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Primarie democratiche Usa: il Super martedì di fuoco

Primarie democratiche Usa: il Super martedì di fuoco

L’appuntamento chiave in 14 Stati sarà decisivo per la corsa alla nomination del partito dell’asinello per le presidenziali del 3 novembre. Dopo il passo indietro di Pete Buttigieg, il vero scontro è fra Bernie Sanders e Joe Biden. Due candidati che non potrebbero essere più diversi.


Dopo il ritiro del candidato Pete Buttigieg dalle primarie democratiche, il Super Tuesday del 3 marzo è destinato a rivelarsi dirimente. La corsa per la nomination del partito dell’asinello sta sprofondando sempre più in una situazione di caos. E si spera che l’imminente appuntamento elettorale possa fare finalmente un po’ di chiarezza. Il Super martedì saranno 14 gli Stati che andranno al voto: Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont e Virginia (oltre al territorio delle Samoa americane).

Non soltanto saranno quindi chiamati ad esprimersi svariati Stati meridionali ma – questa volta – voteranno insieme due aree particolarmente popolose, come Texas e California. In particolare, era dal 2008 che il cosiddetto Golden State non teneva le proprie primarie nei primi mesi dell’anno elettorale, visto che – nel 2012 e nel 2016 – aveva ripreso la sua tradizionale consuetudine di ospitarle in giugno.

La presenza in contemporanea del voto in Texas e California rende quindi questo Super Tuesday particolarmente appetibile, dal momento che – nel complesso – metterà in palio circa il 33% dei delegati totali in vista della convention estiva di Milwaukee (1.344 su 3.979, per l’esattezza). Tutto questo, senza dimenticare che le aree interessate dal voto ospitano circa il 40% della popolazione statunitense. Resta tuttavia escluso il territorio della Rust Belt, che – vista la forte presenza di colletti blu – si rivelerà dirimente per le elezioni di novembre.

A poche ore dall’apertura delle urne, la situazione appare piuttosto ingarbugliata. E, a rendere ancora più complicato il quadro generale, ci hanno pensato le primarie del South Carolina, tenutesi sabato scorso. Per tutto il mese di febbraio, era sembrato che Bernie Sanders si stesse avviando a diventare il front runner incontrastato. Pur essendo arrivato secondo per un soffio nel caucus dell’Iowa, il senatore del Vermont aveva inanellato tre vittorie consecutive nella conquista del voto popolare: dallo stesso Iowa al Nevada, passando per il New Hampshire. Soprattutto le netta vittoria in Nevada si era mostrata particolarmente significativa.

Sanders, che è ebreo, era riuscito a sfatare il tabù, che lo vedeva incapace di risultare attrattivo per le minoranze etniche: un problema che effettivamente lo aveva «perseguitato» ai tempi delle primarie democratiche del 2016, Non dimentichiamo che a livello nazionale – secondo il Pew Research Center – gli ispanici abbiano un peso elettorale del 13,3%, mentre gli afroamericani del 12,5%. Eppure, in occasione del caucus del Nevada dello scorso febbraio, il senatore socialista era riuscito a conquistare il 53% degli elettori ispanici e il 27% di quelli afroamericani.

Un dato significativo che ha mostrato la sua capacità di estendersi al di là del solo elettorato bianco. Al grande spolvero di Sanders faceva invece da contraltare la crisi in cui era piombato l’ex vice-presidente Joe Biden, con i pessimi risultati conseguiti in Iowa e New Hampshire, oltre a un magro secondo posto rimediato in Nevada. L’ex vicepresidente aveva del resto deciso di puntare tutto proprio sul South Carolina, sperando nel voto degli afroamericani: una strategia non poco rischiosa, visto che in passato il Palmetto State si era talvolta rivelato piuttosto infido (si veda il caso di Hillary Clinton alle primarie democratiche del 2008 o quello di Jeb Bush alle primarie repubblicane del 2016).

Biden alla fine è tuttavia stato premiato e, sabato scorso, ha conquistato in loco il 48,4% dei consensi, lasciando Sanders al secondo posto con il 20%. Come si diceva, la netta affermazione dell’ex vicepresidente rischia di complicare ulteriormente la situazione. E questo per una serie di ragioni. In primo luogo, perché nei fatti è tornato in pista un candidato che sembrava ormai sull’orlo del fallimento. In secondo luogo, Biden si conferma il contendente maggiormente attrattivo per l’elettorato afroamericano e quindi quello potenzialmente più adatto a vincere negli Stati meridionali.

