La pausa lontano dalla squadra per ricaricare le pile, nervose ed emotive, è un inedito nella carriera di Antonio Conte. Non la crisi del secondo anno o della stagione successiva a un trionfo in campionato, perché la storia del tecnico leccese in rottura prolungata con lo spogliatoio del Napoli racconta di salite e discese ardite soprattutto dopo la prima annata o dopo aver messo in bacheca un titolo.
Il punto di partenza è che solo alla Juventus dal 2011 al 2014 Conte ha resistito per tre anni sulla stessa panchina e non è comunque finita bene: l’addio a ritiro precampionato appena iniziato, nel cuore dell’estate, è una ferita che non si è mai rimarginata per l’ambiente bianconero e che forse ha anche precluso all’allenatore ogni ipotesi di ritorno a Torino. Allora il tema del contendere erano le divergenze sul mercato, sintetizzate nella celebre e sfortunata battuta sul ristorante “da cento euro” non praticabile con un budget da dieci. Era la Champions League che il successore, Max Allegri, attraverso portando la stessa Juventus pochi mesi dopo fino alla finale di Berlino per poi tornarci due anni più tardi a Cardiff.
Bari, Atalanta e Siena: i primi addii della carriera di Conte
Che il carattere di Antonio Conte non sia facile lo hanno imparato per prime Bari, Siena e Atalanta dove il tecnico leccese ha avviato la sua carriera da allenatore. In Puglia lasciò dopo aver portato la squadra alla promozione in Serie A nel giugno 2009: campionato vinto, contratto rinnovato, divergenze d’opinione sul mercato e risoluzione dell’accordo senza nemmeno arrivare al debutto nella massima divisione.
All’Atalanta la parentesi di Conte è durata ancora meno: assunto nel settembre 2009 e dimissionario quattro mesi più tardi con un bilancio non lusinghiero di 13 punti in 13 giornate. Altro giro a Siena la stagione successiva con rendimento clamoroso (promozione diretta in A) da condottiero e a festa consumata l’addio per rimettersi sul mercato. Anche perché, spigolosità di rapporti a parte, il suo modo di far rendere le squadre affidategli aveva suscitato l’attenzione della Juventus di Andrea Agnelli e da lì Conte sarebbe partito per il salto nel grande calcio.
Juventus, l’addio consumato nel mezzo dell’estate
Alla guida della Vecchia Signora Antonio Conte è diventato… Antonio Conte. Ha vinto cancellando con un colpo di spugna l’effetto Calciopoli, quella specie di maledizione che da un lustro impediva ai bianconeri di tornare competitivi lasciandoli alle spalle le vicende del 2006. Un condottiero per una squadra con tanti campioni, molti passati attraverso la sofferenza della Serie B, in cerca di un copione vincente perché le stagioni precedenti erano state un susseguirsi di delusioni fino al settimo posto prima del suo sbarco.
Tre scudetti in tre anni, l’avvio della striscia che ha proiettato quella Juventus nella storia del calcio italiano e che sarebbe poi stata completata da Max Allegri e Maurizio Sarri allungandosi fino a nove titoli consecutivi. Ma anche stagioni di asprezze comunicative con l’ambiente circostante, i suoi dirigenti e infine il club. Fino alla sprezzante allusione alle possibilità economiche del club nel cuore dell’inverno: “Non puoi sederti al ristorante da 100 euro con 10 euro in testa. In Europa ci sono squadre economicamente irraggiungibili, per me sarà molto dura vedere una squadra italiana in finale di Champions League da qui a tanti anni a venire”.
Altre frizioni sul mercato, l’imposizione da parte di Andrea Agnelli perché rispettasse l’accordo sottoscritto con conferma via tweet e, smaltite le ferie estive, il rientro a Vinovo giusto in tempo per comunicare la decisione di voler mollare tutto. Sullo sfondo la nazionale naufragata nel Mondiale in Brasile, senza più Prandelli alla guida, e che avrebbe portato ai quarti di finale nell’Europeo del 2016.
Chelsea, Inter e Tottenham: le separazioni burrascose
La regola del secondo anno è stata ripristinata subito dopo la parentesi azzurra. Al Chelsea di Abramovich e Marina Granovskaia, ereditato dopo una stagione fallimentare precedente e riportato sul tetto della Premier League nel maggio 2017, i risultati negativi dell’anno successivo e l’esonero con causa (vinta) in tribunale.
Poi l’Inter di Zhang e Marotta, l’uomo che lo ha voluto fortemente in nerazzurro sacrificando Spalletti e che ne ha assorbito le asprezze. Secondo posto e finale di Europa League nella stagione di debutto, segnata dall’esplosione del Covid, poi scudetto al secondo anno con sfogo finale per – pensieri e parole di Conte – non far salire sul carro dei vincitori nessuno che non fosse lui, lo staff e i giocatori. Come se i soldi spesi da Zhang per dargli quello che chiedeva sul mercato non avessero inciso. Infine l’addio con tanto di buonuscita.
Al Tottenham rientro in corsa per salvare il salvabile e rincorsa fino alla qualificazione alla Champions League e la seconda stagione abortita a marzo tra accuse e polemiche, in un momento difficile anche dal punto di vista della salute e del morale per le perdite dell’amico e punto di riferimento Ventrone. Ora il Napoli, dove il sospetto è di leggere un copione già consumato dal tempo e dalla consuetudine.
