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Cristò, ‘Restiamo così quando ve ne andate’ - La recensione

Storia di un quarantenne in crisi di identità. Un romanzo musicale che ha il suono di un do granuloso e profondo

C’è un identikit del lettore ideale di questo romanzo nell’aletta di copertina, chi nella vita avrebbe voluto fare altro e forse è ancora in tempo per provarci. Non so se l’autore sarebbe d’accordo. Fra i pregi di Restiamo così quando ve ne andate c’è la coerenza del suo mood: cupo e cerebrale, poetico e musicale, malinconico ma anticonsolatorio. In un momento chiave della storia Cristò immagina di poter scegliere tra cinque diversi epiloghi. Scommetto che nessuno sceglierebbe il lieto fine, perché il flusso di coscienza del protagonista contiene una mappa delle umane debolezze, fra cui la più umana di tutte è proprio l’incapacità di reagire all’impressione che siano sempre gli altri a determinare gli eventi che ci riguardano.

Fra pietas e stati di alterazione

Somiglia maledettamente alla nostra la vita di Francesco, “una vita qualsiasi in una casa qualsiasi”, una giornata merdosa a contare monetine in un ipermercato e un frigorifero vuoto che lo attende, puntuale ogni sera insieme alla solitudine e alla sua ancella rabbiosa, l’ansia. Una famiglia da cui non ha saputo staccarsi, sebbene il padre abbia da tempo troncato ogni comunicazione con quel coglione d’un figlio a cui aveva perfino trovato un lavoro. La maglia invisibile del senso di colpa che intride la stanza dei rimorsi col rimorso più grande di tutti: a quarant’anni, non aver saputo ancora diventare adulto.

Somiglia alla nostra con il portatile sulle ginocchia a controllare Facebook e Wikipedia davanti a un telefilm qualsiasi, la voglia di crogiolarsi nell’autocommiserazione parlando sempre delle stesse cose - il lavoro, il tempo che fugge - con l’unico straccio di amico che ci sopporta. Ma è l’hashish il vero compagno della quotidiana inedia, dondolo, ninna nanna, dilatatore del tempo, cura per la gastrite e per gli attacchi di panico, ammorbidente della disperazione, ricettore di sinestesie, matrice di un dubbio subdolo che ti fa svegliare più stanco di quando hai chiuso gli occhi: “poter essere tutto e non essere quasi niente”.

Il realismo magico di una sonata

Dolore, alienazione, paranoia, dipendenza, repulsione alla gabbia del sistema. Potrebbe sembrare un ingenuo calco della “pecora nera di buona famiglia” portata al successo da William Burroughs, un’icona d’altri tempi aggiornata all’epoca dei social network, appena spruzzata da piccole dosi di erotismo fantasmatico mentre una rudimentale Dream Machine proietta sulle pareti di casa un groviglio di visioni confuse. Invece no. Il romanzo cresce d’intensità sull’onda di una luce improvvisa, come una progressione di accordi eseguita su una tastiera.

Pianoforte, violoncello. Il suono apre il tappo, poi ruba spazio al bisogno di controllo e ai rigurgiti di coscienza del pensiero pomeridiano. La musica s’impossessa dello spartito narrativo, diventa Creatura di assoluta, sublime idealità, spirito e corpo, liberazione e catena, urlo e silenzio, amore e morte. Attraverso l’ossessione di Francesco (“la musica non deve diventare un lavoro”), Cristò introduce il lettore nel misterioso, inebriante, disperato circolo del processo compositivo. 87 BPM, poco sopra la media di un sano battito cardiaco. L’orgasmo di un do pieno, a corda vuota.

La vibrazione degli immobili

Benché la suddivisione del romanzo in quattro sezioni (dieci giorni, dieci ore, dieci mesi, dieci anni) faccia pensare a una sceneggiatura in cut-up, il ritmo non perde mai l’unità di tempo, piacevole, fluido, addirittura riposante. Solo ogni tanto il flusso di coscienza del narratore interno lascia spazio, parole e veste tipografica a narratori esterni che strada facendo scopriremo avere imprevedibili - eteree ma nel contempo robustissime - sembianze. 

Alla loro voce corale è affidata la sezione intitolata Immobili, in cui finalmente troviamo la ragione del bel titolo e della bella copertina di Restiamo così quando ve ne andate. È l’ultimo tempo di una suite che dolcemente si spegne, com’era iniziata, con una amara riflessione sull’abbandono, ovvero la “conseguenza inevitabile di qualsiasi permanenza”.

Cristò
Restiamo così quando ve ne andate
Terrarossa edizioni
240 pp., 15 euro

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Michele Lauro