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Abbiamo davvero una sana e robusta Costituzione?

Abbiamo davvero una sana e robusta Costituzione?

La crisi pandemica ha esasperato la debolezza del Parlamento, aumentando a dismisura il potere dell’esecutivo e del premier. Che governano a colpi di decreto. Eppure è arrivato il momento di mettere mano alla Carta, obiettivo tutt’altro che facile con un Parlamento così diviso.


Che Covid fosse l’acronimo di (quale) Costituzione Vigente Domani? Alla vigilia dell’elezione del successore di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, la spia l’ha accesa il prefetto di Trieste. Valerio Valenti ha dichiarato: «Occorre contemperare il diritto a manifestare con quello alla salute, perciò ci si accinge a individuare forme attraverso cui comprimere e condizionare il diritto a manifestare».

Il sindaco alabardato Roberto Dipiazza (forzista) è andato oltre: «Servono leggi speciali come ai tempi del terrorismo» e il Viminale ha dato un giro di vite severo sulle manifestazioni anti-green pass. Dopo l’inedita gerarchia dei diritti spunta il «semipresidenzialismo de facto». Lo ha proposto Giancarlo Giorgetti, ministro per lo Sviluppo economico in quota Lega che, intervistato da Bruno Vespa per il suo ultimo libro (Perché Mussolini rovinò l’Italia e perché Draghi la sta risanando) uscito il 4 novembre, ha affermato: «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto».

Ecco servito il cortocircuito. I sostenitori del salvacondotto vaccinale a ogni costo non si fanno scrupoli nel vedere aggrediti alcuni principi costituzionali (articoli 17 e 21 sul diritto di riunione e di manifestare il pensiero, articoli 1, 3, 35 dal lavoro all’eguaglianza) e impugnano l’articolo 32 («la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»,) come una durlindana per respingere ogni obiezione, però di fronte al semipresidenzialismo urlano alla democrazia in pericolo.

Gli altri che hanno da ridire sul green pass e brandiscono la Costituzione a difesa delle libertà, però al semipresidenzialismo un pensiero ce lo fanno. Dunque abbiamo ancora una «sana e robusta Costituzione?». In questi mesi di pandemia il dibattito attorno alla Carta si è fatto pesante e pressante a cominciare dalla decretazione d’urgenza dei Dpcm, inaugurata da Giuseppe Conte e che pure l’Alta corte ha validato. Ma ora si pone il problema se sia legittimo, come intende fare Mario Draghi, prolungare oltre il 31 dicembre (termine invalicabile secondo la legge) l’emergenza virale che tale non è, visto che è nota, prevedibile e consolidata.

Gustavo Zagrebelsky, una delle cosiddette «vestali» della Costituzione, fu anche presidente dell’Alta corte, col movimento Libertà e Giustizia ha lanciato una petizione – ha raccolto oltre 1.500 firme – in cui si afferma tra l’altro: «La scelta di chiamare Draghi al vertice di governo, a prescindere dalle valutazioni circa i suoi meriti, ha avuto il sapore di una radicale delegittimazione del ceto politico italiano, nella sua totalità». Il giudizio critico coinvolge anche i media troppo morbidi con Draghi al punto da temere che si apra la strada «all’uomo forte».

Ma Zagrebelsky è lo stesso costituzionalista che difendeva fotissimamente il modus operandi di Giuseppe Conte. Guardiamo un po’ di numeri per capire se davvero siamo di fronte alla messa in sonno della Costituzione. Il «Conte due» in 16 mesi ha varato 34 Dpcm, 38 decreti legge e 59 decreti legislativi e ha posto 28 volte la fiducia. Draghi ha chiesto un voto di fiducia ogni 12 giorni nonostante abbia una maggioranza parlamentare amplissima (in settembre: 4 fiducie in 48 ore) e ha varato più di 4 decreti al mese come calcola un’indagine del sito Openpolis.

Nonostante questo il suo esecutivo ha oltre il 40 per cento di decreti attuativi da emanare e rispetto al Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, sui 51 obbiettivi da raggiungere entro fine anno è fermo a 29. L’emergenza Covid ha marginalizzato il Parlamento? Al tema «Costituzione ai tempi della pandemia» ha dedicato un saggio molto critico Alessandra Algostino, giurista torinese di chiarissima fama che riflettendo sulla normazione dell’emergenza da virus scrive: «È un patchwork normativo nel quale brilla per la sua assenza il Parlamento e si distinguono per incisività del contenuto e numerosità i decreti del presidente del Consiglio dei ministri». Tema che riprende nel suo Pandemia Costituzionale, questioni contemporanee la costituzionalista Ida Angela Nicotra (Università di Catania): «La crisi sanitaria ha esasperato drammaticamente la debolezza delle istituzioni parlamentari con il conseguente accrescimento del ruolo degli esecutivi e del capo del governo. Il decreto è divenuto, nel corso degli ultimi decenni, strumento di normazione ordinaria al posto della legge parlamentare».

