Tre trasferte e tre sconfitte. Una a Manchester con la scusante della precoce inferiorità numerica, una a Eindhoven con una figuraccia storica e l’altra in casa del Benfica che fin qui era stato una comparsa. Il cammino del Napoli nella Champions League della consacrazione è negativo ai limiti del flop, perché ai tre zeri viaggiando si uniscono il pareggio senza reti contro l’Eintracht Francoforte e le vittorie con Sporting Lisbona e Qarabag. Non è solo una questione aritmetica, a far discutere è proprio l’impianto complessivo del rendimento europeo di una squadra costruita senza badare a spese dopo il trionfale quarto scudetto della sua storia.
Gli infortuni spiegano qualcosa ma non tutto. Che a Lisbona i partenopei pagassero dazio alla fatica, senza rotazioni a centrocampo, era immaginabile ed è accaduto. Semmai c’è da chiedersi la ragione profonda della strage di problemi muscolari che ha colpito la squadra, come se il dover affrontare una stagione diversa da quella scorsa – nella comfort zone del campionato – non sia stato metabolizzato per tempo adottando le corrette contromisure.
Tempo per sistemare le cose ne rimane, ma per arrivare ai playoff servirà non bucare più nessun appuntamento a partire da quello di Copenaghen che assomiglia a uno spareggio prima di chiudere in casa con il Chelsea. Quanti punti servono? Non meno di 4 anche se la differenza reti piange (-5) ed è un problema.
Napoli, l’emergenza infortuni non giustifica il rendimento in Champions
L’emergenza fisica, però, non può essere la coperta di Linus che copre tutti i difetti del Napoli europeo. E di Antonio Conte che è entrato in questa Champions League con la necessità di scucirsi di dosso l’etichetta dell’allenatore buono (ottimo) solo per le cose di casa e perdente in Europa. Solo nel 2013 con la Juventus si è arrampicato fino ai quarti di finale e il rischio è che questo Napoli aggiunga una perla alla collana dei flop e delle delusioni.
Il problema enorme è che quasi in nessun momento i campioni d’Italia hanno dato la sensazione di giocare un calcio all’altezza con le prescrizioni internazionali: ritmo, coraggio, qualità, rifiuto della speculazione. Le avvisaglie si erano viste già nei primi venti minuti contro il City, prima dell’espulsione di Di Lorenzo, ma averlo fatto notare era suonata come blasfemia. E’ come se il Napoli replicasse il peggiore cliché del calcio italiano in Europa.
Negli ultimi anni, però, ci sono state l’Atalanta di Gasperini, l’Inter di Inzaghi e non solo che hanno tracciato un solco dimostrando che con la forza delle idee si può fare ed essere competitivi anche senza budget miliardari riservate alle big della Premier League e a pochi altri. Conte no ed è un peccato perché oggi il Napoli rappresenta al massimo livello la Serie A fuori dai confini, ha cucito sul petto lo scudetto e non è accettabile che vada a farsi prendere a sculacciate tutte le volte che mette piede fuori dall’Italia.
Conte e la ricerca di alibi e scusanti
Meno alibi, più soluzioni. E per alibi si intende anche il tentativo di spiegare la figura di Lisbona con le due giornate di riposo in meno rispetto al Benfica e il viaggio in aereo come il tecnico ha provato a fare nel post gara: “Venivamo dalla partita di cartello di domenica alle 20:45 (contro la Juventus, ndr) e abbiamo dovuto viaggiare. Il Benfica ha giocato venerdì…“. E’ la vita delle grandi squadre, non una condanna ad personam. Lo stesso avrebbero potuto dire Italiano e Gasperini che hanno affrontato il Napoli in campionato avendo rispettivamente solo 64 e 70 ore per riprendersi da match durissimi di Europa League affrontati di giovedì con l’avversario fermo dal martedì.
Italiano ha vinto, Gasperini ha perso. Nessuno ha accampato scuse e nemmeno Conte ha sottolineato l’enorme vantaggio che il calendario gli aveva concesso. Farlo adesso per spiegare il ko con Mourinho significa guardare il dito e perdere di vista la luna.
