Coachella 2014, la seconda giornata: vince Pharrell Williams
I Muse, il cantante di Happy, Queens of the stone age e....
Seconda giornata di musica al Festival di Coachella in California. Nomi affermati e band emergenti in quello che non a torto è considerato il miglior festival del mondo. Ecco com'è andata nella serata dei Muse, ma anche e soprattutto di Pharrell Williams.
Unlocking the truth
In due parole: tesoro, mi si sono ristretti gli Slayer
Cioè: la band più pesante di tutto il Coachella è un trio metal formato da tre tredicenni neri di Brooklyn. Si sono appassionati al genere guardando il wrestling in tv. Basta chiudere gli occhi per essere a un concerto thrash metal. Scatenano un pogo furioso e alla fine si lanciano sul pubblico. Da non crederci.
Temples
In due parole: Magical Mystery Tour
Cioè: il caso di un gruppo che mantiene le promesse. Psichedelia ispirata agli anni 70 (anche nelle pettinature), melodie sognanti. A tratti sembrano quello che Noel Gallager prova a essere da (forse troppi) anni. Attirano un gran numero di fan per essere quattro inglesi ai primi passi sulla West Coast. La scaletta li mette in posizione deaffaticante. Scelta azzeccata.
Bombay Bicycle Club
In due parole: vincere facile
Cioè: visto che l'ultimo album gli è venuto un gran bene suonano quasi solo quello. Il pubblico sembra esserselo ascoltato un bel po' di volte. Gli viene perciò tutto facile, anche se meno elettronico rispetto al disco. Il cantante sfodera uno dei riporti più coraggiosi del festival.
MGMT
In due parole: suonateci le hit
Cioè: a quanto pare, questa volta Di Caprio non c'era. Accompagnati da animazioni video mininali tra le più stilose, i MGMT se la prendono comoda. Lunghe pause tra una canzone e l'altra, understatement esibito. Tanto sanno che l'immenso pubblico vuole solo sentirli suonare la hit Kids. Hanno ragione.
Lorde
In due parole: sopravvalutata
Cioè: la neozelandese che ha creato un caso con la sua hit Royals attira il pubblico dei grandi nomi. Se la cava, ma il menu, non molto adatto ai grandi palchi, è un po' troppo uguale a se stesso .
Fatboy Slim
In due parole: heat sleet rain repeat
Cioè: l'intro sul motivo di Right here right now fa temere un dj-set da revival, che invece il dj britannico riesce a scongiurare, aiutandosi con una miriade di campionamenti (da Marvin Gaye in "I heard it through the grapevine" ai motivetti Disney) e con l'impianto impressionante della Sahara tent (un grosso hangar tutto dedicato alla musica "da discoteca"). A suo modo, ha ironia: per tutta "Eat, Sleep, Rave, Repeat" l'animazione video dice Heat, Sleet, Rain, Repeat. Dopo un po' si unisce alla festa anche l'installazione a forma di astronauta che da due giorni vaga per il festival.
Queens of the stone age
In due parole: regolare
Cioè: ci si aspetterebbe qualcosa di speciale, non foss'altro perché Josh Homme è nato e cresciuto qui. Invece sembra un concerto come un altro, lungo il tour. Fanno il loro lavoro, ma non spiccano in una serata che scoppia di nomi di primo piano.
Mogwai
In due parole: trip
Cioè: i festival sono dispersivi, per il post-rock strumentale dei Mogwai ci vuole attenzione. Patiscono la situazione, stretti tra tendoni che pulsano musica house o rock più ritmato. Si difendono coi denti.
Pharell Williams
In due parole: Pasqua con i tuoi
Cioè: si possono avere molte riserve su Pharell Williams finché non lo si vede in azione dal vivo. Il re Mida delle hit su scala mondiale dimostra gran classe. Mette in scena un grande spettacolo, suonato dal vivo il più possibile. Fa suo un grande classico dell'hip hop: perché star da solo sul palco quando si posson avere ballerine e uno-due ospiti a canzone? Sì, c'è stato Jay-Z. Sì, ha fatto Get lucky e anche Happy.
Muse
In due parole: opachi
Cioè: saranno i problemi di audio o quelli di stato di forma, ma i Muse sono il gruppo di testa più snobbato del festival. Provano a riprodurre parti dello spettacolo che hanno portato negli stadi, ma danno l'impressione di non essere nella serata giusta. L'applauso più grande è quando citano un pezzo non loro (Freedom dei Rage Against The Machine). L'inno americano suonato alla chitarra da Matthew Bellamy non basta a conquistare la California.