Bernie Sanders ha vinto le primarie democratiche del New Hampshire. Il secondo posto è stato conquistato dall’ex sindaco di South Bend, Pete Buttigieg. Terza è invece arrivata la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, mentre del quarto posto si è dovuta accontentare la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren. Risultato pessimo invece per l’ex vicepresidente americano, Joe Biden, crollato addirittura alla quinta posizione.
Insomma, le primarie del cosiddetto Granite State confermano il trend emerso la settimana scorsa con il caucus democratico dell’Iowa: l’exploit degli outsider e la crisi dei candidati legati all’establishment partitico. Nonostante le differenze politiche, non dimentichiamo infatti che sia Sanders che Buttigieg risultino due figure in forte polemica con l’apparato dell’asinello: due figure che, tra l’altro, si sono assai spesso contraddistinte per feroci critiche nei confronti delle alte sfere di Washington. Il fatto che dunque proprio loro continuino a mietere consensi esemplifica sempre di più l’alto grado di disaffezione che gli elettori democratici nutrono verso l’apparato del proprio partito: una disaffezione che, affondando le sue lontane radici nel 2016, si è ulteriormente aggravata con il caos organizzativo avvenuto in Iowa la settimana scorsa. In New Hamsphire, Sanders è riuscito a mantenere quel primato che i sondaggi della vigilia gli avevano attribuito ed è stato quindi in grado di confermare la propria leadership nel variegato mondo della sinistra. Tuttavia, nonostante la prima posizione del candidato “socialista”, il vero vincitore di queste primarie alla fine può essere considerato Buttigieg che – sfruttando l’onda lunga del proprio exploit in Iowa – è stato capace in appena una settimana di scalare la classifica locale, piazzandosi secondo a un soffio dal senatore del Vermont. Se infatti nel 2016 quest’ultimo aveva trionfato nel New Hampshire con oltre venti punti di vantaggio, stavolta si è dovuto accontentare di uno scarto inferiore al 2%. L’ex sindaco di South Bend si conferma dunque la vera stella di questi primi appuntamenti elettorali, consolidando la propria leadership nella rappresentanza del voto moderato e contribuendo largamente alle preoccupazioni che scuotono ormai da giorni i vertici dell’asinello. Quei vertici che avevano invece puntato molto su candidati come Biden e la Warren.
L’ex vicepresidente americano è riuscito a peggiorare la già magra performance registrata in Iowa, quando era arrivato quarto. La sua corsa elettorale adesso inizia a rischiare seriamente il tracollo definitivo. Beninteso: Biden non aveva matematicamente necessità di vincere né in Iowa né in New Hampshire, visto che si tratta di territori piccoli e con pochi delegati in palio. Tuttavia la poderosa copertura mediatica di cui questi due appuntamenti godono ha messo sotto i riflettori la debolezza strutturale di un candidato che, almeno teoricamente, dovrebbe risultare ancora front runner a livello nazionale. Un candidato – Biden – che ha sempre puntato tutto sulla propria (presunta) capacità di riuscire a battere Donald Trump il prossimo novembre. Quello che dunque sembra si stia verificando è una sorta di effetto domino per Biden: un effetto domino che potrebbe avere per lui deleterie ripercussioni nei prossimi appuntamenti elettorali di febbraio. Anche perché, se è vero che non avesse stretta necessità di vincere nei primi due Stati sotto il profilo della matematica dei delegati, è altrettanto indubbio che un conto sia arrivare secondo, un altro conto è arrivare quarto (o addirittura quinto come ieri sera). Senza poi dimenticare che, dal 2000, nessun candidato democratico che non abbia vinto né in Iowa né in New Hampshire sia alla fine riuscito a conquistare la nomination del proprio partito.
L’ex vicepresidente punta quindi adesso tutto sulle primarie del South Carolina, territorio in cui spera di poter contare sul voto delle minoranze etniche. Tuttavia, come mostrato da alcune recenti rilevazioni, parrebbe che – dopo il disastro dell’Iowa – molti elettori afroamericani avrebbero iniziato a ritirargli il proprio sostegno. Un’autentica emorragia di consensi che, adesso, la nuova debacle del New Hampshire potrebbe addirittura aggravare. L’aspetto interessante, da questo punto di vista, è che gli afroamericani delusi starebbero convogliando le proprie preferenze verso Mike Bloomberg: quel Bloomberg che si confronterà con le urne non prima del Super Martedì del 3 marzo. Se così fosse, si tratterebbe di un’ottima notizia per l’ex sindaco di New York, che punta notoriamente a distruggere Biden, per contendere a Buttigieg la rappresentanza dei centristi: quel Buttigieg che, dal canto suo, riscontra ancora fatica ad accattivarsi le simpatie delle minoranze etniche. Non è quindi del tutto escludibile che il machiavellico Sanders speri proprio in un duello mortale al centro tra Bloomberg e Buttigieg: perché il senatore del Vermont sa bene che, dovesse riuscire ad emergere alla fine l’ex sindaco di New York, potrebbe rispolverare il suo classico armamentario retorico contro lo strapotere di Wall Street e del big business. Esattamente come fece nel 2016 ai tempi di Hillary Clinton. Un armamentario che contro un giovane outsider come Buttigieg risulta meno efficace (nonostante costui possa da tempo vantare danarosi finanziatori alle proprie spalle). D’altronde, non è soltanto da Bloomberg che Buttigieg deve guardarsi. Non dimentichiamo infatti che ieri abbia ottenuto un buon risultato la Klobuchar: candidata che, in questi mesi, ha ripetutamente criticato Buttigieg per la sua inesperienza e che mira con ogni evidenza ad azzopparlo. Paradossalmente quindi, più che Sanders, è l’ex sindaco di South Bend a trovarsi a dover affrontare le peggiori insidie in questa fase. E, sotto questo aspetto, si riveleranno per lui dirimenti le prossime tre settimane.
