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Politiche attive: le sfide di Next Generation EU

Politiche attive: le sfide di Next Generation EU

Portugal Street

Il piano per la ripresa dell’Europa ci dà la possibilità di fare le riforme. E, anziché farci attrarre da deboli idee del passato, dovremmo pensare al futuro. Quattro semplici proposte.


In quello che viene definito l’anno più buio della Repubblica, il 2020, la perdita di occupazione registrata in Italia – e ora ancora più certificata dalla revisione della rilevazione Istat – è uno dei fenomeni economici più drammatici. È ormai chiaro che la pandemia ha fatto perdere circa un milione di occupati. Le previsioni per il 2021 segnalano una ripresa progressiva dell’occupazione, ma è molto difficile ora fare previsioni attendibili considerato il blocco dei licenziamenti in atto, le incertezze della ripresa e anche la revisione statistica Istat.

La moratoria dei licenziamenti – provvedimento unico in tutti i Paesi industrializzati – ha sostanzialmente «ibernato» il mercato del lavoro garantendo un salario (seppure ridotto) a migliaia di lavoratori e lavoratrici ma ha rallentato lo sviluppo delle politiche attive. Ci sono molti dubbi che il suo permanere sia una scelta ottimale. A 19 anni di distanza dal Libro bianco sul mercato del lavoro, le sfide in Italia sono ancora le stesse: aumentare l’occupazione, accrescere le possibilità di inserimento nel mercato del lavoro di giovani e donne, attivare forme flessibili di contrattazione, creare politiche attive del lavoro, garantire tutele per tutti. E la pandemia non ha fatto che aumentare questi problemi.

Il workfare può essere un retaggio del passato, di quegli anni Novanta della Terza Via blairiana oggi tanto rinnegata a sinistra – ma che io rivendico invece come un passaggio di modernizzazione da noi in parte fallito per responsabilità della sinistra – ma i temi sono sempre gli stessi. Si dice che Next Generation EU aprirà un mondo nuovo. L’auspicio è che ripari alcuni fallimenti di questi ultimi anni: per esempio, il fallimento delle politiche attive. Un disastro dovuto al chiaro disegno di cancellare la legge Biagi del governo Berlusconi e il Jobs Act del governo Renzi, accomunati dalla stessa matrice culturale e dagli stessi obiettivi: tutelare il lavoratore/lavoratrice e non il posto di lavoro. In queste ore si delineano nuove linee di azione e si ascoltano nuovi proclami sulle politiche attive. Sommessamente suggerirei di non farsi attrarre da deboli idee del passato ma costruire su semplici azioni per il futuro.

Una mappa di quattro azioni: 1. modificare il modello di governance delle politiche attive, ricostituendo una direzione sul mercato del lavoro al Ministero (con funzione di indirizzo e di programmazione ma non di gestione) e adottando un modello di agenzia tipo quella delle agenzie fiscali, il che significa rafforzare Anpal come soggetto di attuazione (incorporando Anpal servizi, parte dei cosiddetti navigator e semplificando la catena di comando senza consiglio di amministrazione ma solo con un direttore generale); 2. stipulare un forte patto con le Regioni che preveda una commissione Ministero-Regioni per l’indirizzo delle politiche e la rete delle Agenzie come soggetto esecutore (il che andrebbe anche nella direzione di costruire patti territoriali rafforzati rispetto a quelli già in corso); 3. strutturare un patto pubblico-privato per la gestione di tutti gli strumenti delle politiche attive; 4. fare dell’assegno di ricollocazione – semplificato e automatico – lo strumento principale delle politiche attive, coniugandolo con una forte digitalizzazione dei processi di incrocio domanda-offerta.

Il tempo di attuazione di queste azioni è estremamente rapido, occorre solo che il policy-maker faccia diventare questa una sua priorità senza farsi attrarre dalle complicazioni della burocrazia ministeriale. Sullo sfondo rimane l’ipotesi (invero affascinante) di unire politiche attive e politiche passive in un unico soggetto, così come avviene in altri Paesi, operazione che potrà essere costruita nella complessiva riforma degli ammortizzatori sociali. Next Generation EU ci consegna la possibilità di fare riforme e di farle con importanti risorse finanziarie; una occasione da cogliere rapidamente. Per farlo occorre che vinca la visione del riformista, non il piccolo cabotaggio o la semplice gestione dell’ordinario, che hanno contraddistinto gli ultimi anni.

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