Generazione X, ma siamo tutti una generazione perduta
La tradizione è il vecchio, il palazzo da distruggere. Ma c’è chi guarda al passato senza rancore
di Marco Filoni
"Siete tutti una generazione perduta". Tagliente e marziale, l’affermazione senza scampo di Gertrude Stein è vera. Tanto vera che Ernest Hemingway la volle come epigrafe del suo Il sole sorge ancora. Anche la Generazione X descritta da Douglas Coupland era perduta. Ma perché? Proviamo a spiegarlo con il ricorso alla tradizione. Solitamente pensiamo la tradizione in contrapposizione alla rivoluzione. Tradizione è l’antico, il vecchio, ciò che è passato, a cui ciò che viene poi guarda come il palazzo da distruggere, simbolicamente o meno. Esattamente la stessa attitudine di ogni generazione nei confronti di quella che l’ha preceduta e generata. È la vecchia retorica, ormai cantilena d’ogni dove, dell’uccisione del padre da parte del figlio. E sia.
Eppure, c’è chi guarda alla tradizione senza rancore. Per esempio Georg W.F. Hegel, che pensava che la tradizione innova, a volte radicalmente (come insegnano gli esempi storici di Alessandro, il Cristianesimo, Martin Lutero, la Rivoluzione francese, Napoleone), quindi "rivoluziona", mentre altre volte si spegne come lo sfogliarsi e l’esalarsi della rosa: "Le montagne immutabili non hanno più eccellenza della rosa, che si sfoglia rapidamente nella sua vita e si consuma in profumo", scrive il filosofo tedesco in una sua bella pagina. Perciò ogni generazione non può che esser perduta, perché figlia della tradizione, vogliosa di innovare e rivoluzionare. E non è un processo pacifico. Lo ha descritto, col suo reale cinismo, Sigmund Freud alla vigilia della Prima guerra mondiale: "Proprio l’imperiosità del comando 'non uccidere' ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere". Parafrasando un vecchio proverbio giapponese, una generazione dura una vita, una buona tradizione dura per sempre.