Il contagio senza freni. Soprattutto, un’economia in forte crisi e i problemi in politica estera. Per lo zar del Cremlino, che ha voluto costruire anche una cattedrale a monumento del proprio potere, è un 2020 molto amaro.
Con i suoi 95 metri di altezza è la terza chiesa più imponente della Russia. La sua sagoma si staglia poco fuori Mosca, vicino al Patriot Park, il Parco patriottico, un’immensa area a tema fatta costruire dal ministero della Difesa nel 2016 per esaltare l’importanza dei militari e rendere la loro presenza ancora più familiare al popolo russo. Non a caso, la cattedrale – dal ragguardevole costo di 6 miliardi di rubli, 75 milioni di euro – è dedicata proprio alle Forze armate, in particolare a quei soldati che persero la vita in tutte le guerre che hanno visto protagonista il Paese.
A farla erigere è stato il presidente Vladimir Putin che, come tutti gli zar che si rispettino, voleva un luogo di culto in grado di ricordare il suo regno. Doveva essere inaugurata in pompa magna lo scorso 9 maggio, in occasione del 75esimo anniversario della vittoria della Seconda guerra mondiale. Ma l’emergenza Covid-19 ha fatto saltare tutti i piani. E, forse, per il numero uno del Cremlino è meglio così.
I mesi di aprile e maggio, che dovevano rappresentare l’apogeo del suo potere, per il presidente russo si stanno trasformando nel periodo più buio, con una crisi da pandemia che sta piegando il Paese e ha messo a nudo tutte le falle del sistema sanitario nazionale. Il referendum costituzionale, che avrebbe dovuto garantire a Putin di rimanere alla guida della Russia ancora per molti anni, è stato posticipato sine die, così come le elezioni amministrative.
Il Covid-19 ha toccato lo zar da vicino. A inizio maggio sono stati contagiati il primo ministro russo Mikhail Mishustin e il ministro delle Costruzioni, Vladimir Yakushev. Pochi giorni dopo li ha seguiti il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, considerato anche uno degli uomini chiave del sistema di potere del presidente: prima di essere ricoverato in ospedale, ha assicurato di aver visto il leader russo oltre un mese fa, lasciando al Paese l’ultima certezza rimasta, ossia che il capo di Stato, almeno, è sano.
Per il resto, la Russia naviga a vista e i numeri non sono affatto buoni, anche se in leggero miglioramento rispetto a metà maggio. Ogni giorno si contano almeno 8.000 nuovi casi. La curva epidemiologica non accenna a diminuire e il bilancio dei morti è destinato a salire nelle prossime settimane. La cosa peggiore, poi, è che queste cifre, già gravi di per sé, sono ampiamente sottostimate e lo sono state fin dall’inizio.
Secondo Meduza, un sito di inchiesta d’opposizione con sede a Riga, in Lettonia, il 30% dei medici russi sarebbe stato costretto a mentire, attribuendo ad altre malattie centinaia di decessi da coronavirus. A questi vanno aggiunti i dottori e gli infermieri in tutto il Paese che si sono rifiutati di lavorare a causa delle mancanze di tutele e dei turni massacranti in ospedale. Gli appelli sono all’ordine del giorno, puntualmente ignorati dalle emittenti, quasi tutte filogovernative.
Ancora più grave, c’è la morte di tre medici in poche settimane, tutti volati dalla finestra degli ospedali dove lavoravano; in almeno due casi, i dubbi che non si sia trattato di suicidio sono più che fondati. Il fatto poi che entrambi avessero protestato per i metodi con cui è stata gestita l’emergenza Covid-19 apre a scenari ben più inquietanti.
I quotidiani di opposizione, intanto, ci vanno giù pesante. Da quando, nel 2014, il numero uno del Cremlino si è focalizzato sull’agenda internazionale, a cominciare dall’invasione dell’Ucraina, la situazione interna del Paese è peggiorata progressivamente, con l’erosione dello stato sociale, celata sotto una patina di crescente benessere. Vladimir Putin, dieci giorni fa, ha affermato che il peggio è passato e la situazione sta migliorando, facendo anche un’apparizione simbolica nel suo ufficio al Cremlino. Ma dall’altra parte sta correndo ai ripari, ordinando test a tappeto, soprattutto a Mosca, e mettendo in guardia il suo popolo su una possibile seconda ondata fra ottobre e novembre.