Dunque il tema più scottante è se siamo ancora in una Repubblica parlamentare come dettato dalla Costituzione. Corrado Ocone, filosofo e difensore strenuo dell’idea liberale, commenta con Panorama: «La Costituzione fa acqua da tutte le parti; sarebbe tempo di metterci radicalmente mano. Anche perché è frutto di un compromesso tra due forze politiche che non ci sono più: la scrissero la Dc e il Pci e infatti il risultato è che se si applicasse alla lettera ci si condannerebbe all’immobilismo. Fu concepita come il compromesso tra due blocchi contrapposti».

«Credo» sostiene ancora Ocone, «che Giorgetti abbia posto un tema che dovrà essere affrontato. Sono convinto che all’Italia servirebbe oggi uno Charles de Gaulle non inteso come uomo forte, ma come l’uomo che, con la Quinta repubblica, ha posto alla Francia il tema della responsabilità dell’atto di governare. Penso però che non ci arriveremo perché ogni volta la sinistra ideologizza il dibattito istituzionale, forse memore del fatto che il Partito comunista in Italia era condannato a non governare. A cambiare la Costituzione ci hanno provato Bozzi, De Mita, D’Alema, Renzi e ogni volta si è preferito affidarsi alla Costituzione materiale che è malleabile. Così però quella formale è implosa e oggi il sistema è saltato».

Che ci sia necessità di rivede la Costituzione per andare verso un sistema semipresidenziale ne è persuaso da anni Marcello Pera, anche lui filosofo già presidente del Senato. «Anni fa» ricorda a Panorama «proposi una nuova Assemblea costituente di 75 membri eletta direttamente dal popolo e capace di elaborare in un anno un nuovo schema di Carta che deve necessariamente avviarsi verso una Repubblica presidenziale per rispondere alle sfide che abbiamo di fronte. Ci sono almeno quattro sistemi tra i quali scegliere: quello americano, quello francese, quello britannico o il cancellierato alla tedesca, ma è evidente che dobbiamo procedere a una riforma. Ce lo dice il pasticcio combinato con l’emergenza virale. Sono state sistematicamente violate le norme che regolano il rapporto tra Stato e Regioni, è saltato l’equilibrio e il “contemperamento” dei poteri tra governo e Parlamento, si è stabilita un’assurda gerarchia dei diritti. Tutti i diritti costituzionalmente rilevanti hanno pari dignità, ma si è fatto prevalere l’articolo 32, e del resto non si sa come regolarsi con l’emergenza perché la Carta non la contempla. È una lacuna grave della nostra Costituzione. Sia questa, sia la facoltà di interpretare i diritti secondo gli equilibri politici del momento. È necessario ripensare il sistema nella sua interezza. Facendo salvi i primi 12 articoli che sono i princìpi fondanti della Repubblica».

Una necessità rilevata anche da Alessandro Campi, politologo dell’Università di Perugia, ma che ha poca probabilità di concretizzarsi. «La questione andrebbe posta, ma proprio l’emergenza rende difficile affrontarla. «Oggi non ci sono le condizioni minime per costruire un accordo sul semipresidenzialismo» osserva. «È un dato che in questi mesi lo spirito della Costituzione si sia molto appannato con una conseguente perdita di ruolo del Parlamento e una compressione delle libertà di cui i Dpcm sono stati un esempio. E non c’è neppure dubbio che il sistema vada adattato per consentire alla politica di tenere il passo del modo di procedere della finanza, che altrimenti la soverchia. Ma non è facile con l’agenda così affollata, con l’elezione del successore di Sergio Mattarella alle porte pensare di metter mano alla revisione della Carta. Anche perché forse fa comodo tenere l’attuale assetto, facilmente curvabile alle esigenze del momento. Basti pensare che non c’è una legge elettorale, che la riduzione dei parlamentari attuata solo per tagliare le unghie alla casta richiederebbe una manutenzione complessiva del sistema istituzionale mai effettuata nonostante evidenti problemi di rappresentatività. E che forse non si farà perché i partiti sono deboli. Con Draghi a palazzo Chigi queste forze sono sotto scacco».

Ecco come dunque si finisce che un certificato «di sana e robusta Costituzione» non si nega a nessuno.

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