C’è chi ha preso una porta in faccia alle ultime elezioni politiche e chi ha dovuto lasciare lo scranno per obbedienza a diktat interni. Ma tant’è: per molti deputati e senatori, spesso interessati (e sedotti) da ruoli prestigiosi, è giunta l’ora di reinventarsi.
I più estrosi, va da sé, sono gli ex parlamentari grillini. Si sono reinventati tiktoker, deejay e 007. Del resto, erano i primi a sapere che la loro esistenza politica sarebbe stata caduca come le foglie dell’autunno di Ungaretti. Ecco: un giorno sei lì a pastrocchiare i destini patrii e d’un tratto sei costretto alla lancinante perdita. Senza poltrona. Tocca reinventarsi, allora. Riannodare i fili. È la seconda vita dei trombati.
C’è poco da scherzare. Dopo anni di favolosi stipendi e indicibili privilegi, l’addio può diventare uno strazio. Prendi Luigi Di Maio. Fino a sei mesi or sono era lo smagliante talento andreottiano. Perfino gli avversari gli riconoscevano doti formidabili. Curriculum denso di primati: il più giovane vicepresidente della Camera. Poi, ministro: Lavoro, Sviluppo economico, Esteri. In appena cinque anni. La diaspora pentastellata gli è stata però fatale. Il suo nuovo e già defunto partito, Impegno civico, s’è schiantato: 0,6 per cento. E adesso? Giggino è scomparso. Ha cancellato i profili social. Eppure, è pronto alla rentrée. Da lobbista. Sta valutando l’offerta di un fondo di investimento arabo. Come Matteo Renzi, oggetto di dileggi per le sue remuneratissime conferenze all’estero. Sarebbe l’ennesima giravolta per l’ex leader del Movimento, nemmeno la più coreografica. Vista la rete di rapporti costruita negli anni, pensa dunque al proficuo ramo delle consulenze, forse come collaboratore di Bain & Co.
Da quel mondo proviene pure il fedelissimo Manlio Di Stefano, fu sottosegretario agli Esteri. Che lì, difatti, è destinato a tornare. Anche Angelo Tofalo, ex sottosegretario della Difesa, s’è buttato nella mischia. Lungimirante autore di Intelligence collettiva. Appunti di un ingegnere rapito dai servizi segreti, mette a frutto la sopravvenuta passione: ha fondato una società di intelligence, cybersicurezza e difesa. Vista la salda autostima, l’ha chiamata At, come le sue iniziali.
Anche il memoir di Lucia Azzolina, al vertice del dicastero dell’Istruzione nel governo giallorosso, è profetico: La vita insegna. Dalla Sicilia al Ministero, il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto. Viaggio andata e ritorno, appunto. Dopo aver vinto il concorso mentre era parlamentare, Azzolina è diventata preside di una scuola di Siracusa, non lontano da casa. Carla Ruocco, invece, passa dalla guida della Commissione Finanze alla Camera alle dipendenze dell’Agenzia delle entrate.
Ben più scoppiettante la scelta di Sergio Battelli, altro irriducibile dimaiano. Ex commesso in un negozio di animali e chitarrista della band rock ligure Red lips, ha appena registrato il suo nuovo singolo: 3 is a magic number. Evidentemente, non riferito alla terza legislatura mancata. Battelli è un talento versatile. Dopo aver guidato la commissione per le Politiche Ue, annuncia l’apertura di un chiringuito a Barcellona: lo chiamerà Montecitorio beach. Pure il vulcanico Alessio Villarosa, già sottosegretario dell’Economia, s’è buttato nell’industria dello svago. «Questa estate ho organizzato 22 serate sulla spiaggia. Grande dance music…» racconta all’Huffington post. «Ho preso la gestione di uno stabilimento balneare in Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto. Un stagione molto impegnativa, ma ho ancora tanti progetti».
Come del resto Danilo Toninelli, indimenticato ministro dei Trasporti. Anche il suo libro autobiografico è diventato divinatorio: Non mollare mai. Adesso fa lo youtuber. Nella sua rubrica, Controinformazione, si vendica dei dileggi subiti, tentando di mettere alla berlina i nuovi potenti.
Travagliata sorte anche per chi è rimasto nel Movimento. La tagliola del doppio mandato è stata inesorabile. Fuori i pezzoni da novanta, dentro le truppe di Giuseppe Conte. Il leader ha sacrificato perfino il suo mentore: l’ex ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Che, dopo Firenze, ha aperto a Milano la seconda sede del suo studio: Bonafede & partners. Uguale destino per Stefano Buffagni: è tornato allo studio meneghino, ma di commercialista. Mentre Giulia Grillo, ministro della Salute nel governo gialloverde, riesercita come medico legale.
