“Cinque cerchi e una stella” – l’incredibile storia di un marciatore ebreo
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“Cinque cerchi e una stella” – l’incredibile storia di un marciatore ebreo

In un libro la vita di Shaul Ladany, campione di marcia sopravvissuto ai campi di sterminio, alla strage olimpica di Monaco e a tre guerre in Palestina

Sempre in marcia, un passo dietro l’altro, combattendo la fatica, le difficoltà, anche quelle peggiori, e le distanze. Questo può essere in breve il riassunto della vita del settantaseienne Shaul Ladany , ex atleta israeliano dall’intenso passato.

All’età di 8 anni venne catturato dai nazisti, a Belgrado, la sua città natale, e spedito a Bergen Belsen. Sopravvisse all’Olocausto, e dopo la guerra si trovò a vivere negli Stati Uniti, dedicandosi agli studi e allo sport. Si trasferì in Israele non appena divenne uno stato, iniziando la sua carriera sportiva, prima come maratoneta e poi come marciatore, diventando uno dei migliori tra gli anni Sessanta e Settanta.

Nel 1972 partecipò alle tragiche Olimpiadi di Monaco, non rimanendo fortunatamente coinvolto nel rapimento che costò la vita a undici suoi compagni. Ma non finisce qui, perché Laudry ha anche combattuto ben tre guerre, con l'Egitto nel 1956, quella dei Sei giorni nel 1967 e quella dello Yom Kippur nel 1973, uscendone ogni volta illeso.

Tutto questo è raccontato in Cinque cerchi e una stella di Andrea Schiavon (ADD editore), giornalista sportivo e marciatore amatoriale, colpito profondamente dalla incredibile storia di Shaul Ladany. L’autore ha infatti raccolto tutto il materiale raccolto nei suoi incontri e conversazioni con l’ex campione, restituendolo in questo libro.Prendendo in prestito alcune parole dal testo:

“E’ la forza di volontà a spingere Shaul. Puoi sopravvivere e iniziare a morire dentro. Oppure puoi andare oltre. Shaul Ladany lo ha fatto. Per due volte. (…) Forse non è un caso che, da atleta, abbia scelto la marcia: un metro dopo l’altro, sempre dritto senza voltarti. E a ogni passo metti una distanza tra te e quello che ti sei lasciato alle spalle”.

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Andrea Bressa