A seconda dei momenti Silvio Berlusconi indica in Giorgio Napolitano o «il regista del complotto che punta a buttarlo fuori dalla politica» o «il suo carnefice». Un giudizio condito da parole colorite ma che non è tanto lontano dalla realtà. Il comportamento del capo dello stato, infatti, è stato un insieme di contraddizioni: sul «caso Berlusconi» si è ispirato a un comodo immobilismo, condendolo con argomenti degni di un leguleo o del peggiore azzeccagarbugli. Su questioni che lo toccavano da vicino o mettevano in discussione la sua creatura, il governo Letta, Napolitano si è lasciato andare, invece, al più sfrenato protagonismo senza inibizioni: è intervenuto direttamente su Enrico Letta per salvare Annamaria Cancellieri; ha puntato i piedi affinché le sue intercettazioni con Nicola Mancino fossero distrutte; infine ha chiesto di non deporre nel processo per la presunta trattativa stato-mafia. Un atteggiamento ambiguo, improntato alla difesa di se stesso.
«Napolitano» confida il Cav «fa solo i suoi comodi. Ha la stessa ipocrisia dei politicanti della Prima Repubblica». Se la rottura con Berlusconi è verticale, anche con altri due personaggi i rapporti del Colle sono estremamente tesi. Beppe Grillo ormai lo considera il vero garante della conservazione. «Con tutto quello che ha fatto dovrebbe essere messo sotto impeachment non una volta, ma 10». E, diciamoci la verità, il Nap (il cui gradimento nell’opinione pubblica è in caduta libera) non è affatto simpatico neppure all’ultimo personaggio che il Colle inserisce nell’elenco dei cattivi, cioè dei populisti, Matteo Renzi. L’astro nascente del pd e l’inquilino del Quirinale sono divisi da una vera barriera culturale. Napolitano, infatti, è alleato con tutti i nemici o i concorrenti del sindaco di Firenze, da Massimo d’Alema a Letta. I due sono fatti apposta per non intendersi. «Io non lo capisco proprio» ha confessato più di una volta Renzi «per lui le elezioni sono una prospettiva tragica, il bipolarismo una mezza bestemmia. Non c’è niente da fare, è un politico di altri tempi».
Appunto, forse il capo dello stato (questo è il suo principale difetto) non capisce più il paese, non riesce più a interpretarlo. E in fondo in sei mesi si è già consumato il suo progetto politico: lui è stato eletto come artefice delle larghe intese e ora, con il passaggio del Cavaliere all’opposizione, è venuto meno il suo quadro di riferimento, nei fatti non ha più un mandato. «Il re» per dirlo con Grillo «è nudo». Ee questa condizione è frutto dei suoi errori e della sua assenza di coraggio. «Non riuscirò mai a capire» confida sconsolato il Cavaliere «come mai dopo avermi promesso la pacificazione per dar vita all’esperienza delle larghe intese, si è tirato indietro».