Anche Vito Crimi, già reggente del Movimento, sembrava dover riprendere servizio: cancelliere in Corte d’appello a Brescia. In effetti, dopo nove anni, è tornato di gran carriera in tribunale. Ma solo per chiedere una nuova aspettativa. Perché rituffarsi nei polverosi fascicoli quando il munifico Giuseppón è pronto a offrire a «Orsacchiotto» un posto da sherpa? Navigator dei neoletti, insomma. La stessa sorte potrebbe toccare a Paola Taverna, oscura segretaria in un poliambulatorio diventata sbertucciante vicepresidente del Senato. Potrebbe rientrare in parlamento come nave scuola dei pentastellati.
Ruolo che sembra tagliato su misura anche per l’ex presidente della Camera, Roberto Fico. Nel frattempo, s’è portato avanti. Appena nominato, s’era presentato in autobus. Poi, passò all’auto blu. Ora, si abbarbica nel palazzo. Ha così accettato di occupare la stanza che fu del suo predecessore, Pier Ferdinando Casini. Con relativo staff dedicato, ovviamente. Nell’attesa di un adeguato contrattino.
Federico Pizzarotti, invece, fu il primo pentito dei Cinque stelle. L’ex sindaco di Parma bramava una candidatura, ma è stato gabbato dal Terzo polo. Si consola producendo liquore nocino nel suo buen retiro di Terenzo di Casola. Ma la passionaccia rimane. La sua Lista civica nazionale non si è presentata al voto, però lui non desiste. Anzi, cerca nuovi volti. Pure tra i delusi del renzismo non ricandidati. Così, all’ultima reunion romana sono riapparse due vecchie glorie. L’ex deputato Gennaro Migliore: già Rifondazione, Sel, Pd e Italia Viva. E un altro ondivago: Gianfranco Librandi, munifico imprenditore con la passione per (finanziare) la politica.
Anche il Pd, visto il taglio delle poltrone, ha rinunciato a molti valorosi. Su tutti e tutte: Monica Cirinnà. L’indomita attivista per i diritti civili. La paladina di gay e lesbiche. L’amorevole padrona di Orso, il maremmano che trovò 24 mila euro in una cuccia nella tenuta di Capalbio. È stata sconfitta alle elezioni, ma non si abbatte: «Voglio mettermi alla guida della rinascita del Pd». Nel frattempo, la fu senatrice ammazza il tempo, seguendo le stagioni. E adesso, «in fattoria si raccolgono le olive». Altra incolmabile perdita è quella dell’ex deputato Andrea Romano, professore di Storia contemporanea a Tor Vergata. Trombato in parlamento, adesso imperversa come opinionista in tv. La diretta televisiva è un rovello di famiglia. Sua moglie, Sara Manfuso, ha partecipato all’ultima edizione del Grande Fratello Vip. E lo stesso Romano non aveva escluso un suo ingresso nella casa per salutare la consorte: «Mi piacerebbe molto farlo».
Ospite fisso dei programmi Mediaset è pure Tommaso Cerno: già direttore dell’Espresso e senatore del Pd, ha fondato un nuovo quotidiano, L’Identità. Anche Gianluigi Paragone s’è già riciclato in tv, quota antagonista. La sua Italexit sembrava destinata a far faville. Invece, s’è fermata al due per cento. «Farò un po’ di ordine nel partito, lo strutturerò e vado avanti». Enrico Rossi, sconfitto alle ultime politiche, si cimenta invece su Controradio, emittente del network di Radio Popolare. La trasmissione, con un guizzo, si chiama Signor Rossi. Per il resto, l’ex governatore toscano s’accontenta di fare l’assessore allo Sviluppo economico a Signa, nell’hinterland fiorentino.
Altro trombato illustre, rimanendo in zona, è l’ex capogruppo in Senato, Andrea Marcucci. Non vivrà di stenti. La sua famiglia ha appena venduto la Kendrion, azienda di emoderivati da 660 milioni di fatturato, a una multinazionale. Intanto, è entrato nel consiglio della Fondazione Einaudi, che ha nominato direttore generale Andrea Cangini, già senatore forzista. Stesso trascorso di Massimo Mallegni, che ora si dedicherà alle attività di famiglia: hotel in Versilia e gallerie d’arte a Forte dei Marmi e Dubai.
Dopo quasi tre anni sugli scudi sanitari, sempre in quota uccellacci, pure Pier Luigi Lopalco torna alla vecchia professione: l’epidemiologo. L’ex assessore regionale alla Salute in Puglia s’era candidato con il centrosinistra in quota Roberto Speranza, memorabile ministro della Salute. La virostar non ce l’ha fatta. Comunque, annuncia: «L’opposizione si può fare anche fuori dal parlamento, con il proprio lavoro e le proprie opinioni». Si salvi chi può.