Cannes, weekend con i morti

Cannes, weekend con i morti

Sulla porta della mia camera ci sono Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Su quella accanto Robert Mitchum. Di fronte Fellini. Le chiamano icone, sono foto di morti – Birkin non c’entra, poverina; ma tant’è. C’è un lugubre senso di paramenti …Leggi tutto

Sulla porta della mia camera ci sono Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Su quella accanto Robert Mitchum. Di fronte Fellini. Le chiamano icone, sono foto di morti – Birkin non c’entra, poverina; ma tant’è.

C’è un lugubre senso di paramenti viola, quest’anno a Cannes. Marcello occhieggia dal poster (sì, va così sempre, l’anno scorso c’erano Paul Newman e Joan Woodward, ma non si capiva subito che erano loro: che erano due morti). Grace Kelly, biografata in un film decomposto, ha aperto il Festival.

Poi c’è Yves Saint Laurent, fissa dei francesi come per noi Domenico Modugno. Prima è uscito (anche da noi) il film approvato da Pierre Bergé, con anche il nome Yves nel titolo, ora in concorso a Cannes è passato Saint Laurent e basta, che dovrebbe essere molto più scandalosamente d’auteur e invece è una noia come quell’altro. Pure lì: tutti morti.

Il sommo David Cronenberg è stato invitato con Maps to the Stars, un Protagonisti di Altman degli anni dieci, ennesima variazione sul tema a che prezzo Hollywood, noto posto di defunti, spesso vivi.

Si assiste, la mattina presto sulla montée des marches, alle furiose arrampicate di pensionati ottuagenari molto più svegli di me. Si sono accaparrati biglietti per proiezioni a caso, film austriaci come coreani, si travolgono l’un l’altro alle sette e cinquantaquattro per prendere il posto migliore.

Si assiste, a tutte le ore, alla lotta tra critici, giornalisti, scribacchini a suon di accrediti, il conto delle proiezioni viste (anche dormendo per metà) come il gioco a chi piscia più lontano, «Non l’hai visto? Pazzo!». Rispondo: «Anche con tutti i film cerchiati sul programma, si muore uguale».

I più belli finora sono Mr. Turner di Mike Leigh e Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan. Nel primo, il più immenso regista inglese vivente usa il pretesto dei quadri di William Turner, appunto, per raccontare cosa sono l’ispirazione, il progresso, la luce (abbattetemi); in definitiva: la morte.

L’altro è lo stato delle cose nella Turchia di oggi, per bocca (è il film turco più parlato nella storia dei film turchi) di personaggi un po’ Demonî di Dostoevskij un po’ Scene da un matrimonio di Bergman (non esagero); soprattutto, del protagonista: un intellettuale velleitario che, dalla finestra di una casa-loculo della Cappadocia, fa i conti con l’approssimarsi della morte.

Vado a bere un bicchiere di pouilly. Potrebbe essere l’ultimo.

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Mattia Carzaniga

Nato nel 1983, giornalista, scrive per varie testate. Ha pubblicato i  libri «L'amore ai tempi di Facebook» (Baldini Castoldi Dalai, 2009) e  «Facce da schiaffi» (Add Editore, 2011). Guarda molti film, passa troppo  tempo on line, ruba pezzi di storie alle persone che incontra.

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