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Superbonus edilizia, la madre di tutte le truffe

Superbonus edilizia, la madre di tutte le truffe

L’incentivo sulle ristrutturazioni, strenuamente voluto dai 5 Stelle e varato dall’ex premier Giuseppe Conte, si è trasformato in una catastrofe per le casse pubbliche. I raggiri ammontano a quasi 13 miliardi di euro, con frodi clamorose in cui centinaia di «furbetti» (oggi indagati) hanno avviato pratiche in Comuni fantasma e aperto cantieri invisibili a nome di proprietari inesistenti.


L’11 febbraio 1947 Alcide De Gasperi tornava mestamente da Parigi, dopo aver ceduto alla Jugoslavia parte del Friuli-Venezia Giulia, tra cui Aidussina, dove Piero Chiara aveva ambientato uno dei suoi romanzi. Settantasei anni dopo, ci hanno pensato gli scatenati predoni del Superbonus a riscrivere la storia. Una prodezza degna di Totòtruffa ’62, dove il protagonista prova a vendere la fontana di Trevi. La più clamorosa frode sull’iperbolico incentivo voluto dai grillini è una tragicommedia all’italiana. Lo sgamato commercialista napoletano che ammicca al telefono: «Capisci ammé». L’impresario albanese evasore totale. I milioni occultati in Cina. E uno sconfinato raggiro da 2,2 miliardi di euro.

Ma cosa c’entra la placida Aidussina? Nemmeno lo sceneggiatore più fantasioso avrebbe pensato alla gabola. Perché gli indagati avevano aperto pratiche edilizie persino in 384 comuni che non esistono più. O non sono più italiani dai tempi della Seconda guerra mondiale, come nel caso del paesino sloveno. L’arcano è stato svelato da un’inchiesta della procura di Asti: la banda, per architettare il gigantesco inganno, utilizzava un vecchio elenco di comuni d’epoca fascista. E le ultrasoniche ristrutturazioni? Tutto farlocco. Mancavano i paesi, i condomini e i proprietari. Ad aprire capientissimi cassetti fiscali all’Agenzia dell’entrate erano imprenditori morti. O vagabondi «senza fissa dimora», in cambio di un centinaio di euro.

«Il Superbonus ha generato crescita, non sia il capro espiatorio del governo» dice ora il leader dei Cinque stelle Giuseppe Conte, che da premier s’inventò un vantaggio destinato ad abbattere ogni limite terreno. Due anni e mezzo dopo, considerati anche il bonus facciate e l’ecobonus, il consuntivo è ineluttabile: la più grande catastrofe contabile della storia della Repubblica. Su 142 miliardi di crediti ceduti fino a oggi, ben 12,8 sono frodi. A confronto le seppur considerevoli ruberie sul Reddito di cittadinanza sembrano quisquilie: da gennaio 2021 a maggio 2022, sono stati denunciati illeciti per 288 milioni.

«Lo Stato italiano è pazzesco, vogliono essere inc… praticamente» esultano i razziatori in un’intercettazione della Guardia di Finanza di Rimini. Il bonus è diventato jackpot. Lavori mai fatti o sovrafatturati. Grazie al lasco meccanismo della cessione del credito. Quasi 13 miliardi di truffe e decine di inchieste con centinaia di indagati: esponenti di organizzazioni criminali, delinquenti semplici, colletti bianchi, commercialisti e avvocati.

L’ultima impresa dei soliti ignoti è di qualche giorno fa. In un condominio in provincia di Reggio Calabria, 160 persone hanno scoperto che pure i loro cassetti fiscali traboccavano misteriosamente: fantomatici lavori per 52 milioni di euro. Solo qualche settimana prima, la Guardia di Finanza di Monza indaga 40 persone e sequestra 122 milioni di euro: crediti d’imposta, depositi, quote sociali, una trentina di immobili, ville tra Venezia e Massa, una Porsche.

L’inchiesta è partita dopo una serie di segnalazioni anti riciclaggio su un commercialista di Legnano. È accusato di aver comprato crediti per il bonus facciate, poi ceduti a catena, infine monetizzati in banca. Solito copione, dunque: ristrutturazioni, migliorie energetiche, impianti fotovoltaici, colonnine di ricarica. Una montagna di carte contraffatte. Fasulle come le imprese incaricate dei lavori: appena create, senza dipendenti, con oggetti sociali improbabili, guidate da pregiudicati.