È soprattutto quest’ultimo dato ad apparire particolarmente significativo, perché foriero di due probabili conseguenze. Innanzitutto è verosimile che il voto delle minoranze etniche si spaccherà in due, con gli ispanici a favore di Sanders e gli afroamericani in sostegno di Biden. Un fattore che, qualora dovesse rivelarsi fondato, potrebbe avere degli impatti non indifferenti in occasione del Super Tuesday. Non dimentichiamo che California e Texas siano aree particolarmente ricche di elettori ispanici: aree in cui, non a caso, i sondaggi danno al momento avanti il senatore del Vermont. È invece probabile che Biden farà leva sulla vittoria in South Carolina, per aggiudicarsi Stati come il Tennessee e l’Alabama.

La seconda conseguenza riguarda invece la candidatura di Mike Bloomberg. Come è noto, l’ex sindaco di New York si confronterà con le urne per la prima volta proprio il 3 marzo: la sua strategia è infatti sempre stata quella di lasciare gli avversari a scannarsi politicamente nel corso dei primi appuntamenti elettorali e approfittare della debolezza di Biden per sottrargli i voti dei centristi (soprattutto degli afroamericani). La vittoria dell’ex vicepresidente in South Carolina rischia ciononostante adesso di dar fastidio all’ex sindaco di New York: un Bloomberg che era del resto apparso già sfibrato durante i primi dibattiti televisivi e che ha subìto, nelle scorse settimane, dure accuse per alcune sue passate (e controverse) affermazioni.

Insomma, se Biden riuscirà a riprendersi la leadership dell’area moderata, per l’ex sindaco sarà molto difficile trovare una collocazione vincente. Soprattutto alla luce del fatto che gli afroamericani sembrano compattamente schierati a sostegno dell’ex vicepresidente. Certo: la situazione resta ancora ambigua in alcune aree. Secondo la media sondaggistica di Real Clear Politics, Bloomberg e Biden risulterebbero infatti al momento sostanzialmente appaiati al secondo posto in Texas, mentre in California i due si starebbero contendendo attualmente la terza posizione, con un divario di appena l’1%.

È tuttavia chiaro che, differentemente dall’ex sindaco, Biden possa cercare di capitalizzare la vittoria del South Carolina, sperando di determinare così avere un’influenza positiva negli Stati del Super Tuesday. Come sottolineato da Natasha Korecki su Politico sabato scorso, sarebbe esattamente questa la strategia dell’ex vicepresidente, per inaugurare una nuova fase e – soprattutto – per accreditarsi come l’unico possibile candidato anti-Sanders.

Se il 3 marzo a essere monitorati risulteranno principalmente Sanders, Biden e Bloomberg, sarà comunque interessante capire il destino degli altri contendenti in gara. Dopo gli ottimi risultati conseguiti in Iowa e New Hampshire, Pete Buttigieg ha finito la sua corsa, annunciando il proprio ritiro. L’ex sindaco di South Bend non è riuscito a conseguire risultati soddisfacenti in Nevada e South Carolina, mostrandosi incapace di risultare attrattivo per le minoranze etniche. Il suo fato ricorda un po’ quello del repubblicano Marco Rubio nel 2016: un presunto astro nascente della politica anericana, rivelatosi poi sostanzialmente un prodotto di marketing elettorale.

La situazione non migliora granchè per la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, e per la sua collega del Minnesota, Amy Klobuchar. Entrambe hanno rimediato pessimi risultati in Nevada e South Carolina ed entrambe non riescono a mostrarsi attrattive verso le minoranze etniche. Un elemento interessante risiede nel fatto che, il 3 marzo, voteranno i loro Stati di appartenenza. Ragion per cui – come notavano venerdì sul giornale politico statunitense The Hill J. Edward Moreno e Zack Budryk – un’eventuale debacle in casa costringerebbe prevedibilmente le due senatrici al ritiro definitivo. Sotto questo aspetto, è per ora la Warren a rischiare di più, visto che nel suo Massachusetts i sondaggi la danno testa a tesa con Sanders. In Minnesota invece la Klobuchar sembra per il momento in una posizione di maggior forza.

Insomma, il quadro generale resta abbastanza caotico. E non è detto che, alla fine, il 3 marzo riuscirà a fare chissà quale chiarezza. Il rischio maggiore è quello di vittorie parziali e frammentate, senza un netto vincitore. Uno scenario che aggiungerebbe ulteriore incertezza a un processo – quello delle primarie democratiche – già di per sé tormentato e confuso.

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