Il nuovo presidente Mohammed Shia’ Al Sudani si vuole lasciare alla spalle terrorismo e lotte intestine e dare avvio agli investimenti nel suo Paese. Un’occasione anche per l’Italia, che è tra i principali partner commerciali di Baghdad.
«E’ l’ora di capitalizzare l’appoggio all’Iraq negli anni difficili della lotta allo Stato islamico per partecipare allo sviluppo del Paese con una forte accelerazioni negli investimenti. Una rinascita vent’anni anni dopo la caduta di Saddam» spiega a Panorama una fonte della Nato, che ha vissuto gli alti e bassi di questa grande realtà mediorientale.
Mohammed Shia’ Al Sudani, premier iracheno da fine ottobre, sciita moderato del partito al Da’wa, ha adottato fin dall’inizio misure per attrarre investitori stranieri. L’obiettivo annunciato dal primo ministro è «la rinascita economica che valorizzi il percorso di sviluppo del Paese». Una grande sfida che fa gola a tutti con un mega budget per la prima volta triennale (459 miliardi di dollari fino al 2025), super contratti per lo sfruttamento del gas e un nuovo corso geopolitico segnato dalla distensione fra due ingombranti vicini, Arabia Saudita e Iran. «L’Iraq non solo sta uscendo dall’instabilità, ma si propone come fattore di stabilità in Medioriente» fa notare la fonte Nato.
Il «cavallo pazzo» della politica irachena, Moqtada al Sadr, dopo aver vinto numericamente le elezioni e paralizzato il Paese in un’impasse politica, si è chiamato fuori spianando la strada ad Al Sudani, che vuole lasciarsi alle spalle terrorismo, lotte settarie e guerre. Anche l’assalto il 20 scorso luglio all’ambasciata svedese a Baghdad dei populisti sciiti per protestare contro l’assurdo rogo del Corano a Stoccolma, poi ripetuto in Danimarca, non ha infiammato l’Iraq come avvenuto altre volte dall’invasione alleata del 2003, che fece cadere Saddam Hussein. Hamzeh Hadad del centro studi European Council on Foreign Relations precisa che l’obiettivo è «la prosperità economica» e le nazioni europee coinvolte con l’Iraq «devono cogliere l’opportunità e sostenere questi sviluppi». L’Italia è in prima linea dopo aver fatto la sua parte militare. Dall’inizio della minaccia rappresentata dal Califfato, nel 2014, addestriamo i curdi nella regione autonoma nel nord del Paese. Ad Erbil siamo di casa, anche se i tedeschi ci hanno soffiato l’ampliamento dell’aeroporto internazionale. Non solo: tre nuovi quartieri sono stati chiamati Italia 1, 2, 3 perchè i curdi apprezzano il nostro Paese.
La missione della Nato a Baghdad sta soppiantando quella più operativa contro lo Stato islamico ormai fortissimamente ridimensionato. Meglio accettata dal governo per il suo multilateralismo, ha compiti di consulenza ad alto livello «a favore dei funzionari iracheni principalmente del ministero della Difesa e dell’ufficio del Consigliere per la sicurezza nazionale». Il capo di stato maggiore è il generale italiano degli alpini, Nicola Piasente. Fino allo scorzo maggio il comandante era il generale dei paracadutisti Giovanni Iannucci, che dichiara di «avere lasciato il Paese più stabile e sicuro, con grandi potenzialità, in grado di divenire un fattore di pacificazione del quadrante mediorientale».Il 24 luglio si è svolta un’esercitazione sulla guerra informatica con una squadra italiana del Reparto sicurezza cibernetica e il corrispettivo direttorato iracheno. Se il lavoro di consulenza funziona, il comparto difesa è un bacino allettante per i prodotti italiani. Il budget del ministero della Difesa iracheno è fra i 7 e 8 miliardi di dollari e quello dell’Interno tocca i 10.
Il 29 luglio si è tenuto il primo incontro del Gruppo di contatto economico per l’Iraq (Iecg ) con la co-presidenza di Italia e Stati Uniti. La nostra sede diplomatica a Baghdad rende noto che «gli ambasciatori dell’Iecg hanno discusso della legge di bilancio, sottolineando che è la più grande mai approvata dal Parlamento iracheno». Il budget 2023-2025 «prevede importanti innovazioni, tra cui programmi di credito all’esportazione e investimenti in progetti infrastrutturali, che possono rinforzare i collegamenti dell’Iraq con la regione e il mondo».
La rinascita irachena riguarda direttamente l’Italia, uno dei maggiori partner commerciali, con un interscambio pari a circa 4 miliardi di euro. «L’Iraq è il cuore del Medioriente per ragioni geografiche e riserve energetiche. Gran parte del Paese è piatto e desertico, una grande prospettiva per le energie rinnovabili» sostiene Marco Carnelos, ex ambasciatore in Iraq, che ha aperto una società di consulenza geopolitica e strategica. Si prevede addirittura di alimentare turbine a vapore in appositi silos grazie al calore sprigionato dalla sabbia. Anche la razionalizzazione delle risorse idriche, che oggi è ancora fermo a un sistema di stampo sovietico degli anni Settanta-Ottanta, è una grande sfida. Infrastrutture e trasporti sono un’altra fetta importante degli investimenti previsti. Da Baghdad a Bassora, la «capitale» del sud, va implementata l’alta velocità. L’Iraq estrae una media di 4 milioni di barili di greggio al giorno (quarto produttore mondiale) e conta di incrementarli a 7 milioni, ma il vero tesoro energetico ancora da sfruttare sono le riserve di gas, stimate complessivamente in 3.500 miliardi di metri cubi. «Il paradosso è che lo importano dall’Iran per produrre energia elettrica» dice la fonte Nato. A causa delle sanzioni i pagamenti avvengono su un conto dell’Istituto di stato Trade bank Iraq, ma non possono essere in dollari.
Teheran per protesta taglia ogni tanto le forniture che provocano black out elettrici pesanti, soprattutto d’estate con 50 gradi. «La gente di lamenta, il governo iracheno ottiene un’esenzione dagli americani per i pagamenti e ricomincia il teatrino» afferma la fonte. L’Eni opera in Iraq dal 2009 concentrandosi sul giacimento di Zubair, nel sud del Paese vicino a Bassora, con l’obiettivo di estrarre 700 mila barili al giorno di petrolio e utilizzare il gas associato per produrre energia elettrica. La zona è un feudo delle frange sciite dure e pure, che preferiscono gli italiani ad altri europei. Il 10 luglio la Total Energy francese ha firmato un poderoso accordo di 27 miliardi di dollari per aumentare la produzione petrolifera e il gas associato. L’obiettivo è diminuire la dipendenza irachena dalle forniture iraniane. Patrick Pouyanne, amministratore delegato di Total, confida che il contratto «sarà un segnale forte per il ritorno di altri investitori in Iraq».
Nei piani del governo iracheno c’è anche la costruzione di un importante gasdotto che dovrebbe essere destinato in primo luogo a uso interno, ma una delle ipotesi è una linea verso la Turchia che potrebbe proseguire fino in Italia. «Le prospettive per una rinascita irachena ci sono tutte» spiega l’ex ambasciatore Carnelos «nonostante il paese abbia ancora una zavorra di problemi a cominciare dalla disfunzionalità politica perenne. Gli Stati del Mediooriente si stanno affrancando da quello che chiamo la “pax americana”. E hanno capito che in questo modo ci sono interessanti alternative negli investimenti. L’Iraq è un paese che può beneficiare di questa nuova situazione».
