Quest’estate quattro nazioni partiranno alla conquista del Pianeta rosso: Stati Uniti, Europa, Cina, persino Emirati Arabi. Nel 2020 come non mai, quel corpo celeste un tempo simile alla Terra sarà percorso, esplorato, scavato… Per amor di scienza, ma non solo. Per prestigio politico, per testare nuove tecnologie, per colonizzare altri mondi. Per vanità spaziale. E in futuro, lassù, ci sarà anche qualche robot astronauta a farci compagnia.
Su Marte ci saranno, prima ancora che forme di vita più o meno evolute, problemi di parcheggio. Il primo posto disponibile, sulla superficie del pianeta, verrà occupato dal «suv spaziale» della Nasa, un rover che partirà quest’estate (dal 17 luglio in poi ogni data è buona) nella missione Mars 2020, dotato di strumenti per esplorare, scavare, estrarre campioni di suolo, persino convertire anidride carbonica in ossigeno. Gli americani, si sa, fanno sempre i primi della classe, anche a 57.590.630 chilometri dalla Terra. Girerà, nei paraggi, anche un rover cinese, inviato da Pechino (progetto Huonxing-1) e anch’esso discretamente attrezzato: camera e radar per studiare il sottosuolo, uno spettrometro, una stazione meteo.
Poteva mancare un quattro ruote europeo? Ma sicuramente no. Dopo la figuraccia cosmica della sonda Schiaparelli – ribattezzata Schiantarelli perché si sfracellò sul suolo marziano nel 2016 – l’Esa farà atterrare, nella missione ExoMars 2020 (lancio previsto dal 25 luglio), un veicolo hi-tech chiamato Rosalind Franklin in onore alla celebre scienziata, con il compito di stanare un’eventuale presenza di vita marziana. In questo via vai multietnico, ai mezzi americani, cinesi ed europei farà compagnia dall’alto anche un orbiter spedito dagli Emirati Arabi Uniti, Hope Mars, che in atmosfera dovrà studiare i cicli stagionali e gli eventi meteo del Pianeta rosso. L’assoluto debutto tra le stelle di un Paese arabo.
Un’estate di frenesie cosmiche. Il motivo? Ogni due anni le orbite della Terra e Marte si avvicinano un po’, e il 2020 è una di queste occasioni da prendere al volo. Lo spazio, poi, è sempre stata la vetrina più scintillante, per le nazioni emerse o emergenti, dove esibire supremazia, prestigio, ambizioni, conoscenze scientifiche, tecnologie d’avanguardia. Conquistata più volte la Luna, ora bisogna maneggiare Marte con altrettanta maestria.Infine, c’è l’aspetto emotivo. Quel pianeta color ruggine lo abbiamo sempre amato perché è una sorta di «Terra gemella», più piccola, molto più fredda e un pizzico misteriosa, visto che forse incubò la vita e poi l’abortì. Di cose da dire ne ha tante, e gli scienziati vogliono saperle tutte. È dagli anni Sessanta che verso la sua orbita spariamo sonde, orbiter, lander, rover. Con costi schizzati alle stelle, è il caso di dirlo, e parecchi flop: sul totale delle missioni effettuate, come informa puntigliosamente Wikipedia, due terzi sono fallite.
Dopo sette mesi di volo interplanetario, tutti i mezzi atterreranno, se va come previsto, nei primi mesi del 2021. Un investimento tecnologico e scientifico massiccio, per ottenere la risposta definitiva alla domanda chiave: su quella terra aliena, ci fu mai qualcosa di vivo? «Quando è nato, Marte era molto diverso da ora. Più simile alla Terra, con un’atmosfera più densa, forse anche ossigeno, fiumi e mari. Condizioni consone alla vita, o almeno a quella microscopica» spiega Giacomo Carrozzo, ricercatore all’Istituto di Astrofisica e Planetologia dell’Inaf, esperto di pianeti e soprattutto di Marte (ha fatto anche da consulente scientifico per il film di Ridley Scott The Martian).
