire nella sua testa, nella sua volontà e nella sua solitudine.

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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