Stanca di venire trattata come la Cenerentola della Ue da Bruxelles, Atene cerca alleanze parallele. E per rilanciare l’economia, dopo il decennio dell’austerity e dell’emergenza Covid, guarda ai Paesi del Golfo e all’Egitto. Nel Mediterraneo orientale si sta così preparando una nuova geografia.
Un timido sole primaverile inizia a fare capolino su una Atene piegata dalla seconda ondata di Covid-19 e dove l’inverno è stato particolarmente rigido. I negozi sono chiusi e la mancanza di turisti rende il centro della capitale, solitamente molto vivace, irriconoscibile. Eppure, nei palazzi del potere si lavora a testa bassa e si pensa al futuro, soprattutto a quello della politica internazionale.
L’economia nazionale nel 2020 ha subìto una forte contrazione, oltre il 10%, superiore alla media europea. Ma le stime per il 2021 e ancor più per il 2022 sono confortanti. Entro dicembre il Pil ellenico potrebbe crescere fino al 5% per poi superare il 6% nei 12 mesi successivi.
Intanto, l’esecutivo si prepara alla prossima stagione estiva, che sarà determinante per le sorti dell’economia nazionale. Per quanto riguarda le vaccinazioni contro il Covid, fino a questo momento circa un milione di greci ha già ricevuto almeno una dose su una popolazione di poco più di 10 milioni di abitanti. La strategia vaccinale punta a mettere in sicurezza le isole, dove si concentra il flusso turistico, e renderle «Covid-free».
Ma la «primavera greca» comprende anche strategie sul lungo termine, in testa quelle riguardanti la politica internazionale. Atene sembra davvero essersi stancata di venire trattata come la Cenerentola della Ue da Bruxelles e come una terra di facile conquista da parte della Turchia. E ha deciso di andare per conto suo.
Un processo partito nel 2014, ma l’emergenza nelle acque del Mediterraneo dell’Est, con le pretese di Ankara di ridiscutere la spartizione delle acque territoriali e la sovranità di alcune isole, che nell’agosto 2020 ha quasi portato sull’orlo di un conflitto armato, ha imposto un’accelerazione. A questo va aggiunto il dinamismo del premier conservatore, Kyriakos Mitsotakis, determinato a ricostruire l’economia nazionale dopo il decennio terribile dell’austerity.
E così, Atene si sta trasformando nel partner di riferimento nel Mediterraneo per Paesi del Medio Oriente e del Golfo per quanto riguarda l’ampliamento delle rotte commerciali e lo sviluppo di rapporti bilaterali. I porti del Pireo e di Salonicco diventeranno veri passaggi obbligati, che collegheranno il transito merci di tre continenti, mentre le aziende elleniche saranno coinvolte in progetti di transizione ecologica che porteranno a nuovi investimenti e cambieranno profondamente l’architettura industriale dell’Ellade.
Mitsotakis ha le idee molto chiare, e nominando Kostas Fragiogiannis sottosegretario per la diplomazia economica e le aperture, gli ha chiesto di puntare su quei Paesi dove si svilupperanno le industrie del futuro, soprattutto energia verde e intelligenza artificiale. Un programma decisamente promettente, dove Atene deciderà di fare a metà solo alle sue condizioni. Soprattutto con quei Paesi, in testa l’Italia, con i quali la Grecia potrebbe instaurare sinergie proficue per entrambe le parti, ma dai quali si sente costantemente trattata come l’anello debole della catena, costretto ad accontentarsi.
Ecco, adesso Atene non si accontenta più. Fonti vicine all’esecutivo hanno confermato a Panorama che l’impegno e la lealtà verso la Ue rimangono prioritarie, ma che la Grecia «è determinata a sfruttare tutte le potenzialità derivanti dalla sua posizione geografica e dalle sinergie con Paesi strategici». Della serie, chi a Bruxelles ha orecchie per intendere, intenda. E, in una Ue dove ogni singola nazione coltiva rapporti preferenziali, con buona pace degli ideali europei e della collettività, Atene si è stancata di stare a guardare.
L’ufficializzazione del nuovo corso della politica estera ellenica, è arrivata lo scorso 11 febbraio con l’organizzazione del Philia Forum, il Forum dell’Amicizia, in presenza e a livello ministeriale, dove i Paesi invitati erano amici molto particolari. Oltre a due membri europei, rispettivamente Cipro e la Francia, a cui Atene ha ordinato 18 caccia da combattimento Rafale, c’erano anche Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Barhein. Il sottotitolo della manifestazione recitava «costruire amicizia, pace e prosperità dal Mediterraneo al Golfo».