Marte prometteva bene, insomma, poi qualcosa andò storto. «Essendo più piccolo della Terra, il suo nucleo si raffreddò prima e perse il suo campo magnetico, una sorta di scudo che lo riparava dalla violenza dei raggi cosmici e dalla pericolosità delle particelle cariche del Sole. Che, senza più nessuna barriera, potrebbero aver distrutto ogni velleità di vita ed evoluzione». L’attività vulcanica si spense, l’atmosfera si dissolse nello spazio, l’acqua diventò ghiaccio. Addio.
«Anche il nostro nucleo si raffredda, ma essendo più grande lo fa molto più lentamente» dice Carrozzo. «Tuttavia i cambiamenti avvenuti su Marte li vediamo, in parte, sulla Terra, che si sta inaridendo. E conoscere il suo passato può aiutarci comprendere meglio il nostro pianeta e prevenire un futuro analogo».
Oggi Marte è questa cosa qui: depositi di ghiaccio sulle calotte polari, pianure ghiacciate e altre aride, vulcani, crateri, canali, letti di torrenti e fiumi asciutti e un sistema di gole impressionante. Valle Marineris, una di queste fosse tettoniche, è lunga 4 mila chilometri, il che rende il Grand Canyon dell’Arizona, con i suoi 446 chilometri, una specie di buca stradale.
Ci fu un tempo, verso la fine del 1800, in cui i canali marziani vennero interpretati come tracce di un’antica civiltà. Come racconta Paul Murdin in La vita segreta dei pianeti, «si diffuse la convinzione che Marte fosse un mondo inaridito, e che i suoi abitanti volessero colonizzare la Terra perché il loro pianeta stava morendo». Timori ingenui, che si rinnovarono però nel 1938, quando Orson Welles, in un celebre programma radiofonico, fece credere a un’invasione marziana in corso, provocando discrete isterie di massa.
Niente alieni, certo. Ma l’acqua liquida, nursery potenziale per ogni forma di vita, esiste lassù? Non come fiumi o laghetti. «Ma sotto le calotte polari, c’è. Vicino al polo sud, ed è stata una scoperta italiana, esiste un lago salato dove il ghiaccio preserva acqua liquida mista a sale. E magari potrebbe esistere in nicchie ecologiche più calde» afferma Carrozzo. La temperatura media di Marte, infatti, -65 gradi, non è il posto più accogliente, neppure se sei un batterio.
La missione Nasa e quella Esa sono di tipo esobiologico: ossia cercheranno tracce fossili di vita, e chissà che in un angolo tiepido non si nasconda qualcosa di più interessante… «Il rover europeo, poi, bucherà il terreno fino a due metri di profondità grazie a un supertrapano costruito in Italia che scava e analizza ciò che trova perché al suo interno ha uno spettrometro. E uno strumento così non ce l’hanno neanche gli americani» precisa Carrozzo. Se pure non trovassimo nulla che si muove o respira, Marte ci attira per tanti altri motivi. Ha forse risorse minerarie sfruttabili: oro, ferro, fluoro, ematite, tridimite (un derivato del silicio). Le tecnologie per queste spedizioni, poi, come è sempre avvenuto, avranno ricadute importanti nella vita quotidiana. Dai computer ai telefonini, dai termometri alle tute ignifughe dei pompieri, dalla Tac ai filtri per l’acqua, sono tutte invenzioni di ispirazione cosmica.
Infine, Marte è il sogno di colonizzare un altro mondo, anche solo per la soddisfazione di farlo. Il ritorno dell’uomo sulla Luna è esattamente in questa prospettiva: ci rimetteremo piede non in stile «toccata e fuga», come nelle missioni precedenti, ma per realizzare una base permanente che possa servire da ponte verso Marte.
Per assistere gli uomini sulla base lunare la Nasa pensa a robot dotati di intelligenza artificiale (ed emozionale). Il Jet Propulsory Laboratory dell’ente spaziale americano collabora con l’azienda australiana Akin per mettere a punto sistemi di A.I. che forniscano, oltre a informazioni fondamentali, supporto psicologico: «Vogliamo assistenti digitali che possano risolvere problemi tecnici dell’astronave, ma anche osservare e interagire con il comportamento umano» ha affermato Tom Soderstrom, direttore tecnico del Jet Propulsory Laboratory. I robot spaziali potranno persino calmare i nervi agli astronauti. «Immaginate un robot capace di pensare: “Mary ha avuto una giornata storta, ho notato che è un po’ tesa con i suoi colleghi”» continua Soderstrom. «Il sistema di A.I. potrebbe decidere che conviene mitigare lo stress di Mary e trovare il modo di farlo».
