Sgusciata via dalle eclatanti débâcle della sua amministrazione grazie a una gestione accorta della crisi Covid, il sindaco vuole ricandidarsi, con tanto di proclami alla giustizia e appoggi di lista antimafia. Ma basta guardare la gestione clientelare delle nomine, i servizi al collasso e i conti sempre disastrati, che la realtà della Capitale scaccia ogni illusione.
«Roma sta cambiando, in meglio. Virginia Raggi sta lavorando intensamente con passione e impegno. C’è ancora un grande lavoro da fare e noi le cose non le lasciamo mai a metà». A parte la minaccia involontaria, se si dovesse rispondere al viceministro grillino Laura Castelli con le parole del suo famoso sketch tv con l’ex ministro Pier Carlo Padoan – «Questo lo dice lei», detto all’ex capo economista Ocse da una con il diploma di ragioneria e la laurea triennale in economia aziendale – la faccenda del secondo mandato della Raggi al Campidoglio sarebbe chiusa. L’ha detto la Castelli su Facebook. Game over. Ma il problema è che votano i romani, i quali non sembrano così entusiasti del primo mandato Raggi, tra città sempre sporca, trasporti non esattamente europei, lottizzazione arrogante, debito esagerato e totale assenza di un progetto per il futuro con un minimo di respiro. E anche se Donna Virginia si è ricandidata, mancano nove mesi alle elezioni, un tempo enorme per la politica italiana. Un tempo in cui il Pd e lo stesso Movimento 5 stelle faranno a tempo venti volte a spostare tutte le pedine in campo tra governo e amministrazioni locali, trovando anche il modo di dare uno strapuntino alla quarantaduenne avvocata romana.
Il gradimento della sindaca, va detto, non è mai stato alto. A fine 2019, secondo un sondaggio Tecnè per l’agenzia Dire, otto romani su dieci bocciavano senz’appello la sua gestione. Poi sono arrivati il Covid-19 e la quarantena, nel corso della quale la Raggi è stata molto furba: ha tenuto un profilo basso e comunque mai allarmista o da sceriffo de’ noantri (che peraltro, con i suoi concittadini, non avrebbe minimamente funzionato); ha approfittato dello scarso traffico per far tappare un bel po’ delle famose buche stradali e, nel silenzio generale, i romani hanno potuto ascoltare rapiti il rassicurante rumore dei camion della spazzatura che passavano a svuotare i cassonetti. Mentre gli autobus, finalmente puliti, erano sempre mezzi vuoti e non andavano a fuoco, anche se hanno continuato a passare a sorpresa.
Insomma, per tre mesi, Roma è stata una capitale come le altre e i sondaggi sono migliorati, dopo il lockdown. Ai primi di luglio, una rilevazione di Termometro Politico per Affaritaliani.it dava solo il 66,8 per cento dei romani contrario a una sua ricandidatura, mentre il 25,1 per cento sogna un «Raggi bis». A quel punto, lei si aspettava un’investitura del suo partito che non arrivava, a parte Alessandro Di Battista per il quale «è un primo cittadino fantastico». Allora ai primi di agosto ha detto ai suoi assessori che si sarebbe ricandidata e ora è lì, in campo per altri nove, lunghi mesi, ma senza il Generale Covid al suo fianco.
Il calcolo di Donna Virginia, in realtà, non pecca di realismo. Il Pd romano, a cominciare dal suo proconsole Goffredo Bettini, non la sopporta e lavora a una candidatura autonoma e di «alto profilo», magari dalla famosa società civile. Che però al momento non si trova. Ma c’è tempo e la Raggi potrebbe anche correre da sola, arrivare terza al primo turno dietro i candidati di centrodestra e Pd, e poi contrattare un posto da vicesindaco con lo stesso Pd per i ballottaggi.
In realtà, ci sarebbe tempo anche per altro. Per esempio, la sindaca uscente potrebbe approfittare del clima post-Covid, puntare su una totale rigenerazione urbana in chiave green, dalla mobilità alla riqualificazione delle borgate. Ma il suo sguardo va già in difficoltà se deve esaminare il progetto del «nuovo» stadio della Roma (presentato in Campidoglio il 26 marzo 2014).
Il principale alibi al dolce far niente della giunta Raggi, capace di annunciare sui social anche piccole opere doverose come la pulizia di ogni singola area giochi nei parchi pubblici, è quello della legalità. Un mantra ripetuto a giustificazione di tutto, nella convinzione (corretta) che senza l’inchiesta di Mafia Capitale, poi derubricata dalla Cassazione a volgare corruzione, il Movimento 5 stelle non avrebbe conquistato il Campidoglio.
