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Settembre nero per pil, consumi, energia

Settembre nero per pil, consumi, energia

Forte rallentamento della crescita, approvvigionamenti complicati per l’energia con conseguente aumento di prezzi e inflazione. Dopo Draghi, alla vigilia di un voto che deve dare un nuovo indirizzo per la politica, le previsioni sono fosche (e costose) per il Paese. Si apre una stagione difficile, anche sul piano internazionale.


Settembre, andiamo: è tempo di pagare. La parafrasi del verso dannunziano è giustificata: è iniziata una dolente transumanza di quattrini dalle tasche degli italiani, e non solo. Se all’orizzonte si vedono nerissime nubi recessive, già soffia il vento della tempesta dei tassi d’interesse e i rincari inflattivi grandinano come una piova dantesca sui «dannati» del reddito fisso, ma anche o soprattutto sui risparmi e le imprese. Gli «stazzi «sono malmessi e ci farà anche freddo perché, nonostante le rassicurazioni sui livelli delle scorte oltre il 70 per cento, i razionamenti del gas sono più che probabili. L’Unione europea ha diramato il piano di austerità energetico (massimo 19° di temperatura in casa, distacchi programmati alle fabbriche, niente illuminazione notturna: una vita in trincea).

È facoltativo, ma se cinque Paesi lo chiedono diventa obbligatorio e pesa l’incognita Germania; non ha per ora un piano nazionale ed è appesa al filo della recessione. Se l’erogazione del gas non tornerà normale – per ora dalla Russia gli arriva solo il 40 per cento della media – il gigante europeo s’impianta; e del resto l’indice Ifo (misura le prospettive economiche tedesche) è sceso sotto 89, il livello più basso dal giugno del 2020 quando ci trovavamo in pieno lockdown.

Se Berlino piange Roma non può certo ridere; anche noi abbiamo problemi (minori) di gas, ma la Germania è il nostro primo cliente e la nostra bilancia commerciale è crollata (11 miliardi di euro di passivo, l’esportazioni diminuiscono a volume del 3,1 per cento). Per 11 regioni d’Italia l’export verso la Germania vale più del 20 per cento del Pil e l’integrazione di filiera tra il nostro manifatturiero (di solito è subfornitore) e quello tedesco è decisiva.

Stavolta perciò l’alternativa non è quella draghiana tra i condizionatori e la pace, è tra i caloriferi e i posti di lavoro. Ci aspetta un settembre nero ed è auspicabile che i partiti impegnati nella campagna elettorale diano qualche segnale sul «che fare».

A ottobre c’è l’esame dei rating: da Standard e Poor’s a Moody’s diranno ai mercati se e a che prezzo fidarsi di noi. La seconda agenzia si è già portata avanti e ha abbassato da stabile a negativo l’outlook (cioè la tendenza) sull’andamento economico. Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha risposto piccato: è una decisione opinabile. Facendo vedere che fino a giugno l’Italia è cresciuta più degli altri. Moody’s, forse su suggerimento interessato di qualche politico di sinistra che continua a prevedere disastri causa elezioni, sostiene che per la guerra in Ucraina, ma soprattutto per il rinnovo di governo il nostro debito è meno sostenibile.

Il programma del Pnrr per il governatore di Bankitalia Ignazio Visco va avanti a prescindere da chi governerà. La Corte dei Conti però in un pre-giudizio sul Piano sostiene: «Restano difficoltà notevoli nella capacità di spesa delle singole amministrazioni, a dimostrazione che una maggiore disponibilità e un maggior impiego di risorse non corrispondono automaticamente a reali capacità di sviluppo». Moody’s ha toccato un nervo scoperto: in questa legislatura abbiamo fatto oltre 400 miliardi di debito in più -140 sono in capo a Draghi, terzo in classifica con 280 milioni di debito al giorno, dopo l’esecutivo di Giuseppe Conte (II) e quello di Giuliano Amato. Ci sono poi troppi bonus spesso mal orchestrati, si pensi al caos 110 per cento, che non sono interventi strutturali. E per quanto i sostenitori dell’agenda Draghi continuino a sventolare mirabolanti risultati di Pil, il premier stesso ha messo le mani avanti annunciando il decreto Aiuti bis che spalma 17 miliardi in mille interventi – taglio sulle bollette e sulle accise ma con l’Iva sul gas che resta al 5 per cento e via distribuendo – fa un taglio sul cuneo fiscale (il gravame d’imposte e contributi sugli stipendi) simbolico: non arriva a 10 euro per chi lavora, a 12 per i pensionati. Ha riconosciuto Draghi: «Cresceremo più di Francia e Germania, ma ci sono nuvole all’orizzonte con preoccupanti previsioni per il futuro». A tacer d’altro le ha messe nero su bianco il Fondo monetario: nel 2023 la crescita italiana torna allo «zero virgola » (0,7 per cento per la precisione).