«È chiaro che questa situazione mette Vladimir Putin in difficoltà proprio quando ne avrebbe fatto volentieri a meno» dice a Panorama Michal Lubina, docente di Relazioni internazionali alla polacca Jagiellonian University di Cracovia. «Il presidente non possiede più l’appeal di una volta sul proprio elettorato e ora non può nemmeno sfruttare il senso di coesione nazionale e il patriottismo che si percepiscono nel Paese nel periodo attorno al 9 maggio, quando i russi festeggiano il Giorno della vittoria». Nonostante ciò, lo zar continua a puntare sull’orgoglio nazionale. E per rimotivare una popolazione fiaccata dalla crisi e dalla pandemia ha proposto alle Camere una legge che introduca i concetti di «patriottismo» e «storia bellica» nei programmi di istruzione.
Di certo, ad aiutarlo non ci sarà l’economia nazionale, che per lungo tempo è stato un fiore all’occhiello del presidente e il simbolo stesso della «nuova Russia» alla quale stava cercando di dare vita. Secondo le stime, nel secondo trimestre il Pil subirà una contrazione del 9,5% rispetto allo stesso periodo del 2019, che aveva già visto un calo del 5%: il valore più basso degli ultimi dieci anni. Il ministro dell’Economia, Maksim Reshetnikov, ha dato la colpa alla pandemia dicendo che la decrescita dovrebbe rallentare entro fine anno e nel 2021 ci dovrebbe essere una forte ripresa.
Intanto, però, alcune restrizioni non cesseranno prima dell’estate e le aziende arrancano. Il premier Mikhail Mishustin ha stanziato un fondo da 100 miliardi di rubli, più o meno 1,3 miliardi di euro, che però va spartito «a pioggia» fra le 56 suddivisioni amministrative che negli ultimi due mesi hanno visto entrate inferiori rispetto allo stesso periodo del 2019. «La sfida più importante» aggiunge Michal Lubina «potrebbe presentarsi nei prossimi mesi. Se non si porrà rimedio alla situazione, il basso prezzo del petrolio e il calo della domanda energetica spegneranno quello che fino a questo momento è stato il motore dell’economia russa».
Putin lo sa perfettamente e per questo, anche in piena crisi da pandemia, ha fatto proseguire gli imponenti lavori nel Nord della Federazione, in zona artica, dove intende aprire strategiche rotte commerciali. In programma ci sono nuovi ponti e infrastrutture e un incremento della flotta rompighiaccio. Questo consentirà ai mercantili di arrivare in Oriente in 20 giorni anziché negli attuali 32. Le merci in transito potrebbero così lievitare dagli attuali 20 milioni di tonnellate agli 80 nel 2025.
Al risparmio di combustibile e di tempo corrisponderebbero però effetti negativi su un ambiente già reso fragile. Anche il rischio nucleare crescerebbe a dismisura: la Russia dispone oggi di quattro navi rompighiaccio a propulsione atomica, che nel 2035 potrebbero diventare nove.
Per raggiungere l’obiettivo, il presidente è comunque disposto a mettere in gioco la salute del suo stesso popolo. In piena pandemia, sugli 11.000 lavoratori che lavoravano nella penisola di Kola, nell’estremo Nord, almeno 2.000 hanno contratto il coronavirus. Anche in tal caso si tratta di cifre sottostimate. Ci sono state proteste – ma non ne ha parlato nessuno – per le condizioni pericolose in cui sono costretti a lavorare gli operai, senza distanziamento sociale e con dispositivi di protezione insufficienti. Putin, del resto, ha più che mai bisogno di questo «fronte artico» per contare sulla scena internazionale, ora che la Turchia sta mettendo l’alleato russo in grave difficoltà in Siria, ma soprattutto in Libia, dove Ankara ormai rappresenta la potenza dominante.
È un quadro politico che stride con l’architettura della nuova cattedrale moscovita e con le decine di metri quadrati di mosaici celebrativi all’interno. Fra questi, ce ne dovevano essere due dedicati a Stalin e allo stesso Putin, fari illuminanti della patria. Il primo è stato rimosso per le proteste della Chiesa ortodossa. Al secondo ha provveduto il presidente in persona. Nella chiesa-monumento persino lo zar rischia di entrarci per pregare soprattutto per il proprio potere futuro. A margine, magari anche per quello della Russia.
