Boris Pahor, 5 libri per i suoi 99 anni
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Boris Pahor, 5 libri per i suoi 99 anni

Ha quasi cento anni lo scrittore sloveno che con i suoi libri ha raccontato la Trieste del secolo scorso

Alla soglia del secolo di vita, Boris Pahor, autorevole esponente della letteratura slovena, più volte candidato al Nobel, è uno degli ultimi testimoni diretti delle vicende del confine orientale, durante il secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra. Nato il 26 agosto 1913 a Trieste, dove tutt’ora vive, Pahor ha intriso tutta la sua carriera di scrittore proprio con le delicate tematiche che emergono da quei lontani giorni.

Visse le prepotenze e i crimini dei fascisti e partecipò attivamente alla Resistenza slovena, cosa che gli costò la deportazione nei lager tedeschi durante l’ultimo anno di guerra. L’esperienza dei campi lo segnò profondamente, tanto che il tema ricompare in tutta la sua opera.

A fine conflitto si trovò alle prese con un’altra dittatura, quella sorta in Jugoslavia, che cambiava sì colore, ma non i metodi di prevaricazione. Negli anni Cinquanta mantenne costanti rapporti con il poeta dissidente Edvard Kocbek e nel 1975 pubblicò assieme allo scrittore Alojz Rebula il libro Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca, in cui venivano denunciati i crimini del governo comunista. Il volume suscitò la dura reazione delle autorità jugoslave, che arrivarono a negare all’autore l’ingresso nel paese e a proibire le sue opere nella Repubblica Socialista di Slovenia.

Nonostante recenti polemiche circa alcune sue controverse dichiarazioni dai contenuti razzisti, Pahor si è sempre distinto come intellettuale scomodo, impegnato nella difesa delle identità nazionale e culturali, oltre che della libertà dell’individuo.

Ecco dunque cinque libri per festeggiare i suoi 99 anni.

Necropoli
È l’opera più conosciuta di Pahor, grazie alla quale ha vinto diversi premi letterari (tra cui il Premio Resistenza nel 2008). Sono le memorie che il triestino ha scritto nel 1967 dopo la visita al campo di concentramento di Natzweiler-Struhof , sui monti Vosgi. Mentre passeggia insieme ai turisti tra le baracche ormai diventate museo a cielo aperto, l’autore rievoca la sua personale esperienza in questo campo e in quelli di Dachau e Bergen-Belsen, dove aveva subito la fame, il freddo, le umiliazioni e il dolore. Pahor si chiede come descrivere tale tragedia a chi non l’ha vissuta: un orrore che rischia di diventare indicibile.

Dentro il labirinto
Dopo essere stata il simbolo della Resistenza ai fascismi, la comunità slovena alla fine della Seconda Guerra Mondiale si ritrova nella gabbia di un’altra dittatura altrettanto soffocante. Il protagonista di questo romanzo, Radko Suban (alter ego di Pahor), dopo il lager e il sanatorio torna alla sua città natale, Trieste, tenuta in scacco dalle grandi potenze. Un mondo nuovo in cui Radko non si riconosce, nonostante la vuota promessa di aiuto di Arlette, infermiera francese conosciuta al sanatorio, di cui si era innamorato. È il racconto di un cammino in un labirinto ostile, in cui dover imparare di nuovo a orientarsi, tra rapporti falsati da interessi e ideologie, eredità della guerra appena passata.

Figlio di nessuno
Recentissima autobiografia di Pahor, scritta con la giornalista Cristina Battocletti. Si tratta di una confessione intima in cui lo scrittore ripercorre la difficile vita di “uomo di confine”. Ma ci sono anche tante memorie private, come i giochi dell’infanzia, il primo amore, la morte della moglie. Da un estratto del libro: "Sono stato un uomo passivo, lo dico con rimpianto. Ho guardato la storia incedere, l'ho subita, ma con la schiena sempre dritta, fedele all'uomo, più che all'ideale".

Il rogo nel porto
Anche in questo romanzo si trovano i temi fondamentali, principalmente autobiografici, della produzione di Pahor, accompagnati da un poetico sguardo sui ricordi di gioventù, sui familiari paesaggi marini di Trieste e sulle distese carsiche.

Il petalo giallo
Una strana lettera arriva nelle mani di un autore sloveno reduce dai lager. L’ha scritta una giovane donna sconosciuta, che nella missiva racconta velatamente il male subito nell’infanzia, paragonandolo agli orrori dei campi. Lo scrittore prova a decifrare lentamente il segreto della ragazza, scoprendo a poco a poco la devastante violenza familiare che le ha violato e annientato il corpo.

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Andrea Bressa