Anche l’Istat ha presentato un quadro da «50 sfumature di nero»: «A luglio sono emersi i primi segnali di raffreddamento delle pressioni sui prezzi ma l’inflazione acquisita per l’anno in corso continua ad aumentare. Nei prossimi mesi si attendono possibili flessioni dell’attività manifatturiera accompagnati da una moderata vivacità nei servizi. L’aumento del disavanzo della bilancia commerciale, la diffusione dell’inflazione e il marcato peggioramento della fiducia dei consumatori rappresentano rischi al ribasso per l’evoluzione congiunturale».

Difficile dire diversamente visti i numeri. Così Maurizio Landini segretario nazionale della Cgil dà l’altolà al Decreto aiuti annunciando con Cisl e Uil uno sciopero per metà ottobre: «Sulle cifre proprio non ci siamo. A un lavoratore ogni mille euro vanno 10 euro lordi, bisogna intervenire subito. Poi tassare gli extra profitti». Il governo ci ha provato, ma i colossi dell’energia hanno versato meno del 10 per cento dell’imposta che ritengono illegittima. E il piatto di Daniele Franco piange. Sempre secondo l’Istat a giugno 2022 la produzione industriale ha fatto un altro – 2,1 per cento dopo il – 1,1 del mese precedente.

In stallo anche i consumi. Quelli non alimentari perdono il 2,5 per cento a giugno ma su base annua quelli per il cibo diminuiscono a volume del 4,4 per cento. L’inflazione sta mettendo a dieta gli italiani che comparano sempre meno e di qualità sempre più scarsa. L’inflazione acquisita per gli alimentari è al 9,1 per cento (quella generale è del 7,9). Non potrebbe essere diversamente scorrendo il listino offerto da Unioncamere che espone aumenti percentuali su base annua a doppia cifra: olio di semi (più 40,9), pasta di semola (più 30 per cento), riso (più 19,4), olio di oliva (più 33,1), burro (più 25 per cento). Ad agosto sono attesi ulteriori rincari dell’1,7 per cento con i prezzi alla produzione che salgono su base annua al 14,9. Questo è il viatico per l’autunno ben sapendo che – come fa notare l’ufficio studi di Confcommercio – il valore delle vendite cresce per la grande distribuzione e diminuisce per le imprese operanti su piccole superfici. Che chiudono.

Secondo una stima del portale web Immobiliare.it ci sono oggi in vendita 43 mila attività commerciali con una crescita del 38 per cento rispetto a due anni fa. La Cgia di Mestre ha stimato 146 mila imprese che danno lavoro a 500 mila persone a rischio di usura. Sono i primi effetti dell’inflazione che erode il risparmio (con un tasso annuo del 7 per cento si calcola che vadano in fumo 112 miliardi del 1.900 depositati nelle banche italiane), i redditi (il Codacons stima attualmente 2.500 euro a famiglia di costo dell’inflazione) e la ricchezza nazionale. Chi dall’inflazione trae un beneficio (effimero) è lo Stato che ha incassato, lo fa sapere il ministero dell’Economia, con le imposte «nei mesi di gennaio-giugno 242 miliardi e 877 milioni di euro, con un incremento di 28 miliardi e 951 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (più 13,5 per cento)».

Durerà? È da vedere, perché ormai le banche centrali sono tutte alla rincorsa dei tassi per evitare che l’inflazione deragli. Andrew Bailey, il governatore della Banca d’Inghilterra, è stato il primo a muoversi mesi fa e ha reiterato nei giorni scorsi un nuovo rialzo dei tassi di mezzo punto. Teme l’inflazione al 13 per cento, una caduta del 2 del Pil e una lunga fase di recessione. In America Jerome Powell, capo della Federal Reserve, continua ad alzare i tassi a colpi dello 0,75 per cento. I dati buoni sull’occupazione gli fanno dire che può osare ancora di più nel contrasto all’inflazione, attestata ora al 9,1 per cento.

In ritardo è la Bce, che ha fatto appena un rialzo dello 0,5 per cento pur in presenza di un’inflazione all’8,6 per cento. Ma Christine Lagarde deve stare attentissima a non incagliare l’economia. La Germania è in stallo, la Francia ha un deficit commerciale grave (71 miliardi da inizio anno, tre volte superiore al 2021) e un debito che ha superato il 100 per cento del Pil, dell’Italia si sa.

La strada è strettissima e in fondo s’intravede un poco rassicurante striscione d’arrivo: stagflazione. n

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