Home » Attualità » Politica » I politici usciti di scena causa Covid

I politici usciti di scena causa Covid

I politici usciti di scena causa Covid

Per l’emergenza Matteo Renzi, Chiara Appendino, Virginia Raggi e Luigi de Magistris hanno tenuto un profilo basso. Ma se c’è un buon motivo, eccoli pronti a «riemergere». Come Alessandro Di Battista.


Tutti insieme, appassionatamente. Nella palazzina liberty costruita dai bisnonni di Chiara Appendino, oltre al marito e alla figlia, vivono i genitori, due nonne, una sorella, un cognato e sei nipoti. Totale clan: 15 componenti. Per il sindaco di Torino, il distanziamento sociale è sfida da affrontare già nella tromba delle scale. Però i suoi amministrati sono ligi e disciplinati: soltanto il 3% dei torinesi è stato sanzionato per non aver rispettato le varie ordinanze e il dato è gonfiato dalla nota severità della polizia locale. Invece la sindaca Cinque stelle, da quando Giuseppe Conte ha chiuso l’Italia per pandemia, ha indossato una maschera benedicente, ha evitato qualsiasi polemica, ha ridotto al minimo interviste e proclami.

L’Appendino però non è il solo politico a essersi quasi inabissato in attesa di tempi più popolari. Come lei hanno fatto in parecchi, un po’ in tutta Italia, a cominciare da Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, Marco Bucci, primo cittadino di Genova, Leoluca Orlando, a Palermo, Rinaldo Melucci a Taranto e, in parte, perfino Virginia Raggi a Roma. O Nicola Zingaretti, che nonostante il doppio ruolo di presidente del Lazio e segretario del Pd, in due mesi è stato più che doppiato nel numero di dichiarazioni da Attilio Fontana, almeno a consultare l’archivio Ansa.

Certo, tra gli inabissati del Covid, meritano menzioni d’onore il grillino Alessandro Di Battista, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Il Che Guevara di Roma Nord ha tentato di attirare l’attenzione sul problema dei migranti ancora ai primi di marzo, ma quegli egoisti degl’italiani erano già a caccia di gel e mascherine. Poi, dopo il primo decreto chiudi-Italia di Giuseppe Conte, l’8 marzo, Di Battista si è volatilizzato per riemergere il 18 aprile, attirato dall’odore delle nomine pubbliche in Eni, Enel, Poste e compagnia lottizzata. Poco meglio hanno fatto Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.

Anche l’ex premier ha dato battaglia sulle nomine pubbliche e quando si è occupato della pandemia è stato per chiedere la riapertura a maggio delle scuole «come in Francia». La Boschi invece, il 12 marzo, ha proposto via Twitter che due navi da crociera fossero trasformate in ospedali galleggianti, in una sorta di Corona boat dell’orrore. Poi si è acquetata un mesetto, per rispuntare nei giorni scorsi e dire la sua sul Fondo salvastati e sulla spartizione delle cadreghe nelle aziende pubbliche. Davvero una fissa, in Italia viva.

Nel resto d’Italia, quella viva per davvero, i problemi sono più concreti. Antonio De Caro, sindaco di Bari (Pd), ogni tanto fa un blitz in un mercato troppo affollato, spiega ai commercianti che «non bisogna maltrattare i vigili che rischiano la vita», s’arrabbia quando vede le file interminabili, minaccia chiusure, poi in realtà lascia fare. E le sue sortite ufficiali si contano sulle dita di una mano. Ogni tanto parla come presidente dell’Anci, cercando di evitare polemiche con il governo.

Per quelle c’è il presidente della Puglia, Michele Emiliano, svariate dichiarazioni al giorno e un piglio da sceriffo. L’ex magistrato è secondo per interventismo solo a Vincenzo De Luca, il presidente della Campania (regione all’undicesimo posto per morti e al nono per casi totali) che con i suoi cazziatoni di massa ha surclassato mediaticamente anche Luigi de Magistris, sindaco-Masaniello di Napoli.

Del resto, di fronte alla quarantena, la scelta di un amministratore non è facile: o ti nomini re di Sparta, oppure fai il minimo sindacale, distribuisci aiuti ai bisognosi e tifi per la riapertura. Insomma, la linea tipicamente grillina. A Torino, Appendino prepara quasi in silenzio la propria ascesa romana ai vertici del Movimento, fa le dirette Facebook come da manuale della Casaleggio & Associati, telefona a tutti i centenari della città per sapere se hanno bisogno di qualcosa e si tiene lontana dalle polemiche. Non le evita invece Alberto Cirio, il nuovo presidente di centrodestra della Regione, mediaticamente invasivo come un Di Maio dei bei tempi, ma con una motivazione solida: il Piemonte è la terza regione per morti ufficiali (2.485 al 21 aprile), dietro Lombardia ed Emilia Romagna.

La distensione regna sovrana nel Lazio. Il 20 aprile, la Raggi ha confermato che quattro anni di scontri con Nicola Zingaretti sono ormai un ricordo e a Radio Cusano Campus ha raccontato: «Con la Regione abbiamo compiti differenti, loro si occupano della parte sanitaria: certo, auspicheremmo più tamponi. Per il resto c’è una buona sinergia». In città, i vigili fermano un po’ le macchine, gli anziani hanno ripreso a uscire tre volte al giorno e sono tutti ammirati del vero miracolo Covid, ovvero una Roma pulita, ordinata e senza macchine in tripla fila.

Quanto a Zingaretti, che l’influenza cinese se l’è fatta, ha tenuto i toni bassi e in questi due mesi ha parlato poco e più che altro da segretario del Pd. Come la Raggi, ha capito che a Roma i toni di un Vincenzo De Luca farebbero perdere migliaia di voti. Massima armonia, e poche ciance, anche in Liguria, facilitata dal fatto che il sindaco di Genova, Marco Bucci, e il presidente Giovanni Toti sono della stessa area politica. Bucci si è concentrato sui buoni spesa, sul completamento del nuovo ponte sul Polcevera e ha perfino riacceso un dj improvvisato sui tetti di Multedo, che era stato fermato dalla municipale per disturbo della quiete pubblica.

A Venezia, un altro sindaco che ha lasciato la ribalta è Luigi Brugnaro, imprenditore come lo è Rinaldo Melucci (Pd) a Taranto, quasi completamente sparito dopo una campagna elettorale assordante. Però l’unico colpo che ha battuto, l’ha battuto forte: un’ordinanza per la chiusura dell’Ilva causa coronavirus, che gli amministratori di ArcelorMittal hanno ovviamente impugnato, subito appoggiati dai commissari di governo.

E a proposito di aziende, il recordman del silenzio è probabilmente Enrico Rossi, con una dozzina scarsa di dichiarazioni in tutta la quarantena. Il presidente toscano è un ansiolitico naturale, ma il 20 aprile ha perso la pazienza perfino lui e si è lamentato di una contraddizione: «Con una semplice comunicazione alle prefetture stanno riaprendo centinaia di migliaia di aziende senza protocolli per la sicurezza e non è corretto che il governo dica in un modo e poi lasci che avvenga in un altro».

Poco schiacciato dal virus Leoluca Orlando, presenzialista seriale. Il sindaco di Palermo, gemellato con la metropoli cinese Chengdu, si è occupato più di migranti che di contagiati e ne ha approfittato per rinsaldare i rapporti con la Cina, organizzando iniziative di collaborazione con i medici di Wuhan e chiedendo «wifi libero per tutti». La Sicilia direttamente alla Cina potrebbe essere la nuova pazza idea per uscire dall’incubo.

© Riproduzione Riservata