I target fissati da Bruxelles per la riduzione delle emissioni dei veicoli pesanti sono irrealistici e penalizzano l’Italia. Dove il 97 per cento degli oltre 720 mila camion viene alimentato a diesel. Ma forse, anche nella Ue, il pragmatismo può battere l’ideologia.
L’industria del trasporto pesante se lo aspettava. Dopo la messa al bando delle auto endotermiche, ora è la volta anche dei Tir e degli autobus. Le nuove regole sulle emissioni sono figlie dell’ideologia «green» di estendere l’elettrificazione «senza se e senza ma», totalmente slegate dalla valutazione del parco vetture circolante e dello stato della rete infrastrutturale. Il tutto avviene, peraltro, in un momento in cui il sistema del trasporto merci in Europa è fortemente penalizzato dalla guerra in Ucraina e dagli attacchi dei guerriglieri Houthi nel Mar Rosso. Un ultimo colpo di coda, un’altra eredità che la maggioranza uscente lascia al nuovo Parlamento dell’Unione quale emergerà dalle elezioni di giugno. Un’eredità pesante da gestire – ed eventualmente da cambiare – giacché l’obsolescenza dei mezzi pesanti, anche se con alcuni distinguo tra Paesi più virtuosi rispetto alle norme ecologiche sulle emissioni (la Germania) e altri meno (come l’Italia che ha votato contro il regolamento insieme a Slovacchia e Polonia), imporrà investimenti molto onerosi e un sistema di organizzazione della rete dei punti di ricarica non semplice.
L’obiettivo è ambizioso, al limite dell’irrealistico: la neutralità carbonica entro la metà del secolo. I target di riduzione delle emissioni per i nuovi veicoli pesanti sono definiti in base alle categorie: gli autocarri di grandi dimensioni (come gli autobus a lunga percorrenza, i camion della nettezza urbana, i ribaltabili e le betoniere) dovranno diminuire le proprie emissioni del 45 per cento tra 2030 e 2034, del 65 per cento tra 2035 e 2039, e del 90 per cento a partire dal 2040. Quanto agli autobus urbani, invece, la riduzione dovrà toccare il 90 per cento entro il 2030 e dovrà essere totale (cioè, zero emissioni) entro la metà del prossimo decennio. A partire dal 2030, inoltre, rimorchi e semirimorchi dovranno abbattere l’anidride carbonica emessa rispettivamente del 7,5 per cento e del 10 per cento. «Viene prevista una revisione del regolamento da parte dell’esecutivo Ue entro il 2027 e in quella occasione potrebbe essere introdotto qualche cambiamento. La prima scadenza del 2030 potrebbe saltare. Mettersi in regola in soli sei anni è davvero complesso. Mancano persino le stazioni di ricarica elettrica adatte per i camion» commenta con Panorama il direttore generale di Unrae (l’associazione degli autoveicoli esteri che operano in Italia), Andrea Cardinali. E sottolinea che «Acea (l’associazione europea dei costruttori di veicoli) ha chiesto la creazione di 50 mila stazioni di ricarica in tutta Europa da dislocare sulle principali direttrici di trasporto del continente, come le autostrade e le superstrade. Ma siamo alle solite: non si può fissare l’obiettivo di zero emissioni senza creare le condizioni affinché ciò sia possibile. La rete distributiva di elettricità è fondamentale e deve essere adeguata al rifornimento dei mezzi pesanti che assorbono una potenza elevata».
Lo sforzo economico per adeguarsi alle nuove norme, è importante. Per l’Italia l’impegno sarà maggiore rispetto agli altri Stati membri. Nel nostro Paese, infatti, c’è un parco circolante di oltre 720 mila camion, tra i più vecchi d’Europa, con un’età media che supera i 14 anni e per più del 50 per cento è composto da veicoli di classe inferiore all’Euro 4. Le associazioni nazionali dell’autotrasporto e dell’automotive (Anfia, Anita, Federauto, Unatras e Unrae) hanno stimato che servirebbero oltre 700 milioni di euro, per far fronte agli investimenti fino al 2026 in veicoli a emissioni zero e loro infrastrutture, così da garantire in un triennio l’eliminazione dalla circolazione del 25-30 per cento dei mezzi più vetusti e inquinanti. Il paradosso però è che sono state scritte regole e scadenze ma non c’è traccia di fondi europei e nazionali per agevolare lo svecchiamento della flotta. I più recenti dati Anfia dicono che nel 2023 sono stati immatricolati nel nostro Paese 72 Tir elettrici. Nel 2022 erano stati 17. Sempre relativamente al 2023, la quota dei Tir elettrici sul mercato rappresenta lo 0,3 per cento del totale. Una percentuale irrisoria che renderà molto difficile l’applicazione del nuovo regolamento sulle emissioni.
L’Italia parte svantaggiata rispetto agli altri Paesi europei, avendo il 97 per cento dei Tir, alimentato con motore diesel. C’è poi un altro handicap. «Il settore è caratterizzato da una miriade di trasportatori, sottocapitalizzati, che non investono da oltre vent’anni». Le associazioni ambientaliste hanno criticato il regolamento europeo dicendo che le scadenze sono troppo morbide e che si doveva fare di più. Ma dovrebbero essere le ultime polemiche. Il vento nella Ue sta cambiando e l’ideologia cede il passo al pragmatismo.