Carlotta de Bevilacqua, l'architetto resiliente
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Carlotta de Bevilacqua, l'architetto resiliente

Ha scelto l'illuminazione per realizzare i suoi progetti. Che si adattano, come fa la natura

Un tempo la si sarebbe definita un architetto militante: cervello fino, dialettica da trascinatore, estrema coerenza tra il dire e il fare e massimo rispetto per tutto ciò che è socialmente utile. Ora che militanza è un termine, e forse anche un concetto, desueto, Carlotta de Bevilacqua potrebbe essere ritenuta una designer "resiliente". Aggettivo molto caro all'architetto milanese, tra le poche donne con un certo peso specifico nella progettazione e ideazione di brevetti nel campo dell’illuminazione. Lo stile non le interessa, il decoro la indispone perché tutta la sua ricerca ruota intorno al concetto che "l’innovazione può migliorare la qualità della vita degli uomini e quindi dovrebbe essere alla base di ogni progetto" come spiega ai suoi studenti del Politecnico.

Docente, imprenditore (è proprietaria della Danese ed è consigliere della Artemide, l’azienda fondata dal marito Ernesto Gismondi) e architetto "resiliente". Cominciamo da quest’ultimo concetto?
Resiliente è la mia parola magica da qualche anno. Resilienza vuole dire adattarsi agli shock, rimbalzarli per generare una nuova proposta, una nuova soluzione. Perché noi dobbiamo dare l’esempio e trovare soluzioni che affrontino gli epocali cambiamenti in atto fornendo progetti duraturi, rispettosi dell’ambiente, della qualità umana e che costituiscano anche business.

Che cos’è il progetto?
Come dice Gilles Clément, un paesaggista e ingegnere agronomo francese, autore del Manifesto del terzo paesaggio (Quodlibet, 87 pagine, 12 euro), "l’importante è la profondità e non la definizione". I confini non sono importanti ma lo è lo spessore delle analisi: per un progetto si ascolta il mondo e si fornisce una soluzione che si rimanda nel mondo. La competenza, che sta alla base di qualsiasi progetto, non è un recinto chiuso, perché parla un linguaggio universale. Bisogna radicarsi in profondità e, come fa la natura, essere biodiversi. E queste caratteristiche costituiranno le protezioni spontanee favorevoli alla vita.

In termini concreti che cosa vuole dire?
L’illuminazione è il settore del design che negli ultimi anni ha subito le trasformazioni tecnologiche più profonde. Si è passati dalla lampadina ai led, per intenderci. Tutto questo processo è nato di pari passo con una sensibilità ecologica adulta, attraverso l’utilizzo di meno risorse e l’aumento della durata delle cose. Lampade come la Una di Danese o la Copernico di Artemide sono il frutto di una sintesi fra sostenibilità, nuove tecnologie industriali, brevetti elettronici e piacevolezza. Perché la luce non è qualcosa che accendi e spegni, ma puoi modularla e stabilire una relazione attiva e affascinante.

Che cosa pensa sia necessario in questa fase di cambiamenti globali?
È un momento storico importante, come dico spesso a mia figlia. Sento che la decandenza sta per finire e ci serve un nuovo umanesimo.

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Antonella Matarrese