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Serve un magistrato che indaghi sul concorso per magistrati

Serve un magistrato 
che indaghi
 sul concorso per magistrati

Dopo la prova più recente, due candidati hanno denunciato errori «da penna blu», anomalie, messaggi in codice per gli esaminatori. Ma da tutto questo l’esito finale non sembra minimamente scalfito. D’altronde in Italia la selezione per il ruolo giudiziario più prestigioso funziona così. Almeno dai tempi di Tangentopoli…


Errori marchiani: svarioni imbarazzanti, in punta di diritto e perfino in ortografia. E poi prove d’esame scritte in stampatello, oppure costellate di grossi punti neri e di quadratini; ma anche elaborati dove pagine intere, o mezze pagine, o righe alterne sono state lasciate in bianco, come palesi segni di riconoscimento.

Compaiono perfino risposte scritte non sotto forma di testo, ma di «schemino»: qualcosa di più adatto a un allenatore di calcio, insomma, che non a un futuro giudice. Sì, perché di questo si tratta: l’elenco delle anomalie che avete appena letto è una parte dell’armamentario d’irregolarità che alla fine dell’estate è stato denunciato da due candidati classificati «non idonei» al termine dell’ultimo concorso di Stato bandito nel 2018 per 330 posti di uditore giudiziario (così si chiama il magistrato «praticante») e il cui scritto s’è svolto nel giugno 2019.

Benvenuti nel mondo al rovescio dei concorsi di magistratura. Là dove la correttezza e il rispetto del diritto dovrebbero essere un prerequisito minimo, la regola sono invece i sospetti e le denunce, e perfino qualche rissa. E dato che in Italia nulla mai cambia, soprattutto nel male, lo stesso identico elenco di anomalie è una costante ormai storicizzata. Compare, tale e quale, già nel concorso per magistrati del 1992. A denunciarlo 28 anni fa, mentre il Paese sta per essere sconvolto da Tangentopoli, è un altro candidato bocciato, Pierpaolo Berardi. Astigiano, classe 1964, quasi tre decenni dopo continua a battersi contro le storture del concorso e, suo malgrado, è il simbolo dell’impossibilità di avere giustizia.

Convinto di aver fatto un’ottima prova d’esame, nel 1992 Berardi viene invece giudicato non idoneo in tutte e tre gli scritti (diritto penale, civile e amministrativo); così presenta 15 ricorsi al Tribunale amministrativo regionale, denunce alla Procura di Perugia, ricorsi al ministero della Giustizia ed esposti al Consiglio superiore della magistratura. Grazie a una legge del 1990 ottiene le prove dei 275 candidati ritenuti idonei e scopre un armamentario di errori e orrori. Compare una miriade di evidenti segni identificativi indirizzati agli esaminatori, le cui firme sono spesso apposte irregolarmente o mancano del tutto. Un promosso non ha neppure finito il tema. Un altro ha copiato intere pagine di testi di diritto, punteggiatura compresa. Berardi calcola anche che la media di tempo riservata dalla commissione all’esame degli scritti è implausibile, tre minuti appena.

La busta con la sua prova d’esame, del resto, non risulta sia stata mai aperta: «Il 30 aprile 2008» dice a Panorama «il plenum del Csm riconosce che i miei elaborati non sono mai stati esaminati». Risultati? Uno solo, paradossale. Il Consiglio di Stato ha concesso a Berardi il diritto a una seconda correzione della sua prova: «Il problema» dice lui, sorridendo amaro, «è che viene affidata alla stessa commissione che ha svolto il primo scrutinio. Non hanno potuto che confermare il risultato, senza il minimo scostamento. Se avessero fatto diversamente, del resto, sarebbe stato come confessare».

Ma Berardi non molla. Scopre che l’elaborato di un candidato «idoneo» è scomparso dagli archivi del ministero della Giustizia. Quel candidato, curiosamente, ha padre, madre e fratello magistrati. I giornali parlano fugacemente dello scandalo, accendono interrogazioni parlamentari. Lo stesso ex procuratore generale di Torino, Silvio Pieri, si schiera con il ricorrente. Dice di aver verificato la sua documentazione, e protesta: «Non credo si possano ulteriormente ignorare i verbali sottoscritti da gente che non c’era, la storia del fascicolo sparito e degli elaborati giudicati “idonei” quando non lo erano affatto». Invece il muro di gomma resiste. Anche l’inchiesta di Perugia finisce archiviata. Tanto che oggi Berardi non fa il giudice, ma l’avvocato penalista nella sua Asti. Eppure, cocciuto, non desiste.

Ma ci vuole il suo carattere, per non mollare. La stessa lunga storia dei concorsi magistrati finiti «sub judice» sembra un monito a futura memoria. È una linea rossa che corre ininterrotta dal 1992 al 2019, attraverso decine di prove funestate da esposti e ricorsi finiti nell’oblio. Nel 2001 tre candidati denunciano che la loro commissione d’esame ha dettato le soluzioni a tutti i presenti. Risultato? Nulla.

Nel 2002 si scopre il tentativo di correzione di un elaborato da parte di una commissaria, che s’è introdotta nella stanza dove sono conservati i compiti. Si chiama Clotilde Renna, è magistrato di Cassazione: viene scoperta solo perché la fotocopiatrice cui ha chiesto la prova del suo intervento «salvifico», da consegnare all’amica candidata, s’inceppa e produce centinaia di altre copie. Un anno dopo, il Csm allontana Renna dall’ordine giudiziario. Ma il concorso non viene nemmeno sfiorato.

Nel 2008 la prova d’esame per i 500 posti da magistrato, alla Fiera di Milano, finisce con una rissa tra gran parte dei 5.600 aspiranti: nell’aula sono stati impunemente introdotti cellulari, appunti, codici pieni di foglietti e perfino libri di testo. Al grido «vergogna!», i candidati onesti vengono alle mani con quelli scorretti. I carabinieri si frappongono tra le due schiere, i commissari d’esame scappano. Risultato? Nulla.

Nel 2015, tra i compiti dei 368 vincitori, analizzati da candidati giudicati non idonei, compaiono segni di riconoscimento a dir poco imbarazzanti: asterischi, freccette, stelline, e perfino cuoricini. Risultato? Ancora una volta, nulla. A chiedere chiarezza sull’ultima prova del 2019 oggi s’è schierato il solo Pierantonio Zanettin, già membro laico del Csm e oggi deputato di Forza Italia.

A metà ottobre il ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, gli ha pilatescamente risposto in Parlamento che non può farci nulla, e che può occuparsene il solo Tar. Inutilmente Zanettin gli ha ricordato che la legge sui concorsi, un regio decreto del 1925, prescrive che «il ministro della Giustizia può intervenire in seno alla commissione d’esame ogni qualvolta lo ritenga opportuno, e ha facoltà di annullare gli esami nei quali siano avvenute irregolarità».

Ma a fine ottobre il Tar ha respinto il ricorso sostenendo che le decisoni dalla commissione d’esame, per quanto «opinabili», non sono «palesemente irragionevoli, immotivate o disarticolate dai criteri di valutazione predisposti dalla commissione stessa». Insomma, il Tar non vede e il ministro non sente.

Così, ancora una volta, uno scandalo rischia di finire dimenticato. Resta una sola speranza: ci sarà, da qualche parte, un magistrato che abbia voglia d’indagare sul concorso per i magistrati?

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