A metà dello scorso maggio, invece, viene completata l’operazione della Guardia di Finanza astigiana. Quella in cui gli ardimentosi hanno resuscitato imprenditori morti e restituito Aidussina all’Italia. La magistrale mandrakata da due virgola due miliardi. I magistrati contestano, a vario titolo, una sfilza di reati: truffa, associazione a delinquere, false fatture e riciclaggio. Sono coinvolte una quarantina di persone e una settantina di ditte. Edilizia virtuale combinata. E intercettazioni lunari: «Visto che mi hai preso per il culo, domani mattina mi dichiaro colpevole. Consegno tutte le cose, spiego i lavori sporchi che hai fatto. Ho le fatture falsificate, ci sono anche le fiamme gialle eh» dice un complice. Un altro si compiace dei conti correnti in Svizzera aperti da un prestanome tunisino «che parla bene italiano» e fornisce financo «cinque o sei bancomat». E poi le lusinghe per le firme inventate: «Tu sei un artista!». Fino all’intercettazione suprema. Un dialogo da Totòtruffa, appunto: «Ha tutte fatture, capisci ammè».

Anche a Verona, lo scorso maggio, scoprono la solita selva di cantieri fantasma. Società finte, proprietari senza immobili, lavori mai fatti, case inesistenti. L’ennesima mega frode da 110 milioni di euro. E il resto, mancia: 26 milioni di crediti d’imposta monetizzati e altri cinque scomparsi come indebita compensazione di tasse. Sempre in Veneto, a Treviso, negli stessi giorni i finanzieri svelano un colpo gobbo da 85 milioni. Venti indagati, perlopiù giovani romeni e albanesi. Diventati, sulla carta, acuti imprenditori ed esperti capomastri.

Alcune inchieste dell’anno scorso, intanto, finiscono a processo. Come quella della procura di Rimini. Ha coinvolto un imprenditore di Barletta, acciuffato da latitante a Boca Chica, nella Repubblica Dominicana, tra spiagge bianche e acque cristalline. Pieno di cellulari, schede telefoniche, carte di credito e contanti. Era «il re del bonus»: a capo del ramo pugliese di un’organizzazione criminale che in sei mesi avrebbe accumulato 440 milioni di euro in crediti di imposta fasulli, grazie agli inenarrabili vantaggi concessi per le ristrutturazioni edili. Il malloppo sarebbe stato poi reinvestito: attività commerciali, quote societarie, cripto valute, lingotti d’oro, depositi a Cipro e Madeira. Un imbroglio colossale, accusano i magistrati.

«L’inizio del Coronavirus ha portato bene» ammette un imprenditore intercettato nell’inchiesta. Già, le munifiche trovate del governo giuseppino: facciate, cappotti energetici, detrazioni varie. Dovevano servire a far rialzare l’economia. Sono diventate l’inarrivabile simbolo dello scialo nella terza Repubblica. «Non so più dove andare ad aprire i conti correnti in giro per il mondo» si compiace al telefono un altro indagato. Anche il meccanismo era piuttosto semplice. Bastava acquistare società in affanno. Oppure crearle dal nulla. Farsi poi consegnare dai legali rappresentanti, prestanomi o compiacenti, le credenziali per entrare nell’area riservata del sito dell’agenzia delle entrate. I crediti venivano poi trasferiti nei cassetti fiscali delle aziende.

È passato poco più di un anno da quell’inchiesta. Quattro persone hanno patteggiato, tra cui l’imprenditore arrestato a Santo Domingo. Alcuni indagati saranno giudicati con il rito abbreviato. Altri sei sono appena finiti a processo. Con il comune di Rimini che s’è costituito parte civile per il danno d’immagine alla città. Impossibile dare torto ai predatori intercettati: lo stato italiano è davvero «pazzesco». Gabbarlo è una sciocchezza: «Facile come mangiare un panzerotto». Uno scialo di risorse che rimarrà nella storia, peggio delle baby pensioni elargite negli anni Ottanta. «È una delle più grandi truffe della storia repubblicana» ammetteva già a febbraio 2022 l’ex ministro dell’Economia, Daniele Franco, un supertecnico di pochissime parole. Anche il suo successore, Giancarlo Giorgetti, è un tipo schivo e poco loquace. Eppure, mentre dispera per la conseguente scarsità di risorse della prossima finanziaria, s’è sfogato: «La cena l’han mangiata tutti. Si sono alzati e a noi resta da saldare il conto».

Un’abbuffata da 85 miliardi di euro. «Quando ci penso, mi viene il mal di pancia» dice Giorgetti, insistendo nel paragone con il banchetto pantagruelico. La stessa colorita metafora che ha fatto la declinante fortuna dei Cinque stelle. Beppe Grillo, con la sua criniera di riccioli, dal palco ruggiva: «Vi siete mangiati tutto!». Adesso arriva la definitiva nemesi politica: da moraleggianti dietisti a insaziabili ingordi.

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