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(screenshot da DAZN)
Calcio

Arbitri e Var, meglio il silenzio contro le polemiche

Tanti errori nell'ultima settimana, molti evitabili, ma i direttori di gara sono finiti nel mirino anche per quello che dicono. E che ora sentiamo, senza però esserci convinti che sbagliano e basta, senza malafede

Gli arbitri sbagliano e nell'ultimo turno di campionato hanno sbagliato. Per qualcuno troppo, visto che da giorni c'è chi chiede in ordine sparso di azzerare tutto, non falsare la corsa scudetto, evitare di condizionare quella per la ricchissima e vitale Champions League e, in maniera più diretta, mandare a casa questo e quell'altro fischietto. Nulla di nuovo sotto il cielo del calcio italiano. E' così da sempre, soprattutto quando la stagione entra nel vivo e a tante squadre - che hanno sbagliato campagna acquisti e scelte varie come e più di quanto facciano gli arbitri in campo e al Var - comincia a mancare la terra da sotto i piedi.

Da sempre gli errori di chi dirige le partite sono stati l'alibi dei perdenti o dei pareggianti. Questo inverno non fa eccezione e quindi rassegniamoci alla litania degli allenatori che si presentano in sala stampa, premettono che "come sapete io non parlo mai di arbitri" (e quelli davanti fingono di acconsentire, pregustando i titoli che stanno per arrivare) e poi aggiungono il fatidico "però".

Ecco. Però c'è qualcosa di differente nell'ondata di fango che si solleva verso la categoria più odiata e meno difesa di tutte, quella che non ha tifosi ma solo avversari e che fa vendere copie e abbonamenti unicamente quando se ne parla male. La differenza è che non è stato loro sufficiente nemmeno aprirsi al dialogo, parlare, spiegare, ammettere gli errori per togliersi di dosso l'etichetta di incompetenti pure un po' in malafede.

L'esperimento è fallito. Al tifoso medio di calcio non interessa ascoltare gli audio degli episodi più interessanti e nemmeno che qualcuno dei responsabili degli arbitri dica dove e perché si è sbagliato. Interessa sentire anche senza capire, questo sì, per essere coccolato nella sua comfort zone che è quella classica: noi siamo penalizzati, la squadra X (a piacere) ruba e lo fa da sempre. A rotazione, seguendo l'ordine a scorrimento della classifica.

Esempi? Uno per tutti, ma ce ne sono decine. I milanisti agitano come un feticcio il verdetto dei vertici arbitrali sul rigore non dato a Thuram nel derby ("Troppo leggero per fischiare"), ma se gli stessi vertici dicono che ad Empoli non era rosso contro Cacace ("Manca il parametro della velocità") lo fanno solo per non confessare l'inconfessabile perché sono una corporazione, una casta, gli autoeletti che non devono dare conto a nessuno. E poi il dibattito surreale sul fatto che in una sala Var possa esserci dissenso, salvo esistere una figura gerarchica superiore (il Var rispetto l'AVar) che alla fine decide. Come in un qualsiasi ufficio, ogni giorno, nella vita reale.

Non è cambiato nulla nel dibattito intorno agli errori - tanti, troppi, brutti e cattivi (così l'abbiamo scritto anche noi) - degli arbitri. Anzi. E' tutto peggiorato perché adesso gli stessi arbitri si presentano nudi al confronto. Non sentirete mai un allenatore dire a caldo che quel suo attaccante ha sbagliato tutto, farvi ascoltare cosa gli ha urlato il compagno che gli aveva servito l'assist e annunciare che starà un mese in panchina per punizione. Dai mitologici vertici arbitrali lo si pretende e non basta ancora.

Anche perché l'operazione di spiegare come funzionano regole e protocolli sta miseramente fallendo. La sensazione è che non interessi nemmeno, al tifoso medio e a chi gli deve vendere il prodotto che legge o ascolta. E' sempre colpa degli altri, quelli che arbitrano o stanno in sala Var. Al massimo di chi scrive regole fatte apposta per rovinare il gioco più bello del mondo, quello che "ah signora mia come si stava meglio prima". E che non capiscono che mettere il Var ha tolto la poesia, ma il Var si usa troppo poco e dovrebbe essere chiamato sempre e comunque. Come la moviola in campo di Biscardi. Ma solo se mi dà ragione, altrimenti al rogo insieme a quei poveracci che ci stanno dietro.

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Giovanni Capuano