Home » Attualità » Esteri » Dove regnava il Kaiser regna il nervosismo

Dove regnava il Kaiser regna il nervosismo

Dove regnava il Kaiser regna il nervosismo

Dai Balcani fino alla Slovacchia, il territorio dell’ex impero austroungarico si conferma una polveriera (e a godere di queste tensioni è Mosca).


In attesa delle elezioni polacche che si terranno il 15 ottobre, è il vasto spazio post-asburgico ad essere attraversato da tensioni, che si scaricano sul fianco orientale della Nato e sul confine est della Ue. Dove un tempo regnava il Kaiser, oggi regna il nervosismo. Mosca, convitato di pietra di ogni vicenda che si consuma da quelle parti, osserva compiaciuta.Dell’influenza russa nell’ex impero austroungarico, per esempio, si è ripreso a parlare subito, all’indomani delle elezioni in Slovacchia, che hanno registrato l’affermazione del nazionalista (di sinistra) Robert Fico. Fico è un revenant, un redivivo, della Slovacchia è già stato primo ministro creando un sistema di potere noto per i frequenti scandali legati a corruzione.

I mezzi di informazione hanno sottolineato la sua linea filo-russa (e anti-ucraina), anche se la sua vittoria elettorale ha più a che fare con temi della quotidianità e soprattutto dell’economia. Gli analisti della Heritage, un importante think tank conservatore statunitense, riconoscono che Fico si oppone da sempre e con molto vigore all’ingresso dell’Ucraina della Nato, ma sottolineano che il vero tema oggi non è tanto l’ingresso di Kiev nell’alleanza atlantica, quanto la sua ammissione all’Unione. Quanto al sostegno militare slovacco, era già ridotto al lumicino: gli arsenali sono ormai vuoti, e il contributo di quel Paese non sposta di una virgola i saldi del conflitto. Senza contare che Fico, nonostante il suo temperamento forte, deve fare i conti con numeri risicati. Il suo partito, Smer, ha preso il 23 per cento. Un bottino, cioè, consistente ma non decisivo.

Il numero corrispondente di seggi parlamentari non è infatti sufficiente a formare una maggioranza e governare, ed è alle viste un complesso mosaico di partiti – forse più di dieci – per mettere assieme un esecutivo. Ne consegue che la linea di Fico sarà diluita, frenata. Se invece volgiamo lo sguardo più a sud, verso i Balcani, la questione si fa più seria. Pochi giorni fa, infatti, truppe serbe si sono concentrate, minacciose, al confine con il Kosovo. Solo insistenti telefonate da Washington hanno riportato a più miti consigli Belgrado e Pristina, che tuttavia continuano ad accusarsi a vicenda. Per il momento gli analisti non prevedono uno scontro armato vero e proprio, e sottolineano che la presenza Nato in Kosovo resta la garanzia più efficace perché la temperatura non salga oltre la soglia di guardia da quelle parti. Tuttavia nessuno è pronto a scommetterci, e non è escluso che, di qui a non molto, saremo punto e a capo. Gli episodi allarmanti, infatti, sembrano non mancare mai.

Lo scorso settembre, uomini armati hanno per esempio attaccato una pattuglia della polizia kosovara nel villaggio di Banjska, nel Kosovo del Nord, e a questo attacco è seguita un’intensa sparatoria. Ufficialmente le autorità serbe si professano filo-americane e premono per l’ammissione del Paese nella Ue, ma non perdono occasione per indebolire il primo ministro kosovaro Albin Kurti e il suo esecutivo. Inoltre i serbi si rifiutano di sostenere le sanzioni europee contro la Russia, anche se sono parte della piattaforma internazionale – a guida di Kiev – per reintegrare la Crimea nell’Ucraina. Sul fronte delle riforme politiche, delle liberalizzazioni e della lotta alla corruzione, gli osservatori più attenti lamentano che molto resta da fare. Sul fronte opposto, in Kosovo, non sono a loro volta rose e fiori: il premier Kurti ha arroventato non poco i rapporti con gli Stati Uniti e i partner europei, al punto che nella primavera di quest’anno il dipartimento di Stato Usa ha ufficialmente puntato il dito contro il governo kosovaro, accusandolo di alimentare tensioni. Con queste premesse, gli sforzi americani per promuovere una normalizzazione nelle relazioni serbo-kosovare sono a un punto morto. I due Paesi continuano a «pizzicarsi», e spesso lo fanno per questioni interne più che per l’influenza russa. Guai, però, a dimenticarsi di Mosca, che nei Balcani è molto radicata e non vede l’ora di seminare zizzania.

* L’autore, Francesco Galietti, è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

© Riproduzione Riservata