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Calcio

La rivincita di Inzaghi e il paragone con l'Inter di Mourinho

Non solo i risultati: per qualità del gioco e capacità di adeguarsi alle scelte societarie, il tecnico nerazzurro è diventato uno dei top in circolazione. E autorizza qualche domanda sul passato

Un anno fa nel mezzo dell'inverno, prima della cavalcata fino ad Istanbul e del finale a razzo in campionato, Simone Inzaghi era un 'dead coach walking'. Messo in discussione dentro e fuori l'Inter, costretto a leggere ogni mattina ultimatum via stampa secondo i quali per tenersi la panchina non gli sarebbe nemmeno bastato vincere le due coppe di riserva (Italia e Supercoppa) e un dignitoso cammino in Champions League. Troppe sconfitte, troppe incertezze e poi il peccato originale: lo scudetto perso contro il Milan nella volata della primavera 2022.

Oggi Simone Inzaghi è entrato in una dimensione diversa. Nessuno si sogna più di metterlo in discussione, dentro e fuori l'Inter. Anzi, la domanda vedendo la sua squadra esprimere un calcio moderno, tecnico, piacevole esteticamente e funzionale come risultati è diversa: bacheca a parte, è il meglio che i tifosi nerazzurri stanno vedendo negli anni Duemila?

I numeri dicono di sì, anche se gli manca l'incoronazione del successo in campionato. Il Triplete di Mourinho rimane inavvicinabile e Conte il titolo l'ha conquistato prima di salutare tutti, ritenendo il ciclo concluso per via delle difficoltà economiche della famiglia Zhang. E, però, nemmeno la squadra dello Special One e tanto meno quella di Conte hanno sviluppato una qualità complessiva paragonabile a quanto riesce a fare oggi l'Inter quando sta bene. Circostanza che si ripete abbastanza di frequente, almeno in questa stagione.

Il tema non è tentare un confronto impossibile. Per tutti gli allenatori conta la bacheca e quella di Inzaghi potrà essere pesata e valutata solo il giorno che lascerà Appiano Gentile. Il tema è provare ad andare oltre e giudicare il lavoro di un tecnico e il suo percorso di crescita senza aspettare la conferma o smentita dei risultati. In questo Inzaghi, che non gode di ottima fama tra i critici del pallone (Sacchi, per intenderci, continua a contestargli di praticare un calcio speculativo e poco europeo) può già dire di aver centrato l'obiettivo.

Per alcuni versi è il prototipo dell'allenatore moderno. Aziendalista il giusto, capace di sperimentare pur mantenendo modulo e identità, circondato da uno staff che ha dimostrato di saper gestire annate stracariche di impegni compressi limitando gli infortuni e garantendo una continuità accettabile di condizione. All'Inter ha subito gli sbalzi di mercato mettendosi sempre a disposizione. Per chi se lo fosse dimenticato, della squadra scudetto di Antonio Conte (anno 2021) gli sono rimasti solo Lautaro Martinez, Barella, De Vrij e Bastoni più Sanchez e Darmian. Tutti gli altri sono stati inghiottiti dalle logiche del player trading e dell'auto finanziamento sul quale solo una volta, educatamente anche se con un filo di polemica, ha fatto notare di essere vittima più che artefice. Ma erano i giorni in cui gli si chiedeva tutto dimenticando i sacrifici obbligati.

Nei prossimi mesi avrà la chance di cancellare il peccato originale del 2022. E magari di provare a costruire una nuova impresa europea, pur partendo da un budget minimo rispetto agli altri, Guardiola in testa. Già oggi, però, si possono cancellare i dubbi che troppo a lungo lo hanno accompagnato: non solo Inzaghi è un allenatore da Inter e non unicamente il ripiego scelto da Marotta dopo la fuga di Conte, ma per risultati e qualità del lavoro è il tecnico migliore che sieda sulle panchine della Serie A. Quasi pronto per un'esperienza fuori dall'Italia, così da convincere anche quelli che continuano a considerarlo un allenatore non ancora completo.

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Giovanni Capuano