Presidenti di Regione e sindaci (quasi tutti di centrosinistra, ma con qualche eccezione), nell’ansia di apparire sempre più «green» rifiutano ogni progetto per realizzare inceneritori, rigassificatori, termovalorizzatori, parchi eolici… Ignorando, per ideologia o semplice strategia, il dramma della crisi energetica.
Hanno ridotto i «Nimby», quelli delle opere pubbliche solo nel giardino altrui, a comprimari. Bene. Anzi, male: i ribaldi oppositori sono rinati sotto erculee e mentite spoglie. Gli ideologici ambientalisti di provincia sono ormai surclassati dai ben più influenti «Nimto». Acronimo ermetico, ma illuminante: Not in my terms of office. Ovvero: non durante il mio mandato elettorale. È il loro momento. Dopo anni di chiacchiericci, la crisi energetica impone realismo e lungimiranza. Invece, presidenti di regione e sindaci fanno a gara a chi è più verde e benaltrista. Il governo vuole aumentare le estrazioni in mare? Autorizza nuove concessioni tra nove e dodici miglia dalla costa? Scatta la rivolta. Campania, Veneto, Puglia, Emilia-Romagna: il fronte s’ingrossa. Non solo trivelle, ma pure rigassificatori, parchi eolici, termovalorizzatori. No pasaran! S’annunciano persino ricorsi al Consiglio di stato. La premier, Giorgia Meloni, però tira dritto: «È finito il tempo dei no a tutti i costi: quello che serve all’Italia va fatto. Vogliamo aiutare le aziende in difficoltà». Perfino il mite Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente, picchetta: «O ci riprendiamo il nostro gas o le imprese andranno in affanno».
Davanti a loro, si staglia uno squadrone di indomabili Nimto. Quasi tutti i governatori di centrosinistra, coadiuvati per l’occasione da qualche fuoriclasse avversario. Tra questi, il più blasonato è Luca Zaia: presidente del Veneto, leghista eretico. Di fronte all’accorata richiesta del governo, non s’è intenerito: «Mantengo la mia posizione critica sulle trivelle». Insomma, per adesso non se ne parla. «Ci sono zone nel Polesine in cui il fondo si è abbassato di quattro metri, con una progressione dei cedimenti anche oggi inesorabile». A supporto dell’apocalittica tesi, in verità, non vengono srotolate certezze scientifiche. In compenso, c’è la concretissima avversione di sindaci e popolazioni nel Delta del Po. L’autonomia, epica battaglia del governatore, riparte anche da qui. L’avversione, comunque, è bipartisan. Anzi, il Pd sembra ancora più stentoreo: «Uno schiaffo al Veneto».
Zaia non è certo l’unico nel centrodestra colto dalla sindrome. Attanaglia pure tanti amministratori locali. In Sardegna, quest’estate, è partita la mobilitazione contro i parchi eolici off shore al largo delle coste, condivisa dal consiglio regionale. Ma il diniego più chiassoso è quello del sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, che contesta l’installazione della nave rigassificatrice nel porto. Dovrà sostituire, dalla prossima primavera, 5 miliardi di metri cubi annui di gas russo. Il Comune, però, ha presentato un ricorso al Tar del Lazio.
Del resto, pure l’ex governatore, Enrico Rossi, è un fervente oppositore. Da candidato Dem al parlamento, tre mesi fa continuava ad arringare i locali: «Tutta la Toscana dovrebbe protestare. Non c’è nessun motivo per cui la nostra regione, che s’è già fatta carico di un rigassificatore a Livorno, debba prenderne un altro nel porto di Piombino. Non è certo l’unico che possa accogliere una nave di quelle dimensioni…». Non nel mio giardino, dunque. E non durante la mia legislatura, ovvio. Un Nimto coi controfiocchi. All’opposto il suo successore, Eugenio Giani, si è dichiarato favorevolissimo all’opera. Tanto da essere nominato commissario straordinario.