Così, intorno a Ferragosto, sono partiti i cantieri sotterranei non solo dell’eterna metro «C» sotto i Fori imperiali, ma di una lista civica «antimafia» che fiancheggi la Raggi e porti a Palazzo Senatorio il consueto Pattuglione dei Giusti, tra ex magistrati, ex poliziotti e qualche giornalista engagé. Non prendere mazzette è cosa buona, ma l’altra faccia della legalità si chiama correttezza e meritocrazia. E qui, il film della prima giunta Raggi è un po’ diverso. L’esponente grillina ha occupato tutte le poltrone in modo scientifico. A inizio mandato ha rapidamente fatto fuori un economista come Marcello Minenna, ex direttore Consob ed ex collaboratore della gestione commissariale Tronca. Minenna era assessore al Bilancio, ma voleva mettere ordine anche nelle partecipate romane come Atac e Ama. E questo non andava alla Raggi, che aveva altri progetti e legami con gente del giro di Gianni Alemanno. Minenna ha resistito due mesi e poi se n’è andato, a settembre 2016 (oggi guida l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli). Ancora più folle la vicenda di Carla Raineri, magistrato del Tribunale di Milano esperta di bilanci, persona con un profilo tecnico di livello come raramente si vede in un ente locale. Ha fatto il capo di gabinetto della Raggi e anche lei ha resistito due mesi. «Il Gabinetto», ha raccontato Raineri al processo Marra, «era un guscio vuoto in cui le deleghe venivano esportate altrove, verso due soggetti come Salvatore Romeo e Raffaele Marra».
Raineri ha spiegato che «ogni qualvolta manifestavo alla sindaca una necessità operativa, mi veniva detto sistematicamente “parli col dottor Marra”». L’ex capo del personale del Comune ha poi preso una condanna in primo grado a un anno e quattro mesi per la nomina del fratello a capo della Direzione Turismo, oltre a tre anni e mezzo per corruzione in concorso con l’immobiliarista Sergio Scarpellini (morto a novembre 2018).
E a proposito di «legalità», sul sito di Micromega Paolo Berdini ha recentemente pubblicato un’analisi dal titolo «Virginia Raggi ignora la zona grigia». Il suo ex assessore all’Urbanistica ha ricordato i casi di Marra e dell’avvocato Luca Lanzalone, nominato a capo dell’Acea prima di essere travolto dalle inchieste, e ha individuato la tattica pentastellata: «Il Movimento 5 stelle tenterà di utilizzare lo stesso schema politico e culturale che ha consentito nel 2016 un trionfo elettorale: non far tornare quelli di prima. Ma da allora a oggi qualcosa ha incrinato, per sempre, l’immagine del Movimento».
Semplicemente, la Raggi non voleva intorno persone che riferissero direttamente a Beppe Grillo e le ha fatte fuori in modo sistematico. Poi si è mossa da ufficio di collocamento dei grillini trombati. Così, a giugno, ha dato una consulenza all’ex sindaco di Livorno Filippo Nogarin, che ora lavora con l’assessore al Bilancio Gianni Lemmetti, a sua volta ex assessore di Nogarin. Il quale Nogarin è comunque anche consulente di Federico D’Incà, ministro grillino ai Rapporti con il Parlamento. Livorno la nuova Nusco di Ciriaco De Mita? Sarà tutto legale, ma anni di battaglie grilline contro «casta e privilegi» dei «politici di professione» sono finite nel cassonetto, insieme al limite dei due mandati.
Sulle partecipate, si potrebbe scrivere un libro al mese. Atac è tornata formalmente in utile, ma il servizio resta tra i peggiori d’Italia e a fine 2018 aveva ancora quasi un miliardo e mezzo di debiti. Ama è sempre un disastro e la raccolta dei rifiuti è una bomba che può esplodere da un giorno all’altro. Qui la Raggi aveva portato via alla collega torinese Chiara Appendino un manager serio come Lorenzo Bagnacani, ma appena questo ha provato a far pulizia su appalti e personale è stato silurato dal sindaco stesso. La famosa «zona grigia» di Berdini, a Roma, vince sempre. Con la Raggi ha solo cambiato referente e ora usa le posate.
Anche il ritornello dei «conti risanati» nasconde una realtà parecchio complicata e onerosa. A gennaio, l’Oref (l’organo di controllo finanziario di Roma Capitale) ha calcolato che nel 2021 ogni romano, pupi compresi, avrà sulla testa 600 euro di debiti. Alle banche il Comune deve, a parte i 12 miliardi stornati dal bilancio ufficiale nel 2011 da Silvio Berlusconi, oltre tre miliardi e mezzo. Tutto debito nuovo, accumulato dal 2009 a oggi. E causa coronavirus, il duo Lemmetti-Raggi ha dichiarato che mancano 800 milioni. Senza il Generale Covid, la Raggi non l’avrebbe ricandidata neppure il suo spin doctor e dietologo, mamma Rosaria.