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Follie da Pnnr

I soldi della «resilienza nazionale» vanno spesi, così decine di milioni di euro finiscono a borghi remoti e progetti bislacchi. Peccato non poterli usare per sgravare il peso dell’energia dalle spalle di tutti.


I trecentoventinove abitanti di Castel del Giudice dovranno farsene una ragione. I contesissimi 20 milioni del Pnrr finiranno a Pietrabbondante. Dopo il Tar, anche il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso del paese molisano, secondo classificato nel generoso bando per riqualificare il più pregevole borgo della regione. Quel progetto rimane insuperabile: «Pietrabbondante, un angolo di mondo tra cielo e terra». Urge dunque valorizzare «lo straordinario patrimonio archeologico del Santuario italico di epoca sannita». Senza però dimenticare lo «sviluppo della mobilità intercomunale», destinato a migliorare la frenetica esistenza dei 620 pietrabbondantesi.

Ma le singolar tenzoni sui finanziamenti europei scuotono la placida esistenza di molti borghi della penisola. Tra le vallate aostane, Bard contesta la vittoria di Arvier. E in Abruzzo, Lama dei Peligni non si dà pace per il mega assegno staccato a Rocca di Calascio. Guerre all’ultima carta bollata. E c’è da capirli. L’Italia più amena non aveva mai visto tanti soldi e tutti insieme. Il «piano nazionale borghi», voluto da Dario Franceschini, è uno dei pilastri del Next generation Eu. Il ministro della Cultura uscente, sul futuro ha idee lampanti: il riscatto passerà dal recupero di remotissimi paesini. Sarà l’apoteosi dello smart working, per la verità in deciso calo. Ameni borghi, scommette comunque il ministro, diventeranno finalmente strepitose location lavorative: «Dobbiamo vincere la sfida del ripopolamento». Cosa volete allora che sia un miliardo di euro per l’inarrivabile scopo?

Da Livemmo, nella Valsabbia, a Ulassai, nell’Ogliastra, s’ode l’hip hip urrà. Arriva la manna europea. Del resto, il sottotitolo al Pnrr tricolore è eloquente: «Italia domani». Dopo pandemia e guerra, i vaporosi progetti sembrano però fermi all’altro ieri. Anzi, alla scorsa era geopolitica. Per carità: nessuno dubita di quanto sarà utile per le giovani leve europee la pista di sci in materiale sintetico di Fontescodella, periferica contrada di Macerata, 315 metri sul livello del mare. O i centinaia di nuovi campi da padel, per forgiare corpo e spirito dei virgulti. Però, vista la crisi lancinante, non è che i 235 miliardi di euro destinati al nostro Paese potrebbero essere usati in modo più profittevole? È il retorico dilemma che avanza Giorgia Meloni, ormai sulla soglia di Palazzo Chigi, preoccupata anche per le lentezza del piano italiano: «Ereditiamo una situazione difficile: i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare». Il premier, Mario Draghi, risponde piccato: «Non c’è alcun ritardo». A smentirlo arriva la nota di aggiornamento al Def, stilata nientemeno che dal fidatissimo ministro dell’Economia, Daniele Franco: nel 2022 sono stati spesi solo 15 miliardi su 29,4. Insomma, appena la metà dei fondi assegnati.

Il Next generation rimane però sotto una teca, più immutabile di un testo sacro. La prima a non voler concedere nulla all’usurpatrice sovranista è la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: «L’Italia ha un ottimo piano». Eppure, si tratterebbe di sano realismo. «Dobbiamo adeguare il Pnrr al nuovo scenario» spiega a Panorama Raffaele Fitto, plenipotenziario di Meloni nell’emiciclo di Bruxelles, copresidente dei Conservatori e possibile ministro degli Affari europei. «Che senso ha mantenere 120 miliardi di opere pubbliche visti i costi attuali? Facciamo i bandi e poi scopriamo che non ci sono i soldi per completare i lavori?» si chiede Fitto. «Continuiamo a confondere la spesa ordinaria con quella straordinaria. Finanziamenti a pioggia. Classico metodo di sinistra. Bisogna piuttosto pensare a un piano energetico adeguato al momento: rigassificatori, gasdotti, impianti fotovoltaici. Si progettano invece asili nido in paesini a natalità zero. Oppure, ospedali di comunità che rischiano l’abbandono».