Il Re delle Puglie, Michele Emiliano, minaccia invece sfracelli contro le perforazioni nell’Adriatico. A suo sostegno, adduce giustificazione: «Il decreto sblocca trivelle è una grave interferenza con i parchi eolici, considerati finora strategici». Ovvero? L’uno esclude gli altri? Non eravamo nel pieno della più grave crisi energetica della storia? Ma la drammatica contingenza non impensierisce nemmeno un altro gagliardo governatore del Pd: Vincenzo De Luca. Anche lui mette le mani avanti. Fin quando regnerà in Campania, il famelico esecutivo stia alla larga: «La regione è indisponibile ad accettare trivellazioni nel Golfo di Napoli e di Salerno». Non per ideologia, ci mancherebbe. «Ma per una valutazione di costi e benefici». Sarebbe «inimmaginabile», argomenta De Luca, avere le trivelle «davanti alla Costiera Amalfitana e alla Penisola Sorrentina». E nemmeno ’ncopp ’o mare dei Campi Flegrei, «un’area geologica delicata». Che poi, le esecrate piattaforme sarebbero piazzate a una ventina di chilometri dalla costa. Non esattamente sui pregiati bagnasciuga.
L’avversione di Don Vincenzo si estende all’eolico. «Quando vedo alcune meravigliose colline violentate dalle pale mi viene il male al cuore. Sono davvero una violenza sull’ambiente». Il ramingo ambientalista che è in lui soffre: «Sto male». Tanto da aver perfino trasformato l’argomento nella solita arma di dileggio politico. Così, le orecchie del detestato Andrea Mazzillo, ex assessore al Bilancio in Lazio, vengono definite «tipo pala eolica». Eppure, c’è poco da stare allegri. L’ultimo rapporto di monitoraggio del consumo di Fonti rinnovabili in Italia, conferma che la Campania non raggiunge il 20 per cento fissato dall’Unione europea. C’è chi fa peggio, comunque. In fondo alla classifica si staglia l’Emilia-Romagna, con il 12 per cento. Segue il Lazio: 11,2 per cento. Ultima la Liguria, ferma al 7,9 per cento.
Nella regione guidata da Giovanni Toti, l’accidentata morfologia e gli attivissimi porti non facilitano certo le cose. Uguali argomenti non hanno però le altre due renitenti, entrambe amministrate dal Pd. A partire dall’Emilia-Romagna. Il tentennante presidente, Stefano Bonaccini, sembra in procinto di candidarsi alla guida del Nazareno. Ancora una volta. Ma pure sulle trivelle sfodera cerchiobottismo: «Siamo favorevoli alla ripresa delle estrazioni per le concessioni esistenti, ma non a nuovi rilasci a terra». Dunque, no. Ma fino a un certo punto. In bilico sul filo del Nimto, per evitare l’appellativo di oscurantista. E le trivelle in mare aperto? «La competenza non è regionale ma del governo», svicola ancora Bonaccini.
Fumisteria degna di un celebre ex collega: già segretario del Pd, poi presidente del Lazio, eletto deputato alle ultime elezioni. Nicola Zingaretti viene soprannominato «Er Saponetta» per l’abilità di sfuggire alle responsabilità politiche. Nimto all’ennesima potenza. Come dimostra l’ultima polemica sul termovalorizzatore. Opera indispensabile, vista la monnezza che assedia Roma. Perfino l’evanescente Roberto Gualtieri, sindaco dem della capitale, è favorevole. L’uscente Zinga, invece, temporeggia: «La Regione l’inceneritore non lo ha mai approvato e non lo approverà mai». Il piano rifiuti dalla sua vecchia giunta è stato redatto dalla pentastellata Roberta Lombardi, assessore alla Transizione ecologica. Non prevede termovalorizzatori. Basta quello al confine con Molise e Campania.
La capitale, però, non può continuare a essere sommersa dai rifiuti. L’onere passerà, qualora dovesse trionfare, al suo aspirante successore: Alessio D’Amato, assessore laziale alla Sanità e candidato di Pd e Azione alla presidenza. Che, furbescamente, annuncia: «La Regione non deve approvarlo. È una scelta già definita da Gualtieri, come commissario, e dallo Stato. Il compito della Regione sarà aiutare Roma a uscire dalla crisi. La tassa dei rifiuti è tra le più alte d’Italia. E aumenta l’inquinamento, perché tir e navi cariche d’immondizia fanno la spola con mezza Europa».
Il diniego di Zingaretti non è questione di principio, ma strategia. Serve a non scontentare i Cinque stelle di Giuseppe Conte, sperando di rinsaldare l’asse giallorosso. D’altronde, il termovalorizzatore è stato addirittura il pretesto del Movimento per terremotare la legislatura. Adesso, un colpo al cerchio e uno allo botte, i Dem cercano di non scontentare i grillini. Cosa importa se la città eterna resta una discarica a cielo aperto? Not in my terms of office, appunto. Se ne riparlerà, bene che vada, nel mandato successivo.
