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Vitalizio, la meta è vicina

Vitalizio, la meta è vicina

Il 24 settembre i parlamentari maturano la pensione di legislatura. Ma le cifre precise rimangono in molti casi un «mistero buffo».


Nei corridoi parlamentari, al riparo da occhi indiscreti, più di qualche onorevole è pronto a tirare un sospiro di sollievo. Crisi o non crisi di governo, il 24 settembre, fatidica «ora X», è a un passo. Quel giorno saranno trascorsi esattamente 4 anni, 6 mesi e un giorno dall’inizio della legislatura: il tempo utile per maturare l’onorevole pensione. Un traguardo, soprattutto per chi è al primo mandato e teme, dopo il taglio dei parlamentari (alle prossime politiche eleggeremo non più 630 deputati ma 400 e non più 315 senatori ma 200), di non entrare più nei Palazzi del potere. E così, mentre continua la discussione su salario minimo e pensioni per i cittadini semplici, ai nostri rappresentanti basterà avere massimo 65 anni per accedere a quello che una volta si chiamava «vitalizio». Ne è interessato il 68 per cento dei deputati e il 73 per cento dei senatori.

Dal 2012, com’è noto, si è passati dal sistema retributivo a quello contributivo e dunque fare una stima di quanto potrebbero percepire gran parte dei nostri onorevoli è possibile. Matteo Renzi e Matteo Salvini, per dire, nella remota ipotesi in cui non dovessero essere rieletti l’anno prossimo, potrebbero incassare a 65 anni un assegno di circa mille euro al mese (cifra lorda, come le altre riportate di seguito). Cui, ovviamente, ognuno aggiungerebbe altre pensioni accumulate. Un esempio? Il vitalizio maturato da eurodeputato del leader della Lega, sulla cui entità c’è riservatezza. Alla stessa identica cifra accederebbero, ovviamente, tutti i pentastellati (o ex) di prima legislatura.

E Luigi Di Maio? Arriverebbe a 1.500 euro considerando che è a Montecitorio da due legislature, un fattore che consente anche di «abbassare» l’età pensionistica da 65 a 60 anni (stesso dicasi per il presidente della Camera Roberto Fico). Sempre non riesca, ora che è fuori dal Movimento, a conquistare un terzo mandato. E così potrebbe godere di un ulteriore beneficio, lo stesso di cui dovrebbe godere per esempio Giorgia Meloni: essendo a Montecitorio dal 2006, e avendo accumulato non due ma tre legislature complete, ha diritto – regole curiose delle stanze del palazzo – a un ulteriore sconto sull’età pensionistica. Avrebbe diritto alla pensione già a 59 anni, con un assegno che dovrebbe viaggiare intorno ai 2.500 euro.

Alla Camera e al Senato, però, siedono veterani del Parlamento. Pier Ferdinando Casini, tanto per dire, si divide tra Montecitorio e Palazzo Madama ininterrottamente dal 1983. Mentre Roberto Calderoli dal 1992, Renato Schifani dal 1996. Ed è qui che subentra un caos amministrativo in cui è difficile districarsi: tutti coloro che sono stati eletti ben prima del 2012 (e dunque prima dell’abolizione del vitalizio), al momento non sanno ancora quanto prenderanno nel caso in cui non venissero più confermati. La storia è complicata e deriva dal fatto che, proprio coloro che hanno sempre battagliato contro la «casta» in difesa del «popolo» (storica è l’immagine di Di Maio in cui annunciava di avere «abolito la povertà»), ovvero il Movimento 5 stelle, alla fine non sono riusciti a rendere retroattivi i tagli ai vitalizi.

