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Un Recovery plan pieno di bonus lascerà in eredità solo più vincolo esterno

Un Recovery plan pieno di bonus lascerà in eredità solo più vincolo esterno

Una maggioranza così larga sotto le ali di Draghi potrebbe sostenere grandi investimenti. Invece avanza ancora la politica delle mille regalie che rischia di far naufragare il Pnrr e alla fine produrre più debito e più co trolli da parte Ue

Una maggioranza così larga sotto le ali di Draghi potrebbe sostenere grandi investimenti. Invece avanza ancora la politica delle mille regalie che rischia di far naufragare il Pnrr e alla fine produrre più debito e più co trolli da parte Ue.


Sul piano della politica economica l’ultimo decennio è stato per l’Italia il periodo dell’inconcludenza. Non sono arrivate grandi riforme, non vi è stata una manovra complessiva di ristrutturazione del rapporto tra Stato e cittadino e persino la cosiddetta austerità è stata incapace di migliore l’efficienza dell’amministrazione o di liberalizzare alcuni servizi pubblici. Il welfare è rimasto assistenzialista e squilibrato, a favore dei più anziani, e le infrastrutture sono rimaste per troppi anni senza cura né sviluppo. Governi di centrosinistra, governi di coalizione, governi populisti ma la musica è rimasta la stessa. E l’orchestrina rischia di continuare a suonare anche nell’epoca di Mario Draghi e del Recovery Plan.

Mentre la Commissione Europea spediva i primi 25 miliardi nelle casse dello stato italiano, il nostro paese discuteva del bonus terme. Un ennesimo espediente per cercare di spingere i consumi a favore di una mini-categoria di esercenti. Ci sono poi, solo per citarne alcuni, il bonus vacanze, il bonus elettrodomestici, il bonus mobili, il bonus bebè a cui si aggiungono agevolazioni ed incentivi legati all’edilizia. Questi ultimi sono meno discutibili, poiché coinvolgono un ampio numero di cittadini, aziende e favoriscono il decoro urbano, ma la filosofia del bonus è di piccolo cabotaggio. Segnala un’incapacità della politica di disegnare riforme di settore e di uscire dalla trappola degli interessi lobbistici che assediano il palazzo.

Spesso sono gli stessi partiti a proporre spontaneamente queste soluzioni al fine di ingraziarsi questa o quell’altra fetta di elettorato. Il governo Draghi per il momento non segna alcuna rottura con il passato e continua sulla scia tracciata da Renzi, Gentiloni e Conte: tante mini-regalie per cogliere il momentaneo supporto di alcuni gruppi di interessi o guadagnare un effimero sostegno degli elettori. In questo caso, però, i partiti hanno ancora meno da guadagnare poiché essendo tutti al governo tranne Fratelli d’Italia, ma non guidando direttamente l’esecutivo, sono più deboli nel rivendicare le politiche intraprese. Insomma, questo sarebbe il momento buono per fare le cose in grande dietro la schermatura offerta da Draghi, andando a riformare interi settori come la PA, la giustizia, il sistema di welfare, il fisco. Eppure si continuano a preferire le micro-politiche, non senza rischi di sistema nel prossimo futuro. Il primo è che il Recovery Plan diventi uno spezzatino fallimentare, incapace di rilanciare i consumi, di realizzare riforme strutturali, di riassorbire la disoccupazione. Una cascata di mille rivoli di spesa buoni solo a soddisfare piccoli gruppi, corporazioni e lobbies.

La leva offerta dai prestiti europei ottenuti diventerebbe troppo debole e frammentata per rilanciare l’economia. Non a caso gli altri paesi europei, con meno debito pubblico e meno acqua alla gola, utilizzeranno i fondi soltanto per la digitalizzazione e le politiche green senza operare a 360 gradi come si è proposta l’Italia. La necessità di sfruttare il Recovery Plan con riforme larghe vale ancora di più in un momento in cui la congiuntura economica globale è complicata dalla crescita dei prezzi delle materie prime e della logistica, col rischio di una inflazione di medio-lungo periodo. I bonus possono sciogliersi come neve al sole.

Le politiche verdi, inoltre, rappresentano un’altra grossa incognita per il paese. Qual è il loro reale obiettivo? Investimenti in ricerca e sviluppo oppure sanzioni per le attività inquinanti? Nuove tasse ed incentivi pubblici oppure sfruttamento di nuove tecnologie e creazione di nuove infrastrutture? Dalla risposta a queste domande dipende l’efficacia della parte del Recovery Plan dedicata all’ambiente e considerate tra le più importanti. Anche in questo settore si può scegliere la via di micro-politiche dannose, disperse in mille incentivi e nuove tasse punitive, oppure quella dello sviluppo industriale. Se proprio si deve mettere in pratica questo nuovo verde dirigismo economico, che dilaga culturalmente in tutto il mondo, allora è meglio un investimento nella ricerca industriale e tecnologica che un bonus per comprare monopattini e auto elettriche. Meglio operare a valle, poiché a monte ci penserà il mercato. Il terzo rischio derivante da questo approccio dispersivo è che il Recovery Plan resti un palliativo prima della cura letale: una montagna di debiti da ripagare, ripresa economica asfittica, società italiana sempre più divisa tra gruppi di pressione inconciliabili, la politica del paese sempre più commissariata dall’esterno. In altre parole, una stretta ulteriore del vincolo esterno ma senza alcun beneficio reale per l’Italia. Uno scenario da incubo che scriverebbe la parola “fallimento” vicino ai nomi di quasi tutti i leader politici italiani e della classe di governo da essi espressa. Un rischio anche per Mario Draghi, chiamato a svolgere un lavoro che in definitiva si dimostrerebbe impossibile. Il suo ruolo di riformatore e propulsore si trasformerebbe in quello di curatore fallimentare. Vale rischiare tanto per qualche dozzina di micro-politiche? Ma senza cambiare i paradigmi e la mentalità della classe politica e amministrativa del Paese tutti questi rischi restano molto concreti. Toccherà agli elettori, e a chi loro deve dar voce, ricordare a chi guida il paese quali sono le priorità e gli obiettivi di questa delicata fase.

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