Quella di ieri è stata una serata da dimenticare anche per Elizabeth Warren, scivolata al quarto posto, dopo essere stata superata dalla collega del Minnesota, Amy Klobuchar. La situazione della senatrice del Massachusetts si sta facendo particolarmente seria. Anche perché se Biden – come abbiamo visto – può nutrire qualche speranza con il South Carolina, la Warren non sembrerebbe troppo a suo agio con gli Stati meridionali: dopo il New Hampshire, grandi occasioni di riscatto quindi la senatrice non parrebbe averne. Fermo restando che, anche per lei, vale il discorso dell’effetto domino. Vedremo quindi quali risultati riuscirà ad ottenere soprattutto il 3 marzo. Risulta tuttavia sempre più evidente che la Warren stia riscontrando una crescente fatica a conquistare l’elettorato di sinistra: un elettorato che – stando almeno a quanto avvenuto in Iowa e New Hampshire – sembra si stia invece compattando dietro a Bernie Sanders. Probabilmente la senatrice sconta un’eccessiva vicinanza all’apparato del partito e – in definitiva – allo stesso establishment di Washington. Nonostante le sue posizioni politiche fortemente spostate a sinistra, la Warren non ha mai nutrito quella carica autenticamente antisistema che caratterizza invece da sempre il senatore del Vermont. Senza poi dimenticare la sua debolezza nel voto operaio. Questi elementi, alla fine, sembra stiano pesando non poco sulle sue performance elettorali. E non è escludibile che sia stata proprio la discesa in campo di Bloomberg a danneggiarla: è infatti come se, davanti alla candidatura del miliardario, gli elettori della sinistra abbiano ravvisato in Sanders (e non nella Warren) la figura da contrapporre alle commistioni tra politica e alta finanza.
Le primarie democratiche del New Hampshire confermano quindi un processo elettorale tormentato: un processo elettorale in cui le vecchie certezze crollano e faticano al contempo ad emergere vincitori netti. Una situazione resa ancora più incerta dall’incognita di Bloomberg e dal sistema elettorale stesso che il Granite State presenta: non dimentichiamo che, contrariamente all’Iowa dove ha luogo un caucus, qui vigono delle “primarie ibride”. Un sistema aperto anche agli elettori indipendenti: quella categoria che generalmente si rivela fondamentale per conquistare in novembre la Casa Bianca. Le primarie del New Hampshire risultano quindi elettoralmente più rilevanti del caucus dell’Iowa e tendenzialmente riescono ad anticipare trend di carattere nazionale. In tal senso, l’affermazione di Sanders e Buttigieg ieri sera consolida la loro posizione di forza, anche se – ricordiamolo – bisogna ancora capire se potranno rivelarsi attrattivi agli occhi delle minoranze etniche (che risultano scarsamente presenti sia in Iowa che in New Hampshire).
Donald Trump, dal canto suo, ha ottenuto una nuova vittoria ieri nel Granite State, conseguendo l’86% dei consensi (quando nel 2016 aveva vinto con il 35%). Va indubbiamente ricordato che non si registrino al momento seri sfidanti per lui nella riconquista della nomination repubblicana. Ma è comunque evidente che il presidente americano punti a sottolineare la compattezza dell’elefantino, rispetto alla confusione attualmente vigente in casa democratica. La sua campagna elettorale sta al momento facendo leva sui buoni risultati dell’economia, con l’ambizione di consolidare la presa sul voto operaio e di allargare sempre di più la base del consenso (soprattutto tra le minoranze). Tutto questo, senza rinunciare ad additare gli avversari democratici come estremisti e in preda alla più totale confusione interna: una strategia che – sotto certi aspetti – ricorda quella adottata da Richard Nixon alle presidenziali del 1972. La strada resta comunque ancora lunga. E Trump – nonostante lo smarrimento in cui è piombato l’asinello – non può permettersi di abbassare la guardia.