Muoversi tra i regolamenti sull’assegno pensionistico di Camera e Senato è una gincana. Proviamo a sbrogliare i fili. A Montecitorio è ancora in vigore la delibera fortemente voluta da Roberto Fico che ha determinato un taglio netto alle pensioni anche per tutti gli ex, avendo effetto retroattivo. Peccato, però, che il consiglio di Giurisdizione (il primo grado interno della Camera dei Deputati) ha sentenziato – peraltro in forma parziale e non definitiva – che, pur essendo legittimo il taglio dei corposi vitalizi, a essere sbagliato è l’algoritmo dei conti.

Stessa identica situazione al Senato. Qui il caos è arrivato alle stelle: dopo che anche la presidente Elisabetta Casellati si è adeguata alla norma dell’altro ramo del Parlamento, una pioggia di ricorsi presentati dagli ex senatori ha cambiato le carte in tavola. Dopo un iter tortuoso, la Commissione contenziosa (primo grado di giudizio di Palazzo Madama) ha dato ragione ai ricorrenti e dunque il passaggio dal retributivo al contributivo è rimasto valido solo a partire dal 2012.

Così è venuto fuori un Frankenstein: un misto di retributivo per le legislature prima del 2012, e contributivo per quelle successive. Nel frattempo, però, si è pronunciato il consiglio di Garanzia (l’appello del Senato) che ha ritenuto, anche in questo caso, che il calcolo delle decurtazioni non sia esatto (e da rifare al rialzo) e ha rinviato tutto alla Corte costituzionale che, presumibilmente il 4 ottobre, si pronuncerà nel merito. Entrambe le delibere, quindi, sono al momento sub iudice. Prima di allora, in sintesi, è impossibile dare cifre esatte su quanto potrebbero prendere gli ex onorevoli, o quelli ancora in carica ma che hanno accumulato più di due legislature.

È possibile però fare delle stime. Se tutto, cosa molto difficile a questo punto, dovesse restare come previsto (sistema contributivo alla Camera, misto al Senato), Casini, Schifani e Calderoli arriverebbero – ma il condizionale è assolutamente d’obbligo – a prendere intorno ai 7 mila euro; Maurizio Gasparri (31 onorevoli anni all’attivo, 1992-2008 alla Camera, poi sempre al Senato) sui ai 6 mila euro; Luigi Zanda (dal 2003 ininterrottamente senatore) poco meno di 5 mila.

Forbici ancora più attendibili, invece, possono essere tracciate per gli ex onorevoli che già percepiscono la loro lauta pensione. Dai tabulati ufficiali, consultati da Panorama, scopriamo che ad esempio l’ex dem Nicola Latorre oscillerà tra i 6.217 euro mensili (il vitalizio prima del taglio) e i 4.065 (il vitalizio dopo il taglio che, come detto, dovrà essere riconteggiato verosimilmente al rialzo); Alessandra Mussolini tra i 9.014 e i 5.238 euro; meglio andrà a Francesco Rutelli (tra i 9.512 euro e i 7.801). E così, ancora, Carlo Vizzini (tra i 10.631 e i 7.903), Antonio Azzollini (tra gli 8.082 e i 5.505) e Goffredo Bettini, il cui vitalizio pre-taglio arrivava a 6.590 euro e potrebbe scendere fino a 3.964.

Ma c’è un’ultima chicca: in attesa di capire cosa accadrà alla Consulta, a non preoccuparsi è una piccola schiera di ex onorevoli per cui le delibere, vista soprattutto la mole di contributi versati e di legislature accumulate, non hanno avuto effetti. È il caso, tra gli altri, dell’ex senatore ed ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli: il suo vitalizio rimarrà di 9.512 euro lordi mensili. Esattamente come nel caso di Franco Bassanini, il quale addirittura arriva a 10.631 euro. Stessa identica cifra per Francesco Colucci, Nicola Mancino, Giuseppe Pisanu, Clemente Mastella, tra gli altri. Non subiranno tagli neanche Anna Finocchiaro (10.009 euro), Lamberto Dini (6.590 euro) e Marcello Pera (6.963). Lunga vita al vitalizio. n © riproduzione riservata

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