Insomma, il Pnrr sarà l’ennesima Sprecopoli? Soprattutto in un momento come questo. Famiglie costrette a scegliere tra pane e bollette. Imprese al lastrico. L’elenco delle accessorietà imbellettate da emergenze sembra sterminato. Torniamo, per esempio, al prode Franceschini. Il vicesegretario del Pd è uno dei grandi mattatori del Pnrr: al ministero della Cultura sono stati concessi 6,7 miliardi. Ben 300 milioni per il rilancio di Cinecittà, gli studios capitolini in perenne ambasce. Stavolta, grazie alla munificenza continentale, sorgerà «un grande hub europeo dedicato al cinema».

Anche le centrali nucleari dismesse diventeranno «hub», ma stavolta per conservare opere d’arte danneggiate da calamità naturali. Tutto alla modica cifra di 300 milioni. Oltre al miliardo per il rilancio dei borghi, 600 milioni saranno poi usati per l’architettura rurale e 435 per i treni storici. Ma il vulcanico Franceschini non lesina. Altri 155 milioni verranno affidati alla Direzione generale creatività contemporanea del dicastero. Cogliere la finalità non è immediato: «Capacity building degli operatori culturali per gestire la transizione digitale e verde». Insomma, promuovere un fumosetto approccio ecologico e tecnologico «lungo la filiera creativa».

D’altronde, per la digitalizzazione sono previsti dieci miliardi. Tutti indispensabili, fino all’ultimo centesimo? I 180 milioni da investire nel chimerico sogno di informatizzare l’Inps non potrebbero contribuire a liberarci dal giogo energetico russo? Ed è davvero impellente il «sistema di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere nelle aree maggiormente critiche»? Poi, c’è la sterminata lista di opere pubbliche. Il ministero delle Infrastrutture ha la miglior dote del Pnrr. L’investimento più robusto è per l’alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria: 11,2 miliardi. Che però, maramaldeggiano i critici, farebbe risparmiare meno di un’ora. Ed è davvero indispensabile il collegamento tra Misterbianco e Paternò, della metropolitana di Catania, finanziato con 317 milioni?

Per non parlare dei rincari. Rispetto al miliardo e mezzo ipotizzato, quanto costerà per esempio potenziare l’alta velocità sulle non battutissime Orte-Falconara, Roma-Pescara o Taranto-Battipaglia? L’ultimo dossier pubblicato dall’Ance, l’associazione nazione del costruttori, infierisce: il 67 per cento degli interventi finanziati è fermo ancora ai progetti preliminari e il 73 per cento non è stato adeguato al sensazionale aumento dei prezzi nel settore, che vanno dal 47 per cento in più sul bitume al 371 per cento del gas naturale. Luminosa conferma arriva dalle opere affidate a comuni e città metropolitane. Spesso non riescono nemmeno a presentare proposte finanziabili. Palermo, per esempio, è sempre sommersa dalla munnizza. E non raggiunge nemmeno il 15 per cento di raccolta differenziata. Eppure la passata amministrazione, guidata da Leoluca Orlando, è riuscita nella memorabile impresa di perdere i 30 milioni destinati a nuovi impianti per la gestione dei rifiuti.

Foschissime nubi si addensano anche sulla «rigenerazione urbana»: 3,4 miliardi, per 1.748 progetti in 483 comuni. La metà delle risorse andranno al Sud, con l’obiettivo di migliorare la coesione sociale tricolore. All’uopo, cosa c’è di meglio di una bella biciclettata? Nasceranno dunque 570 chilometri di ciclabili urbane e metropolitane e ben 1.250 chilometri di piste turistiche. Spesa calcolata in epoca prebellica: 600 milioni. Solo a Foggia ne arriveranno quasi sei. Ma altro che rafforzamento della mobilità ciclistica. Il capoluogo pugliese si appresta a diventare la capitale italiana delle due ruote. La città sarà invasa, nei prossimi quattro anni, da ben 23 chilometri di nuove ciclabili. L’obiettivo è epocale: trasformare «un mezzo di locomozione domenicale» in un «vero e proprio mezzo di trasporto».

Ben 21 milioni di euro serviranno invece per realizzare la pista che andrà dal lungomare di Salerno al castello Angioino Aragonese di Agropoli, passando da Paestum ed Hera Argiva. Frotte di turisti e residenti già pronti a inforcare le due ruote. Dimenticate il DeLuchistan di Don Vincenzo. Grazie al Pnrr, il caotico regno del governatore campano si candida a diventare il ventisettesimo cantone svizzero.

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