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Sugli stadi chiusi il solito caos del ministro Spadafora

Sugli stadi chiusi il solito caos del ministro Spadafora

In ‘No’ deciso del Governo alla riapertura degli stadi rischia di avere un prezzo pesante da pagare per il calcio italiano e, in prospettiva, per tutto il resto dello sport.


Solo facendo i conti in tasca alla Serie A, ad esempio, ogni week end a porte sbarrate costa mancati introiti per 8-10 milioni di euro che si sommano ai 90 persi nella fase di ripartenza della scorsa stagione e rendono ancora più pesante lo stato di difficoltà anche delle big, alle prese con contratti tv sotto schiaffo legale e sponsorizzazioni in calo o impossibili da trovare. E ci sono discipline legate quasi unicamente ai ricavi da botteghino – non potendo contare sulle televiioni – che senza pubblico rischiano l’asfissia per non parlare dello sport minore che già teme di non poter ripartire.

La premessa è doverosa per dire che la sentenza lapidaria con cui il premier Giuseppe Conte ha anticipato il divieto nel Dpcm (“Assolutamente non opportuno”) ha creato sconcerto in un settore economico che sta faticosamente cercando di rimettersi in moto e che, come già accaduto in primavera quando il dibattito un po’ populista era tra giocare a calcio o contare i morti, non comprende per quale motivo non si possa provare a scrivere protocolli in sicurezza per rimettere la gente dentro stadi e palazzetti perché (è la spiegazione ufficiale) adesso la priorità è la scuola. Che è una banalità, nel senso che la riapertura dei luoghi dell’educazione è certamente la priorità per tutti, senza però che sia obbligatorio sacrificare altre opzioni in nome di un presunto potenziale pericolo equiparabile.

CHIUSURA? Sì, ANZI NO…

Il problema diventa, però, anche di forma oltre che di sostanza nel momento in cui si assiste anche su questo tema allo scaricabarile che ha caratterizzato del liberi tutti nelle discoteche e sulle spiagge. Il Governo ha scritto che gli stadi restano chiusi almeno fino al 30 settembre, ma le Regioni possono intervenire in deroga. Come accaduto per i locali da ballo, salvo poi rimpallarsi la colpa dei focolai e di una deregulation senza linee guida condivise.

Solo per restare all’ultimo week end, quello del diktat “assolutamente non opportuno” di Conte, al Tardini di Parma si è giocato a calcio con 1.000 spettatori distribuiti in due tribune dopo che il Napoli ha chiuso la sua preparazione a campo aperto per i tifosi senza che nessuno dicesse niente. A Monza si è corso il Gp d’Italia senza gente (solo 300 medici invitati) e settimana prossima al Mugello entreranno in 3.000 a quello di Toscana ospitato al Mugello mentre nelle stesse ore saranno in 10.000 a Misano per la MotoGp.

Gli Internazionali d’Italia hanno ricevuto il ‘Niet’ assoluto, la Supercoppa di basket si sta giocando con presenze contingentate quasi ovunque a partire dal derby di Bologna, gli Assoluti di atletica leggera a Padova hanno avuto una cornice di qualche centinaio di appassionati e lo stesso è accaduto per la sfida Conegliano-Busto Arsizio di pallavolo donne. Alla presenza anche dell’attivissimo ministro dello sport, Vincenzo Spadafora.

LE TRE VERSIONI DI SPADAFORA

Il quale, sulla questione stadi aperti o chiusi, ha un’idea che si può riassumere semplicemente seguendo il filo della sua domenica pomeriggio e sera. Alle 18, al termine della gara di Monza (a porte chiuse), dove era presente, ha espresso “gratitudine” per i 300 medici invitati per ringraziarli degli sforzi fatti contro il Covid-19. Poi si è spostato a Vicenza per il volley femminile (a porte aperte) sottolineando felice il “segno di speranza che tutti gli italiani vogliono… Qualsiasi disciplina con i tifosi è tutta un’altra storia”.

In mezzo ha parlato con i telegiornali sottolineando come “le regole valgono per tutti”, ma anche che “le Regioni hanno un margine d’azione”. E per completare il cortocircuito ha lanciato un appello: “Che si muovano insieme perché tutti gli italiani, indipendentemente dalla Regione in cui vivono, hanno diritto di poter partecipare”. Chiaro, no? Avanti, anzi indietro, rigorosamente in ordine sparso.

Ultima annotazione di pura cronaca. Allo stato attuale la finale di Supercoppa di pallavolo maschile in programma il 25 settembre prevede che si giochi all’Arena di Verona con 3.800 spettatori presenti. Forse. Se accadesse significa che per lo Stato italiano una struttura costruita dai Romani nel 30 avanti Cristo è in grado di garantire maggiore sicurezza anti-Covid di uno stadio di seconda generazione completato nel 2011. Amen.

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