Pare chiaro che da questo progetto ambizioso al momento rimangono fuori Turchia e Italia. E se nel primo caso la decisione è frutto della politica estera sempre più aggressiva da parte di Ankara e che ha infastidito molte delle nazioni sopracitate, nel secondo caso l’esclusione è da addebitarsi all’atteggiamento da sempre filoturco di Roma, ma non solo.
Michael Tanchum, professore di Relazioni internazionali all’Università di Navarra e senior fellow all’Austrian Institute for European and Security Policy (AIES) pensa che la Penisola possa ancora essere della partita: «Le relazioni commerciali fra Grecia e Italia hanno potenziali sinergie, che possono portarli a sviluppare connessioni transmediterranee. Perché ciò avvenga, però, Roma deve guardare alla Grecia come a qualcosa di più di una nazione di transito e favorire maggiore parità nella relazione con Atene. Se alla cooperazione si preferirà la competizione, questo avrà impatto negativo non solo sugli interessi commerciali dei due Paesi, ma anche sulla gestione dei confini meridionali dell’Unione». Situazione ancora più difficile per la Turchia, che rischia di aumentare ulteriormente il suo isolamento.
La Grecia sta imparando a fare di necessità virtù, con un occhio alla sicurezza e uno al portafoglio. E che portafoglio. Fra i rapporti più promettenti ci sono quelli con l’Egitto. Fino a tre anni fa Atene veniva vista da Il Cairo soprattutto come un Paese a cui esportare petrolio, ora la situazione è diversa. Prima dell’avvento della pandemia, il volume di investimenti greci in Egitto era di circa 2 miliardi di dollari, ma sono stati firmati contratti per irrobustire la cooperazione economica, soprattutto nel campo dell’energia pulita, dove Atene intende investire e dove sta portando avanti progetti finanziati in parte dall’Unione Europea.
Anche nel Golfo Atene si sta ritagliando uno spazio strategico. La Banca Greca per gli Investimenti (Taneo) ha firmato con la Mubadala Capital Venture, basata negli Emirati Arabi Uniti, un memorandum per la creazione di una piattaforma di investimenti da 400 milioni di euro.
Lo scorso novembre, poi, in occasione della sua visita a Riad, il premier ellenico Mitsotakis ha discusso con il principe ereditario, Mohamad Bin Salman, nuove opportunità di collaborazione nel campo satellitare e del turismo, ma soprattutto si è garantito una partecipazione ellenica nel progetto Neom, la nuova città dell’Innovazione, nella quale Riad investirà la cifra record di 500 miliardi di dollari. La sua zona residenziale sarà alimentata solo a energia rinnovabile ed è proprio in questo settore che Atene darà il suo contributo.
«Non credo che questo sia un voltafaccia all’Europa» dice a Panorama Alexandra Voudouri, analista del think-tank Macropolis. «Sicuramente la Grecia è rimasta delusa dalla riluttanza con la quale la Ue ha risposto alle richieste per azioni urgenti e sostanziali davanti alla politica estera della Turchia nell’est del Mediterraneo e nell’Egeo. Ma credo che il Philia Forum abbia avuto come principale obiettivo irrobustire la cooperazione economica, tecnologica e culturale fra le nazioni partecipanti. Il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, su questo è stato chiaro: amicizia verso tutti, senza eccezioni, ma se supportata dal rispetto del diritto internazionale e dai principi comuni di condotta internazionale. La Grecia ha la possibilità di essere uno degli attori principali nelle relazioni transmediterranee dei prossimi decenni e non vuole lasciarsela scappare».
C’è in realtà un altro attore, solo fino a un certo punto di secondo piano, che sta guardando con interesse alle mosse di Atene. Si tratta della Cina di Xi Jinping. Nel 2016, la società cinese Cosco, colosso del settore shipping, ha acquistato il 67% del Pireo, ed è solo ben felice di vedere l’operatività dello scalo aumentare, per di più verso territori, come quelli africani, dove la presenza cinese è molto forte. Atene, insomma, è pronta a fare la sua parte, sperando che Bruxelles si accorga che questo Paese, un tempo fonte di grossa preoccupazione, può rappresentare un asset su cui contare e magari sul quale anche investire.