A dir la verità viene in mente Hal 9000, il supercomputer di 2001: Odissea nello spazio che, indementito, si mise in testa di risolvere i problemi eliminando l’equipaggio. Ma vogliamo pensare che che i robot della Nasa mai faranno qualcosa del genere. In ogni caso, il viaggio umano su Marte non avverrà prima del 2030. Ancora una decina d’anni per programmare astronauti robotici intelligenti quanto basta, e non troppo impiccioni.
Tre cose che non sappiamo sul Pianeta Rosso
Identikit della Terra gemella
Di tutti i pianeti del sistema solare, Marte è quello che più assomiglia al nostro, sia pure molto più piccolo: il suo diametrio è metà di quello terrestre. Quando si formò, 4,6 miliardi di anni fa, era caldo e umido, con un’atmosfera densa e acqua in abbondanza. Visto dallo spazio, era un pianeta azzurro, non rosso come appare adesso (il colore gli viene dal materiale, un minerale simile al ferro, di cui è ricoperto il suo suolo). Oggi è freddo e asciutto. Come Venere, subì una catastrofe climatica gobale che lo rese un mondo inadatto a forme di vita, anche primitive. Oggi su Marte infuriano tempeste di sabbia imponenti (a volte possono essere viste dalla Terra), oscurano completamente e durano anche per mesi. Una di queste tempeste, nel 2018, ha irrimediabilmente danneggiato il rover della Nasa Opportunity, che da allora non ha più dato segni di vita.
Missioni a rischio flop
Atterrare su Marte è un’impresa estremamente difficile, il che spiega l’alta incidenza di fallimenti delle missioni inviate sul pianeta. Occorre prevedere con vari anni di anticipo, durante la fase di progettazione, quali condizioni troverà il lander quando arriverà a destinazione. Se l’atmosfera è più rarefatta del solito, e l’aria più calda del previsto, i paracaduti rischiano di non rallentare abastanza la discesa, e l’impatto potrebbe essere trioppo violento.Se l’angolo di ingresso nell’atmosfera è troppo rigido, il veicolo scend troppo in fretta e si schianta; se è troppo obliquo, viene respinto dall’atmosfera e torna nello spazio.Nel vuoto, il tessuto del paracadute può perdere elasticità e strapparsi; la radiazione cosmica potrebbe fondere un organo di trasmissione, rendendolo inservibile.
Grande trafficoDal 2010, sul pianeta e nella sua orbita ci sono sempre stati da 4 a 8 veicoli attivi. I rover, che atterrano su Marte, grandi quanto una golf cart, possono percorrere anche decine di chilometri. Possono individuare un sito particolare, comunicando con la Terra, e raggiungerlo in modo autonomo, superando gli ostacoli. Quello che hanno fatto finora è: mappare la superficie, analizzare la composizione delle rocce e indagare su campo magnetico e composizione dell’atmosfera.
Il programma Artemide
Gli Stati Uniti hanno stanziato 23 miliardi di dollari nel 2020 per il programma Artemide, che punta a portare astronauti sulla Luna entro il 2024; l’obiettivo è farne un banco di prova per testare future tecnologie e sperimentare la capacità di adattamento per lunghe permanenze nello spazio, in vista di uno sbarco umano su Marte.
Ci prova anche Elon MuskL’imprenditore americano di Space X, fondatore e Ceo di Tesla, ha intenzione di portare un equipaggio umano su Marte. Secondo lui, un biglietto per Marte un giorno costerà intorno ai 500 mila dollari. Utopie? Non è detto. Già oggi la Nasa ha appaltato ai razzi Space X di Musk i suoi viaggi per il rifornimento della Stazione spaziale Internazionale (Iss), al posto dei vecchi shuttle e dei lanciatori Soyuz. In genere.
Fonti: La vita segreta dei pianeti di Paul Murdin (Corbaccio).Filippo Giacomo Carrozzo, astronomo e ricercatore dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia dell’Inaf.
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