Il feticcio della Costituzione intoccabile e perfetta è inutile, che la democrazia italiana abbia dei problemi di stabilità e capacità di governo è evidente. Tanto che è dall’inizio degli anni ottanta che le maggioranze parlamentari provano senza successo a cambiare la forma di governo. Da questo punto di vista, dunque, che il governo Meloni prenda l’iniziativa per cercare di rendere più stabili i governi non può che essere vista con favore. Tuttavia, la riforma è un compromesso e in alcuni aspetti non appare molto convincente.
Ci sono tre questioni che suscitano dubbi. La prima, perché se c’è un Presidente eletto che si dimette si offre la possibilità ad un altro parlamentare della stessa maggioranza di succedergli? Se il legame è popolo-premier non si comprende bene perché se questo si dimette non si debba tornare al voto subito ma si offra l’opportunità ad un altro parlamentare della stessa maggioranza. Anche la frase del “candidato in collegamento con il Presidente eletto” per indicare il possibile secondo incaricato per guidare il governo lascia spazio ad ambiguità interpretativa visto che le maggioranze, spesso in Italia, sono mobili. L’eventuale secondo premier, inoltre, sarebbe più forte del primo restando poi le elezioni come unica opzione ad un eventuale fallimento del nuovo
esecutivo. Seconda questione, perché un premier eletto direttamente dovrebbe prendere la fiducia del parlamento? L’elezione diretta del premier dovrebbe separare governo e parlamento, dunque la fiducia subito dopo le elezioni dovrebbe essere superflua proprio come accade nel premierato inglese. A meno che s’intenda che la fiducia la prenda il governo come collegio, perché i ministri sono formalmente nominati dal Presidente della Repubblica, e non il premier, ma è una soluzione barocca e inusuale.
Terza questione, la legge elettorale. O ci sarà doppio turno dove al secondo round si assegna il premio di maggioranza oppure una legge elettorale turno unico con soglia per far scattare il premio di maggioranza, ma se ciò non avvenisse, cioè nessuno schieramento superasse la soglia, che succederebbe? Si ritornerebbe subito al voto? E quante volte può ripetersi questo schema rischiando più elezioni di seguito all’altra? Per la maggioranza di centrodestra sarebbe stato più semplice seguire altre strade rispetto a questo testo. Ad esempio approvare soltanto una legge elettorale uninominale che aumenterebbe la stabilità e creerebbe i presupposti per una democrazia dell’alternanza oppure copiare il sistema Westminster: il premier è il leader dello schieramento che vince le elezioni, egli sceglie i ministri e li licenzia se necessario, la legge elettorale è uninominale a turno unico.
Si dice che questo compromesso non voglia intaccare troppo né il ruolo del parlamento né il Capo dello Stato, ma di fatto tocca entrambi e ne restringe gli orizzonti. A quel punto non sarebbe stato meglio scegliere o una soluzione che non scontentava nessuno nelle istituzioni, cioè la modifica della legge elettorale, oppure una riforma profonda, anche più facile da promuovere ad un eventuale referendum. Questo compromesso appare troppo debole e scontenta comunque chi non vorrebbe toccare la Costituzione.
